Capitolo 69: Made in Italy

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La serata dell'inaugurazione proseguì spensierata, senza intoppi.

Incrociai un paio di volte Berghi in giro per il negozio, ma a malapena ci guardammo negli occhi. Per la verità, io lo fissai pure, fu lui ad evitare di farlo.
Del resto, non disturbò nemmeno Edoardo, così come gli avevo promesso.

Si salutarono con entusiasmo, abbracciandosi come non si vedessero da tempo.

Elisa sbuffò accigliata per tutta la serata, finché il padre non decise che fosse giunto il momento di andare via.
Il mazzo di fiori che Berghi aveva portato con sé, giaceva in un vaso sul bancone, senza acqua. Sulle foglie, il padre di Elisa aveva applicato un biglietto contenuto in una bustina che, forse, non sarebbe stato letto da nessuno.

《Dovremmo andare anche noi. 》fece eco ai miei pensieri Edoardo.

Filippo stava già iniziando a bisticciare con un altro bambino. Si contendevano un giocattolo che, fino a prova contraria, non era di Filippo.

《Saluto Elisa e Josh. Recupera Fil, ci vediamo dalla macchina. 》

Mi avvicinai alla coppia. Era l'ultima volta in cui ci saremmo visti.
Il nostro volo era previsto per le quattro del mattino, ora locale.

《È stato un piacere essere dei vostri, anche per poco tempo. Mi sono sentita come in famiglia e sono sicura che se Filippo fosse stato un po' più grande, si sarebbe sentito come me. 》

Ci stringemmo in un caloroso abbraccio sentito. Mi sembrò di vederli commossi, parecchio tristi per via della nostra prematura partenza.

《Tornate quando volete. La nostra porta sarà sempre aperta per voi. Ci spiace solo non aver goduto della vostra compagnia più a lungo. Praticamente non avete visto nulla, di Toronto. 》

Era proprio così, ma presto o dopo, avrei trovato il modo per tornare in Canada. La vita me lo avrebbe dovuto concedere.

In appartamento, Edoardo e Filippo iniziarono a smontare il trenino.
Io mi occupai delle valige, degli effetti personali miei e di mio figlio.

《Non c'è modo per farvi restare, non è così?》

Edoardo mi sorprese alle spalle.
Eravamo soli nella stanza, senza barriere. Filippo giocava noncurante alla Playstation in salotto. Ero contenta non avesse fatto il diavolo a quattro all'inaugurazione, ma non potevo pretendere di trattenerlo ancora. Lui non voleva stare a Toronto e io, da buona madre, non avrei mai potuto obbligarlo. Era solo un bambino, già provato da stress e da una vita che lo aveva voluto adulto troppo in fretta.

《Mi dispiace. Sono stata bene, anche se è durata poco. 》

Mi obbligai a non piangere, a non fare scenate. Finii di sistemare gli indumenti in valigia, i giocattoli di Filippo, il trenino smontato, il suo peluche.

______________________________

Edoardo caricò in silenzio i bagagli sull'auto.

Erano le due del mattino, Filippo dormiva sul seggiolino.
Mi sentii in dovere di aiutare Edoardo nel posare nel baule le ultime cose.

《Lascia, non ti preoccupare. Faccio da solo. 》

Mi sedetti nel posto del passeggero come suggerito da Edoardo.
Attesi con ansia che terminasse di caricare le ultime cose, richiuse il baule e io ebbi appena il tempo di osservare un'ultima volta Toronto. Guardai le luci della città, le finestre spente del suo appartamento.
Eravamo stati lì appena quattro giorni, ma la sentivo casa mia più di quanto non mi ci sentissi in Italia.

Ed eccola, l'ansia prima del volo. Nonostante avessi già rotto il ghiaccio con l'andata, l'idea di riprendere un aereo in così breve tempo, mi fece ribrezzo.

All'aeroporto c'era poca gente. Eravamo arrivati di giorno, in un orario di punta, ce ne stavamo andando in piena notte.
Non facemmo coda per controllare passaporti e biglietti.
Il nostro era uno dei pochi voli previsti quella notte.

《Eccoci qui. È ora di salutarci, di nuovo. 》

《Sì, sembra destino che debba andare così.  》

Edoardo mi sorrise. L'idea del destino che andava frapponendosi di continuo, evidentemente gli era piaciuta.

