Capitolo 51: Day One

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Edoardo lasciò definitivamente il mio appartamento e io sprofondai in un lungo pianto seduta sul pavimento della cucina.
Tutte le emozioni presero il sopravvento e io le lasciai scorrere fuori dal mio corpo.

Mi misi più volte le mani sugli occhi, come a volermi nascondere dagli occhi di qualcuno. Nessuno avrebbe dovuto vedermi così, nessuno avrebbe dovuto comparirmi per quello che realmente stava accadendo. Non lo avrei accettato.

Se ne era andato. 

Il mio cervello non riusciva a darsi pace.
Cercai di fare un riepilogo di tutto quello che era successo negli ultimi mesi, ma invece di fare chiarezza, mi ritrovai ancora più confusa di prima.

Eravamo stati a letto.
Poi si era allontanato.
Aveva scelto di sposarsi ugualmente.
Il mio incidente, il suo tentativo di riavvicinarsi e ora questo.
Se ne stava andando di nuovo.
Dopo tutta la fatica che avevamo fatto per stare insieme.

Non capivo o forse non lo volevo accettare davvero.

Una parte di me continuava a ripetersi che ero solo stata solo presa in giro dall'uomo eterno indeciso.
L'altra parte invece, lo ringraziava del fatto che, andandosene, volesse tutelare la mia serenità.
Ero combattuta tra questi due stati d'animo e non riuscivo a darmi pace.
L'unica certezza che sentivo appartenermi era la sofferenza che mi trovavo a masticare ogni secondo con maggiore difficoltà.

Presa dalla rabbia, stappai una bottiglia di un vecchio vino bianco che conservavo in casa per le occasioni speciali.
Mi sedetti al tavolo della cucina e me ne versai un intero bicchiere.
Fu una scena triste e patetica, ma non mi sentii in grado di fare altrimenti.
Presi carta e penna e iniziai a scrivere qualcosa, con una calligrafia pressoché incomprensibile. Mi sembrò il prologo di un racconto.

La nostra storia.

Riportai tutto, ogni singolo ricordo o emozione, tutto ciò che mi faceva pensare ad Edoardo.
Ad ogni pagina scarabocchiata e pagina gettata nel cestino, versai un altro bicchiere, finché la bottiglia non finì vuota nel lavello della cucina e io completamente brilla, seduta al tavolo.

Scrissi per un tempo indefinito.
Sentii il bisogno di imprimere su carta i miei stati d'animo, le mie emozioni.
Avevo bisogno di parlarne con qualcuno, ma a tarda notte non avrei potuto chiamare Marika o mia madre.
Non avevo nessun altro, se non i miei occhi pronti per rileggere i miei drammi.

Mi sentii svuotata di tutte le mie certezze.
Avevo sofferto molto per Marco, ma mai fino a quel punto.
Lui era stato mio marito, il padre di mio figlio, a volte un complice, ma non era mai stato l'amore, quello con la "A" maiuscola, quello che ti riempie la vita e allo stesso tempo te la svuota.

Mi armai di tutta la mia forza di volontà e mi imposi di dormire un po'.
Avevo scritto decine e decine di pensieri, centinaia di parole.
Ero esausta, senza forze e con gli occhi gonfi per via del pianto.
Riposare mi sembrò l'unica cosa sensata da fare e con la complicità del vino, mi trovai sempre più convinta del fatto che ci sarei riuscita.

Non fu semplice, ma presi sonno.
Cercai di convincermi che si trattava solo di un brutto sogno, che al risveglio mi sarei accorta che avevo immaginato tutto e che Edoardo sarebbe stato ancora al mio fianco.
Con questa convinzione mi lasciai scivolare sul cuscino e persi definitivamente i sensi
Una parte di me si trovò a sperare ancora che Edoardo avrebbe fatto una scelta diversa, che alla fine non sarebbe partito.

_________________________

I postumi della sbornia mi accolsero presto.
Ancora la notte non se ne era andata del tutto.
Mi girai e rigirai nel letto più volte prima di rendermi conto che non sarei più stata in grado di dormire.

Mia madre mi aveva lasciato diversi messaggi a cui volutamente non avevo risposto.
L'unica cosa che sapeva ancora destare  il mio interesse era la situazione di Filippo, che il bambino stesse bene. Dal momento che non fu mai menzionato negli SMS di mia madre, decisi che anche anch'essa avrebbe potuto aspettare.

