Capitolo 7: Gran bella carrozzeria

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La settimana passò senza troppi intoppi.

Filippo aveva espresso il desiderio di iniziare ad andare all'asilo. Aveva già compiuto i quattro anni ed effettivamente avremmo potuto iniziare a portarlo anche prima.

Ero la solita mamma apprensiva.

Avevo contattato vecchie amiche conosciute al corso preparto che vedevo pochissimo e sentivo anche meno, per sapere in quale asilo andavano i loro bambini, così per farmi un idea sul dove fare richiesta. Alla fine chiamai Marco e gli dissi della bella notizia.

Non fu entusiasta in un primo momento. Anzi, pensava che quando avrebbe fatto ritorno in Italia, avrebbe ricominciato lui a badare a Filippo. Io invece volevo che il nostro bambino iniziasse a frequentare i coetanei e diventasse più responsabile.

Non potevamo tenerlo per sempre sotto un'ampolla.

Noi eravamo e siamo genitori. Nulla è più importante delle sue esperienze infantili, amici compresi.

Così, qualche giorno dopo, zainetto in spalla, lo accompagnai davanti all'asilo. Era un bel posto, alle finestre tanti bei disegni fatti dai bambini, un grande giardino pieno di attrezzature per il gioco, alberi giganti a fare ombra.

Ci avevamo messo così poco a rintracciare questo asilo perché una mia cara amica faceva l'insegnante lì e mi aveva giurato che il direttore era molto rapido ad inserire i bambini nelle classi, anche ad anno già cominciato. Si trattava di una materna a pagamento, inoltre. Non che mi importasse particolarmente, ma la retta era abbastanza alta. Speravo che il mio compenso per i lavori all'Hotel sarebbe arrivato in fretta.

Con mia enorme sorpresa, lasciando Filippo di fronte alla propria aula, non pianse. Mi abbracciò e si lanciò in mezzo ad altri quindici bambini intenti a montare costruzioni. La maestra, una donna di mezza età, ma dall'espressione giovanile, mi rincuorò sulla soglia promettendomi che se ci fossero mai stati problemi, mi avrebbe chiamata immediatamente.

Non sentii nessuna telefonata quella mattina e ne fui davvero sollevata.

_________________________

La casa senza Filippo era silenziosa. Toby ronfava nella sua cuccia, mia madre non aveva ancora telefonato. Marco mi aveva scritto qualcosa circa dei problemi con il volo di ritorno, ma ormai mi ero quasi abituata a non vederlo e sentirlo con regolarità.
Avrei dovuto sentirmi in colpa, ma non lo feci.

Mi preparai una tazza enorme di caffè e mi appoggiai al balcone, sulla mia sedia arrugginita, con una sigaretta tra le dita. Un momento così rilassante e così traumatico nello stesso momento.

Il mio bambino stava diventando grande, mio marito era fuori paese per lavoro e io non vedevo l'ora di sentirmi affermata, avere finalmente qualcosa da raccontare.

L'amato silenzio, che si era creato tutto attorno, si ruppe a causa di un trillo. Il mio telefono stava suonando in salotto. Mi affrettai a spegnere la sigaretta e gettarla nel sacco, corsi giù per le scale con il cuore in gola pensando fosse successo qualcosa a Filippo.
Il numero sul display non lo conoscevo. Era un cellulare,altri poteva essere l'asilo che mi contattava, pensai.

《Pronto?... 》ero terrorizzata.

Dall'altro lato un attimo di esitazione.

《Pronto, Mary? Ciao scusami. Sono Edoardo. Ti chiamo perché il signor Fausti non mi risponde e avevo bisogno di lui circa un lavoro di cui mi sto occupando personalmente. Si tratta della piscina dell'hotel. Riusciresti a contattarlo o a venire all'Hotel? Così potrei spiegarmi meglio, al telefono non è semplice...》

Il cuore mi esplose nel petto.

