Capitolo 15: Amore e odio

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Il lunedì mattina mi alzai alla buon ora. La mia sveglia come impazzita, suonò la mia canzone preferita finché non mi decisi finalmente a spegnerla.

È un grave errore impostare come sveglia una canzone che si ama.
Si finisce a lungo andare per odiarla. È una tortura per le orecchie.

Mi guardai allo specchio.
Avevo un'aria tremendamente sciatta e avvilita, le occhiaie sfondavano il mio viso e la pelle olivastra mi dava un tono cupo e smunto.
Avevo bisogno di un make-up subito, non potevo accettare di vedermi così. Non mi faceva bene.
La caffettiera in cucina era già pronta dalla sera prima, avevo davvero bisogno di un caffè caldo per prepararmi alla giornata a cui andavo incontro. Il lavoro era l'ultimo dei miei pensieri.

Entrai nella stanza di Filippo in punta di piedi, per non svegliarlo in modo brusco. Dormiva come un ghiro nel suo lettino e mi sentii come una morsa nel petto. Assomigliava così tanto al papà. Ma al contrario di Marco, Filippo sapeva provare un amore incondizionato per le persone.
Adorava tutti, andava d'accordo con tutti i compagni all'asilo, si teneva distante dalle faide e rispettava i più deboli. Anzi li difendeva, rendendomi sempre una mamma orgogliosa.

Era un bambino così tanto intelligente e maturo per la sua età, ma era anche tanto sveglio, non gli si poteva nascondere nulla.
Si era già reso conto che qualcosa tra me e il padre non andava bene, ma non avrei saputo come spiegarglielo per non farlo soffrire.

Lo svegliai con un piccolo bacio sulla fronte e mi buttò le braccia al collo. Era solito esternare il suo affetto, un vero coccolone.
Altra caratteristica che non faceva proprio parte del padre e forse, nemmeno mia.

Dopo averlo aiutato a preparare lo zainetto, la merenda e il grembiule, eravamo già pronti per andare a scuola. Ogni mattina era entusiasta di rivedere i suoi amichetti, anche se non riusciva ad andare tanto d'accordo con Mario, un bambino molto irrequieto che era solito fare i dispetti ai compagni.

Pensai che Mario fosse un bambino solo.
Se gli altri bimbi lo avessero accolto e ascoltato, lui avrebbe smesso di essere dispettoso.
Ma i suoi compagni avevano paura di lui e allora lo ignoravano.
Un po' come quella Cassie che era in classe con me all'elementari.
Si divertiva a picchiarci tutti e ad insultarci. Noi la lasciavamo sempre giocare da sola perché era manesca.
Dopo qualche anno il padre fu arrestato perché violento con la famiglia e lei si trasferì in un altra città. Persi i contatti con lei e mi sentii in colpa per non averla capita.

Le appartenenze ingannano, nessuna certezza fu mai più vera.

Lasciai Filippo a scuola e mi avviai verso l'Hotel. Ad ogni chilometro percorso mi sentivo più disorientata e agitata. Speravo con il cuore che Edoardo non ci fosse, dopo lo scorso sabato e il suo SMS, non avevo per niente voglia di vederlo e il dover fingere che non fosse mai successo niente tra noi, mi lancinava.

Effettivamente cosa era successo? Niente.
Ci eravamo solo avvinghiati contro una colonna di una qualsiasi discoteca come due adolescenti arrapati, ma con qualche anno in più.
E forse avremmo dovuto avere un po' di maturità, ma su questo si doveva aprire un capitolo a parte.

Arrivai all'Hotel con molta calma.
Già dalla settimana precedente erano cambiate molte cose.
L'entrata sul grande atrio era stata sostituita da una porta moderna e di gran classe.
Gli operai stavano tinteggiando i muri esterni e gli scuri sostituiti con delle persiane molto più eleganti. L'odore di vernice nell'aria e di solventi era fortissima e pizzicava il naso, ma lo spettacolo spazzava via ogni dubbio sulla riuscita del lavoro.

E un po' era opera mia.

Dall'altro lato del campo da golf  il padre di Edoardo armeggiava con delle mappe catastali.

《Io non sono un fottuto giardiniere! Io sono un muratore! Non ho idea di come si faccia un campo da golf!》

Tutta la situazione era irreale e ridicola, mi fece ridere.
Lamentava il fatto di non saper sistemare il terreno per il campo, osservarlo era meglio che andare a teatro.
Al suo fianco un uomo alto e magro cercava di capirci qualcosa e, poco più distante, Edoardo fissava il vuoto in cerca di un'illuminazione.