《Tornerò io in Italia, molto presto. Ci vedremo appena possibile... 》dedicò poi un pensiero a Filippo 《... e tu comportati bene con la mamma. Cerca di fare il bravo. So che sei un bambino speciale. 》

Gli accarezzò la testa e Filippo annuì alla raccomandazione.

Chiamarono il nostro volo poco dopo.
I bagagli erano già belli che sistemati in stiva, ma io non mi sentii pronta per partire, non ancora.

Sotto gli occhi di Filippo, baciai Edoardo. Un lungo bacio, per ricordare le sue labbra più a lungo.

《Andate, o perderete il volo. 》

Promisi a me stessa di non voltarmi indietro. Se solo lo avessi fatto, mi sarei ferita enormemente.
Afferrai il corrimano delle scale mobili e prosegui, con Filippo al fianco.
Solo sulla sommità, mandai al diavolo i miei più buoni propositi.

Mi voltai indietro, con lo sguardo volto a cercare Edoardo, l'ultima volta.

Fu un tuffo al cuore accorgermi che, nel posto dove ci eravamo appena salutati, non ci fosse più nessuno.

___________________________

Avevo già avvisato mia madre del nostro imminente ritorno, poco prima di giungere in aeroporto.
In fin dei conti doveva sapere che saremmo tornati a casa con anticipo.

Ci rimase male, ma si trovò comunque d'accordo con me. Filippo doveva avere la priorità su tutto e se stava vivendo male la permanenza lontano da casa, andava riportato in Italia.
Non mi sarei mai permessa di torturarlo o peggio, provocargli un trauma.

Accomodati ai nostri posti sull'aereo, la voce del pilota richiamò la nostra attenzione. Avremmo viaggiato turbolenti, probabilmente.
Splendido, pensai, sempre meglio.

Era giunto il momento di partire.
Allacciammo le cinture di sicurezza. Trattenni il fiato, mi si tapparono le orecchie al punto da farmi male.

Presa quota, fummo invitati a metterci comodi in vista del viaggio. Afferrai una rivista che avevo acquistato poco prima all'edicola, in aeroporto. Era completamente scritta in inglese, ma non mi importò molto. Cercavo solo una banale distrazione, che mi pervenisse da una rivista intercontinentale o più semplicemente da un drink che avrei presto ordinato alla hostess di turno.

《Posso farle un po' di compagnia, signora?》

Alzai gli occhi dalla rivista. Mi prese un colpo. Cercai di darmi un pizzico, poi due. Dovevo per forza essermi addormentata.

《Che... diavolo. Ma cosa ci fai quì?》

Mi ricordai di non poter dire parolacce. Filippo giaceva al mio fianco, bello arzillo, ma dubbioso tanto quanto me.

《Torno a casa, con voi. 》

《Ma... Elisa? Il negozio?》

Edoardo Berghi, appoggiato allo schienale del tipo di fronte a me, tentò di pavoneggiarsi.

《Elisa era già al corrente di tutto. Sapeva che dopo l'inaugurazione sarei tornato in Italia. Avevo pensato di farlo direttamente con voi al termine della vacanza, ma ho dovuto modificare un po' i miei piani. 》

Alluse ai capricci di Filippo e al fatto che fossimo stati tutti obbligati a rientrare di corsa a casa.

《E non tornerai in Canada?》

《No, per lo meno, non per il monento e non senza di te. 》

Mi alzai dal mio posto, scavalcai l'uomo alla mia destra e abbracciai Edoardo.
Filippo non si scompose, rimase seduto al suo posto, intento a giocare con le carte dei Pokemon. Le collezionava da ben due anni.

《Credo che tu mi abbia fatto la sorpresa più riuscita di tutte!》

《Lo so, non è stato facile. Prima con i bagagli mi stavo quasi tradendo. Elisa mi spedirà in Italia le ultime cose con calma. Torno al mio posto, cercate di riposare. 》

Ci salutammo con un tenero bacio. L'uomo seduto al mio fianco sbuffò e si lamentò. Giustamente desiderava solo  dormire e non assistere ad una commedia romantica.

Seguii Edoardo con lo sguardo sino al suo posto, dove si sedette. Tornai alla mia rivista. La trovai quasi più interessante di prima.

Come avevo potuto non notare una testa piena di riccioli color cenere seduta giusto quattro file avanti a me?








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