Mi alzai dal letto barcollando.
Mi trovai subito pentita per aver scelto di bere così tanto, ma ormai l'errore era stato fatto e avrei dovuto accettare l'amara realtà.
Ero stata fragile e mi ero lasciata andare ad una banale debolezza.

Mi recai al lavoro in piena crisi di nervi. Già non era piacevole di per sé lavorare, ma in quello stato catatonico, tutto sembrò ancora più complicato.
Non mi soffermai a parlare con Fausti, ignorai Mario alla reception.
Strisciai i piedi fino alla mia scrivania e mi assicurai che la porta del mio ufficio restasse ben chiusa. Non avevo voglia di scherzare con nessuno.

Mi trovai a fissare l'orologio, di continuo.
Minuto dopo minuto vedevo nella mente la figura di Edoardo sempre più distante e sempre più irraggiungibile.

Il suo volo era ormai imminente e io non ero stata abbastanza empatica per capire, abbastanza donna per accettare il suo stato d'animo fino in fondo. Mi sentivo delusa ed amareggiata, impotente nei suoi confronti. Sentivo di aver fallito.

Quando arrivarono le sedici udii un tuffo al cuore.
Lo immaginai seduto al suo posto sull'aereo e io ancora nel mio ufficio, con le mani sul viso, così distante, tanto orgogliosa da non avere avuto nemmeno il coraggio di andare in areoporto per salutarlo.

La sera prima di rincasare presi finalmente una decisione.
Avevo bisogno di un auto, non potevo più legarmi agli orari dell'autobus e Filippo aveva necessità di una mamma indipendente.

Sulla strada del ritorno mi fermai alla fermata più vicina a Gino il carrozzaio e stipulai un contratto con l'agente di vendita.
Mi accontentai di un buon usato, ne valeva davvero la pena e l'agente si  preoccupò seriamente che me ne andassi soddisfatta.

La commissione aveva accettato di ridarmi la patente, c'erano voluti mesi, ma avevo scontato la mia pena. D'ora in avanti avrei dovuto stare più attenta e sostenere esami periodici, ma nulla si frapponeva più tra me e la possibilità di tornare alla guida.

Seduta alla guida della mia nuova auto mi sentii un po' stupida. Avevo avuto così tanta paura fino a quel momento, a volte per nulla.
Tutto d'un tratto, tutta quella insicurezza se ne era andata. Mi gustai il viaggio con la musica in sottofondo, come nulla nella mia vita fosse mai stato tanto bello, come non avessi mai fatto l'incidente, come non fossi mai stata bloccata dalle mie stesse ansie.

Filippo mi vide arrivare con l'auto nuova e non trattenne la gioia.
Era ancora un bambino, ma la sua intelligenza superava ben oltre le mie aspettative.
Aveva sempre capito quanto per me fosse stato difficile tornare a guidare dopo l'incidente.
Anche mia madre si complimentò con me per la mia scelta. Per una volta non mi criticò.
Mi sembrò persino commossa.
Stavo finalmente combattendo le mie paure e nulla avrebbe più potuto fermarmi.

Stavo ricomponendo il puzzle della mia vita, pezzo dopo pezzo.

____________________________

Durante la notte mi trovai a fare qualche semplice calcolo.
Tenendo conto del fuso orario, dello scalo e della partenza, Edoardo doveva essere già atterrato.

Il mio telefono giaceva silenzioso sul comodino. Filippo al mio fianco dormiva beato russando piano.
Avevo trascorso gran parte della notte a girare e rigirare nel letto in attesa di un messaggio di Edoardo che, mio malgrado, non arrivò mai.
Lo giustificai, pensando che forse se ne era dimenticato, che non aveva avuto tempo.

Verso mattina, ormai senza più forze, mi addormentai accoccolata a Filippo. Sebbene così piccolo, mi resi conto essere l'unico uomo della mia vita, l'unica costante che non avrei mai dovuto perdere di vista.

Aveva diritto al mio tempo, a tutto ciò che di meglio avrei potuto offrirgli.
Promisi a me stessa e anche a lui che nulla avrebbe mai potuto separarci, avrei dedicato tutta me stessa alla sua felicità.
E alla mia.

Avrei messo da parte la mia ostinazione verso Edoardo per lui, perché non meritava una mamma fragile, debole, senza spina dorsale e perennemente a pezzi.

Lo avrei fatto senza ombra di dubbio, anche a costo di lasciare la mia felicità chiusa in un cassetto per sempre.

Lo avrei fatto perché avevo messo al mondo una creatura, la quale meritava il mio meglio, e io avrei fatto di tutto per tornare ad essere il meglio che potesse desiderare.



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