Il topo

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"—Dina, la mia gatta, fa così bene le fusa quando si accovaccia accanto al fuoco, leccandosi le zampe e lavandosi il muso, ed è così soffice e soave quando l'accarezzo, ed è così svelta ad acchiappare i topi... Oh! scusa! — esclamò Alice, perchè il topo aveva il pelo tutto arruffato e pareva straordinariamente offeso. — No, non ne parleremo più, se ti dispiace. — Già, non ne parleremo, —gridò il Topo, che aveva la tremarella fino alla punta dei baffi. —Come se stessi io a parlar di gatti!"

Alice quel pomeriggio scrisse. Aveva un diario infatti, tra i tanti mezzi che l'ospedale, per mezzo di Lucia, le metteva costantemente a disposizione. Forse i medici avevano capito che non era il caso di lasciarla sola con i propri pensieri.

In ogni caso, Alice teneva quel diario più che altro per obbedire al dottore e per far felice Lucia. Quella donna le si era davvero affezionata e Alice a volte la sentiva come una madre, da cui ricevere affetto e protezione, ma anche da rendere fiera. Del resto, la sua vera madre non aveva dato segno di curarsi di lei, o quasi, e lo stesso suo padre.

Alice non ricordava i suoi genitori. Era stato Luca, il suo fidanzato, a parlarle di quelle due persone che pagavano le spese mediche e mandavano regali di tanto in tanto, ma senza venire mai di persona.

Forse Luca le mentiva, forse no, ma Alice non poteva saperlo: ricordava poco del suo passato.

Tutti i suoi ricordi stavano in quel libro bianco per metà, che cercava di riempire con ciò che accadeva ogni giorno. Scriveva pagine e pagine, tutte quasi uguali tra loro. A volte annotava le visite di un'amica o di Luca, per spezzare la routine. La maggior parte delle pagine, però, pur non essendo più bianche, restavano vuote.

Spesso rileggeva ciò che aveva scritto giorni prima e non riconosceva le proprie parole, ma non se ne stupiva. Era tutto schifosamente uguale. 

L'importante era non farsi prendere dall'ansia, si ripeteva sempre, accarezzandosi i polsi. Non pensare al vuoto costante che aveva dentro, non farsi domande su di sé che avrebbero fatto riaffiorare i suoi dubbi.

La sua confusione era spesso attribuita dal personale medico al suo probabile disturbo borderline, che nel suo caso significava sbalzi d'umore, scoppi di rabbia, paura costante di essere abbandonata e "un'immagine poco chiara della propria persona e del mondo circostante".
E sentiva delle voci senza vederne i proprietari, ma questo ai dottori non l'aveva detto.

La ragazza sospirò, pensandoci. Minuta, in quel camice bianco, in quel letto bianco, sembrava davvero una bambina.

Ma quando restava sola i suoi occhi diventavano adulti, seri, quasi ostili. Se qualcuno li avesse visti, però, ci avrebbe scorto anche una tacita richiesta d'aiuto. Perché Alice aveva paura, molto più di quanto immaginasse la sua infermiera o un medico. E non degli incubi.

Così i suoi occhi lanciavano quell'allarme. A rispondere erano solo quattro pareti bianche e una finestra chiusa.

***

"Buongiorno" disse una voce mentre Alice si svegliava.

"Buongiorno" trillò lei in risposta, strofinandosi gli occhi. "Che ore sono?"

"Le otto, piccola. Tutto bene ieri pomeriggio, mentre non c'ero?"

Alice alzò le spalle. "Insomma. Mi annoio un po', e poi mi sento in colpa a non fare niente tutto il giorno."

A sentire parlare di noia, Lucia si irrigidì subito.

Alice, capendone il motivo, si affrettò a negare "Non l'ho fatto, Lucia, te lo assicuro, non avrei avuto nemmeno i mezzi per farlo..."

"Fammi vedere le braccia" le ingiunse l'infermiera freddamente. Alice scostò velocemente le maniche del camice.

Lucia le prese rudemente le mani e osservò la pelle chiara sovrastante: c'erano diverse cicatrici sottili di tagli non troppo vecchi, ma nessuna ferita abbastanza recente da risalire al giorno prima.

Alice scosse la testa, con uno sbuffo. Non era mai stata colpa della noia. Era stata la confusione, quella sensazione destabilizzante di barcollare tra realtà e irrealtà che l'aveva indotta a chiedersi "Ma io esisto?" e questo che l'aveva poi portata a cercare un dolore che potesse fornirle il sollievo di sapere che sì, esisteva.

L'infermiera finalmente si calmò e le sorrise. "Brava."

Poi si allontanò per aprire le tende della finestra. "Per la noia potresti riprendere a studiare, tesoro. Ti faccio portare i libri di testo da Luca, se vuoi."

Ecco, ora riprendeva con un perfetto atteggiamento materno, si disse Alice. Le proponeva i libri...Un attimo...Libro...

"Il libro! L'hai preso?" esclamò eccitata. Non era ancora passata al solito atteggiamento infantile, ma non sarebbe durata molto.

L'infermiera tentennò. Sperava che se lo fosse dimenticata...Fece un debole tentativo "Non ancora, cara, te lo porto domani. Quale volevi? Peter Pan?"

Ma Alice capiva quando qualcuno mentiva. "No. Era Alice nel Paese delle Meraviglie e tu te lo ricordi. Perché non vuoi farmelo leggere?"

"Per favore, tesoro. Fosse per me te lo porterei subito quel libro, te ne porterei quanti ne vuoi, lo sai, ma quello potrebbe farti male. Potrebbe farti venire in mente cose che non devi ricordare se vuoi tornare come prima di..."
Si fermò, ma il guaio era fatto.

"Prima di cosa?

Lucia tacque.

"Prima dell'incidente, vero? Vuoi farmi guarire, solo per trasformare una bambina felice in una ragazza disperata?"

L'infermiera ebbe un fremito. Sapeva che non avrebbe dovuto accennare all'incidente. Quello era forse l'unico incubo di cui Alice aveva davvero paura, anche senza ricordarselo. Anzi, forse era proprio l'idea di poterselo ricordare che le faceva paura. Eppure quella bambina non era felice come sosteneva, per niente.

Doveva scegliere con cura la sua risposta. "Voglio solo che tu sia libera, Alice."

Lo disse guardandola negli occhi, con calma, con rispetto, chiamandola per nome e non con il solito "tesoro".

Funzionò: Alice tornò tranquilla.

"Voglio leggere quel libro" disse comunque. "Un brutto ricordo è come quell'incubo: passato. Non può farmi del male. Non è reale."

Normalmente Lucia non avrebbe acconsentito. Certo, i pazienti che subivano traumi come quello di Alice, in teoria, non potevano ricordarlo. Ma il caso di Alice aveva qualcosa di strano, non andava secondo la teoria. Per esempio, il disturbo della personalità che le era stato diagnosticato non aveva mai dato sintomi prima dell'incidente. Eppure non era qualcosa che potesse essere causato da un unico grande trauma, che sembrava invece non aver lasciato conseguenze patologiche sulla ragazza. Ma quel libro poteva farle tornare in mente ciò che era successo, innescando anche quel disagio.

Eppure Alice aveva parlato in modo così sicuro, così razionale, così perfettamente sano che la donna pensò "Ce la può fare."
Cosa che, probabilmente, la rese la vera pazza della situazione.

Il giorno dopo, in ogni caso, la giovane ebbe il suo libro.

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