Come faceva ad avere il mio numero?
Un boato allo stomaco,come il frastuono prima di un terremoto
Poi ricordai.
Glielo aveva lasciato Fausti in caso di bisogno.

Dopo un attimo di sorpresa, decisi di andare all'hotel e,dal momento che Fausti non rispondeva, capii che doveva essere per forza dalla madre.
Mi infilai un paio di jeans e una maglietta, controllai l'orologio.

Filippo usciva da scuola alle sedici, avevo poco più di quattro ore per andare, visionare il problema e tornare.

Quando arrivai all'Hotel erano già passate le tredici.
Edoardo mi stava aspettando all'entrata. Lo avevo chiamato per dirgli che stavo arrivando, mi aveva detto di non correre perché l'ultimo tratto di strada era rimasto impantanato a causa dell'ultimo temporale, era pericoloso.

Sorrisi per quanto si presentasse gentile, preoccupandosi.
Era solo una circostanza?

Scesi dalla mia auto e dopo un rapido saluto distaccato, mi portò giù sino al piano sotterraneo per vedere la piscina. Non potevamo perderci in preamboli, stavamo lavorando in fin dei conti.

Senza pensarci due volte mi illustrò dettagliatamente la situazione.

《Dunque, come avrai capito, il problema è questo.》me lo indicò.
《Quello che ha pensato di mettere una piscina qui sotto è un pazzo o quel giorno aveva preso droga scaduta!》

Scoppiai a ridere e lo lasciai finire.

Era bello anche incazzato nero.

《Questa piscina non è mai stata riempita. Non c'è modo di fare arrivare l'acqua qui, se non c'è un condotto a norma e un sistema serio di filtraggio delle acque. Non c'è possibilità di svuotarla né tanto meno riempirla. Il sogno di Fausti di utilizzarla come area relax sta sfumando. Glielo dico io, o glielo dici tu?》

Mi grattai la testa, come a voler trovare una soluzione. Era un bel problema.

《Non c'è proprio un modo?
Fausti è disposto a spendere il suo patrimonio intero per questa piscina. Non accetterà che non ci sia un modo... Manderebbe all'aria il lavoro.》

Edoardo rimase un attimo in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto. Chissà se si era accorto che lo stavo fissando, di nuovo.

《Un modo ci sarebbe, ma è davvero costoso. Gli operai dovrebbero rompere un po' qui e un po' la, creare un condotto a norma. Ma con rompere un po' qui.. E un po' la...》

Mi immaginai Fausti di fronte alla possibilità di annullare il suo progetto più prezioso.

《Itendi che dovremmo cambiare conformazione allo stabile?》

Edoardo applaudì di fronte all'inevitabile.

《No, intendo che con tutto quello che c'è da fare, sei mesi sono una cagata di tempo!》

Scoppiai a ridere. Questo già lo sapevo ancora prima di iniziare ad impazzire per questo progetto. Sei mesi erano davvero pochi per rifare quel posto.

Ma se Fausti lo voleva in sei mesi, ero convinta avrebbe mosso persino un vespaio per ottenere il suo scopo.

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Alla fine del tour io e Edoardo risalimmo nella hall. Erano quasi le quindici, non mi ero affatto accorta del tempo che passava.

In effetti, per quanto Edoardo era distante come persona, la sua compagnia era piacevole.

Tentai di accendere la mia vecchia auto.
Questa brontolò un attimo e si arrese. Non aveva nessuna idea di partire. Rigirai la chiave nel quadro un altra volta, speranzosa. Niente.
Stavo per andare nel panico più nero, quando Edoardo si affiancò.

《Ti posso dare uno strappo? Mi pare che tu abbia qualche problema con la tua... Auto.

Puntualizzò bene la parola "auto" alludendo al fatto che la mia vecchia utilitaria ormai stesse meglio con il ferro vecchio, piuttosto che sulla strada a perder pezzi.