Ecco lo sapevo.
Ho tanto pregato perché non ci fosse e potessi evitare probabili momenti imbarazzanti... E invece eccolo là, come il destino aveva voluto.

Presi il coraggio a due mani e mi avvicinai.
Quella mattina non avevo nemmeno perso tanto tempo a prepararmi, farmi bella e darmi un aria interessante.
Ero stremata e avvilita, sola e per lo più con lo stomaco chiuso per il nervoso e la delusione.
Tutto ciò non mi portò a sentire il bisogno di farmi carina per qualcuno, specie se questo qualcuno mi aveva annientata con un solo messaggio appena due giorni prima.

Ero ormai a pochi metri da loro quando Edoardo si voltò e rimase di pietra, come se non mi aspettasse lì quella mattina.
Forse non sapeva che sarei andata, altrimenti come me, avrebbe volentieri evitato.

《Buongiorno.》

Non lo guardai nemmeno, mi limitai ad augurare il buongiorno a mia volta alla squadra che stava già sul posto al lavoro.
Discutemmo molto del campo da golf (come che io fossi una gran intenditrice) ma non sapevamo raggiungere una soluzione convincente. Il terreno melmoso non faceva altro che ostacolare ogni nostra proposta.
Per tutto il tempo che rimasi ad osservare quella lunga distesa erbosa, Edoardo non smise di fissarmi. Lo potevo vedere con la coda dell'occhio, pur mantenendo un'aria distaccata, quella di una a cui non frega assolutamente niente.

Dopo qualche minuto ci allontanammo per visionare le stalle.
Sulla strada, Edoardo mi prese per un braccio.

《Ti posso parlare un attimo?》

Mi chiese, mentre io cercavo di non cadere sul terreno malmesso dal maltempo delle ultime settimane.

《Non abbiamo nulla da dirci. Sei stato già abbastanza chiaro, no? Il messaggio e il tuo atteggiamento hanno già detto tutto... Mi comporto come prima di entrare in confidenza con te.
Colleghi di lavoro e nient'altro.》

Edoardo cercò di replicare, ma non gli diedi tempo.

《Si hai ragione sai? In discoteca è stato un errore. Ero brilla, avevo bevuto troppo. E tu anche. Mettiamoci una pietra su... Amici come prima.》

Edoardo si arrese. Forse il mio tono perentorio lo aveva convinto a lasciarmi stare. Infondo non c'era nulla da dirsi di più di quello che già era stato detto.

Osservavamo le stalle con immenso compiacimento. Stavano venendo benissimo e sarebbero state in grado di ospitare oltre dieci capi.
Con noi si unì anche l'allevatore, Alberto, che avrebbe badato ai cavalli dopo l'inaugurazione dell'hotel.
Era un uomo di mezza età con i capelli bianchi e una corporatura robusta, molto muscoloso. Sintomo che aveva dedicato la vita a mestieri faticosi.

《Ti piacciono i cavalli?》

Edoardo era accanto a me, incuriosito dalla mia espressione sognante. Pensai che il fatto che mi parlasse ancora fosse ridicolo.

《Si, mi piacciono molto, ma non sono mai salita a cavallo》

Riposi io,senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Non so se stessi facendo bene o male, ma mi sentivo umiliata e delusa.
Mi aveva sminuita e invece di parlarmi in faccia, come avrebbe fatto una persona adulta, mi aveva congedata con un messaggio.

Si è vero, potevamo anche aver sbagliato. Ma non mi meritavo di essere trattata come una ragazzina quindicenne alla sua prima cotta.

《Sai io ho fatto un corso di l'equitazione, quando i cavalli saranno qui se ti andrà potremmo anche fare un giro... Potrei insegnarti.》

Mi sentii ribollire il sangue e sputai fuori le parole come pallottole appartenenti ad una pistola appena ricaricata.

《Ora smettila, per favore.
È inutile che fai il carino per rimediare al tuo comportamento di merda. Avremmo potuto chiarire le cose come persone adulte e invece no, hai preferito mollarmi sola sabato sera per paura di chissà cosa. È del tuo ego che hai paura? O hai paura della tua fantastica fidanzata che ha in testa solo extension perfette?》

Mi stava schizzando il sangue ormai fuori dalla pelle e stavo letteralmente andando giù di testa. Ma il bello venne subito dopo.

《Ti ho baciata perché tu hai baciato me. Lo capisci? Io non lo avrei nemmeno fatto! Non mi interessi, non mi piaci. Stavo solo cercando di essere gentile e scusarmi dell'accaduto, a modo mio. Cazzo, Marie Anne!! Sei sposata! Ma cosa vuoi da me? Com'è che non torni con i piedi a terra e ricominci a preoccuparti della vita vera e non dalle sciocchezze da bambina?》

Le lacrime ormai si facevano prepotenti nei miei occhi. Non volevo farmi vedere debole o sensibile a causa delle sue parole meschine, ma non potevo nascondere il mio dolore.

Di solito se una persona ti fa così schifo non la assecondi, magari la allontani pure... Ma di certo non la baci in quel modo!

Attorno a noi si erano radunati degli operai incuriositi.
Qualcuno rideva di gusto, qualcun altro non capiva e si limitava a seguire questa vicenda da soap opera.
Mi sentivo alienata dal mio stesso corpo, come fluttuare in una dimensione parallela, dove potevo osservarmi dall'esterno e vedere quanto mi ero messa in ridicolo con le mie stesse mani.
Se avessi potuto nascondermi in una di quelle buche  del campo da golf, lo avrei fatto immediatamente, pur di sparire dalla curiosità altrui, ma sopratutto dagli scherni.

Edoardo passò dal guardami in cagnesco ad un espressione pentita, come si rendesse conto di aver davvero esagerato.
Ormai stavo piangendo come una bambina e nemmeno me ne rendevo più conto.
Ancora prima che potesse dirmi qualcosa, me ne stavo già andando.
Mi voltai di spalle senza sentire il padre di Edoardo che mi chiamava e che chiaramente aveva capito di più di quello che era necessario capire.

Mi affrettai sulla mia strada, senza pensare al dolore che un rifiuto ( se pur non si trattasse di un vero e proprio rifiuto) potesse causare, dopo tanti anni in cui non l'avevo più provato.
Non ricordavo nemmeno quanto male potesse fare.

Edoardo tentò di venirmi dietro, ma cercai di guadagnare terreno allungando il passo.
Quando fui abbastanza lontana dagli altri, ma vicina alla mia auto, mi voltai di scatto con gli occhi pieni di risentimento e odio nei suoi confronti.
Di tutto quello che poteva essere appena successo, la cosa più denigrante era che mi avesse messa in ridicolo di fronte a tutti, ai colleghi di lavoro, al padre, ai superiori.
Non c'era figura più barbina, per me.
Avevo perso anche la mia professionalità.

Vidi tutto nero.
Il suo viso assunse la forma del mio palmo, in un millisecondo.
Gli avevo tirato uno schiaffo in pieno volto, senza nemmeno rendermi conto di quanto odio si celasse dietro a quel gesto.

Mi guardò, ma non disse nulla.
I nostri occhi si stavano spogliando di ogni dubbio.
La mia rabbia e il mio risentimento erano così grandi da aver smascherato i miei sentimenti per lui, che fossero di solo rancore, oppure uniti ad una profonda attrazione.

Lo diceva sempre mia nonna...che la linea tra amore e odio è così sottile da farci scambiare un sentimento per il suo opposto.
Ai tempi non lo avrei potuto capire.
Ma ora, l'avevo capito.

Estrassi le chiavi dalla mia borsa e mi fiondai in auto mentre ancora le lacrime mi rigavano il viso. Mi sentivo male, dovevo andarmene da lì.
Non mi voltai mai a guardarlo, anche se giurerei che non si mosse dal sentiero dell'hotel.
Almeno finché non imboccai la statale e finalmente ricominciai a respirare, smettendo di immaginarlo impalato di fronte al cancello.

Con il telefono in mano e in preda alla collera, composi il numero di Fausti.
Appena mi rispose non gli lasciai nemmeno il tempo di capire.
Non avrebbe capito in ogni caso.

《Mollo il lavoro all'Hotel. Non mi conviene, non fa per me e non ne sono adatta. La prego di non insistere oltre, ha sbagliato persona. Non sono la persona giusta per amministrare questo impiego.》

E ancora prima che il Fausti potesse rispondere e attaccarmi, riagganciai.
Non avevo voglia di niente, tantomeno di essere umiliata ancora.

Non lo volevo più vedere.
Edoardo Berghi era per me un uomo morto e le mie fantasie, morte con lui.

Amiche...
Capitolo un po' struggente, ma spero vi piaccia.
C'è ancora tanto..
Vi abbraccio.
Ary913711

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