《Insisto, dai sali.》

In un lampo mi ricordai di Filippo all'asilo e mi sentii trasalire.

《Devo andare a prendere Filippo al suo primo giorno di scuola!
Mi basta essere accompagnata a casa, nel frattempo che chiamo mia madre e le dico di aspettarmi lì. 》

Ero troppo ansiosa, dovevo esserci io a prenderlo al suo primo giorno di scuola.

Chissà se era andata bene.

Salii sulla sua auto sportiva. Niente a che vedere con la mia. Era nera, con i sedili che profumavano di lavanda. Da bambina in vacanza dalla nonna amavo rotolare nei campi di lavanda dietro casa, tornavo sempre con il naso irritato, ma con un profumo tra i capelli. Lo adoravo.

Amavo la sua auto.
Il sedile riscaldato somigliava al tuffo in una vasca di acqua calda. Alla radio il mio gruppo preferito. Un artista parecchio interessante. Tutto perfetto. O quasi.

Edoardo imboccò la statale che collegava l'Hotel a casa mia. Il viaggio non fu molto lungo, anche perché l'auto di Edoardo si mangiava letteralmente l'asfalto. Parlammo poco, solo di Filippo che aveva iniziato l'asilo, di Marco che era a Londra per lavoro e di Elisabetta che gestiva un centro estetico.
Chiaro, come poteva essere altrimenti.

《Allora Mary, da quanto sei sposata? Mi sembri giovane per avere già un bambino di quattro anni! 》

Non mi aspettavo una tale domanda, nata dalla pure curiosità.

《Mi sono sposata a venticinque anni. Sai, ero già incinta. Ci sembrò la cosa migliore. Ci amavamo tanto e volevamo dare una famiglia normale a nostro figlio...》

Tenendo il volante, notai che mi osservava con la coda dell'occhio con fare poco convinto.

《Vi... Amavate? 》

Eccola, la tipica domanda da doccia fredda. Quella che evitavo di continuo con tutti.

《Beh sai, dopo un po' che si vive insieme, un po' passa. Non che non ami mio marito, affatto. Solo che siamo cresciuti insieme, è passato tanto tempo dal nostro primo appuntamento, ormai siamo una coppia stabile e un po' monotona delle volte. Ma ci vogliamo bene ecco.》

Edoardo guardò la strada senza rispondere. Poi intervenne e io rimasi spiazzata. Mai mi sarei aspettata un tale commento.

《Io credo, nella mia ignoranza, che il tempo in cui due persone stanno insieme non incida sull'amore o sul suo livello.》

Strinse i pugni e continuò.

《Mi puoi dire che vi siete sposati per convenienza, per comodità o per affetto, ma una risposta del genere non mi fa pensare all'amore. Mio padre e mia madre sono stati insieme trent'anni, eppure si amavano come il primo giorno. Per cui no, mi spiace. Non sono d'accordo con te.》

Trasalii.
Ero visibilmente a disagio.

Una delle poche persone, forse la prima, ad avermi incastrato nella stessa tela che avevo costruito per tenere lontani gli altri dalla mia vita e dalla mia relazione.

Il resto del viaggio lo passai a guardare fuori e a pensare. Non risposi, non sapevo che dire.

Quanto di quello che aveva detto era la realtà? Perché era stato così duro? In fondo neanche mi conosceva.  Ma aveva ragione.

Arrivati di fronte a casa, Edoardo aveva addolcito la sua espressione. Mi salutò con una mano mentre scesi dall'auto. Mi limitai a ringraziarlo del passaggio. In quel momento non stavo pensando alla mia macchina all'Hotel, o a mia madre che urlava dal portico.

Mi lasciò così.
Il mio sguardo perso nel vuoto, sul mio giardino.
Edoardo mi aveva portato a riflettere su molte cose, ad esempio quanto fossi sempre stata bugiarda, sopratutto con me stessa.

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