Capitolo 75: Cetriolino, amore mio!

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Un anno dopo

《Congratulazioni signori! È una bambina!》

Strinsi la mano di Edoardo con vigore e lui fece lo stesso con la mia. Lo vidi commosso come non era successo mai prima di allora.

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Avevamo scoperto della mia gravidanza in un modo parecchio buffo, almeno il discorso valeva per me.

Era inverno, l'ambiente era sovrastato da cumuli di neve fresca, caduta senza sosta per giorni interi.
Da lì a poco sarebbe giunto il Natale per allietare ulteriormente le nostre anime.

Quella mattina mi ero svegliata parecchio strana, come non mi capitava da molto tempo. Io e Edoardo avevamo spesso parlato dell'intenzione di diventare genitori, ma non ci eravamo dati scadenze, perciò si cercava comunque di stare attenti.

Dopo aver rifiutato sapientemente il caffè, cosa che non mi succedeva praticamente mai, decisi di prendermi una giornata di permesso dal lavoro.
Edoardo si impose perché riposassi, vista la mole di pratiche che avevo dovuto sbrigare negli ultimi mesi. Pensai si trattasse davvero solo di stanchezza, di stress accumulato e mal gestito.

Gironzolai per casa senza una ragione precisa per tutta la mattinata. Avevo fame, ma una di quelle nervose, incontrollabili. Non sapevo nemmeno di cosa avessi voglia davvero.

Afferrai la prima cosa che trovai nella dispensa. Un barattolo di cetriolini sott'aceto. Erano da poco passate le dieci del mattino, mi schifò l'idea di mangiarli per davvero, ma poi presa da un appetito ingestibile vidi il fondo del vasetto senza nemmeno rendermene conto, davanti alla TV.

La cosa andò avanti così per un paio di giorni. Avevo sempre voglia di cetriolini, anche di notte. Divennero una vera e propria droga legale e semmai restavo malauguratamente senza, sentivo la necessità impellente di correre al supermercato per fare scorta.

Solo dopo una settimana di dubbi e tossicità nei confronti dei cetriolini, mi chiesi quando avevo visto l'ultimo ciclo mestruale. Quel comportamento non era definibile normale.
Presa dal lavoro, dagli impegni mondani, da Filippo nella nuova scuola, non avevo badato al papabile ritardo.
E che ritardo!

Afferrai il calendario in preda al panico. Nei due mesi precedenti non avevo segnato il ciclo. Me lo ero solo dimenticata, oppure proprio non lo avevo avuto?
Non c'era tempo per farsi tante domande. Senza dire nulla a Edoardo, quella stessa mattina in cui la nostra vita sarebbe cambiata ancora, presi l'auto per andare in farmacia. Lasciai sul volante le impronte delle mie mani sudate.
Acquistai due stick, così da essere sicura del risultato.

Solo a casa mi convinsi del fatto che fosse giunto il momento di sapere la verità. Nei tre minuti d'attesa assaporai l'ultima sigaretta, girando il test a pancia sotto sul tavolo per evitare di fissarlo.

Il primo si rivelò iper positivo. Le due lineette rosa apparvero nitide e marcate sullo stick. Gettai la sigaretta nel gabinetto.
Qualcuno una volta mi aveva detto "se è negativo, potrebbe essere positivo. Ma se è positivo, di sicuro non si sbaglia."

Feci il secondo test solo per sicurezza, o per convincermi di quel detto a cui avevo sempre creduto con riserva.
Ero talmente tanto ansiosa nella mia condizione, da non dover nemmeno bere acqua per farmi venire la pipì.
Come sospettai sin dal principio, anche il secondo test fu positivo.

Quella stessa sera decisi di dirlo ad Edoardo. Secondo i miei calcoli, dovevo già essere prossima al terzo mese, cosa che mi obbligava a correre dal medico per mettermi in pari con le visite. Non potevo omettere di dirlo al mio compagno.

La prese... di fondoschiena.
Letteralmente, svenne.
Lo vidi scivolare rovinosamente con il culo sul pavimento.
Ci volle qualche minuto perché realizzasse davvero la notizia, ma poi la gioia prese il posto dello shock iniziale.
Io comunque avevo scelto un modo davvero emblematico per dirglielo, chiunque avrebbe avuto una reazione simile.
Avevo nascosto il test nel cassetto dove Edoardo custodiva chiavi e portafoglio. Di rientro a casa quella sera, lo vidi approcciarsi al solito rito di posare gli effetti personali nel cassettino, raccogliere il test, guardarmi di sbieco e scivolare sul pavimento. Dirglielo normalmente sarebbe stato troppo semplice, una parte di me ci teneva a lasciarlo senza fiato. E sì, ci ero proprio riuscita.

Scegliemmo insieme se sapere subito il sesso del bambino. Non ci interessa granché il fatto che fosse stato maschio o femmina, la cosa che ci premeva di più era che stesse bene.
In ogni caso, appena fosse stato possibile vedere, lo avremmo voluto sapere. Alla visita del quinto mese, quando ormai si intravedeva bene la pancia al di sotto dei maglioni invernali, il ginecologo ci comunicò la lauta notizia. Era una bambina, in linea di peso e lunghezza, sana e forte.

Iniziai a sentirla, sopratutto di notte.
La scimmietta, così amava chiamarla Edoardo, si muoveva di continuo e disturbava il nostro sonno con una certa cadenza. Io mangiavo, di continuo. Sul lavoro iniziai a faticare, ma scelsi di essere presente in ufficio finché mi fosse stato possibile. All'ottavo mese, con i piedi gonfi nelle scarpe da lavoro, la vescica urlante e la schiena a pezzi, il Fausti spinse perché iniziassi la maternità.

Provai un immenso dolore, ma alla fine accettai. Non ero davvero più in grado di sostenere le otto ore di lavoro seduta alla scrivania.

Filippo prese la notizia con entusiasmo. Io e Edoardo glielo dicemmo praticamente subito, perché trovammo giusto che il bambino lo sapesse prima degli altri. Dopo la visita in cui scoprimmo il sesso, Filippo gioì per il fatto che presto avrebbe avuto una sorellina. L'idea di essere il fratello maggiore lo eccitava da morire.

L'ultimo mese di gravidanza fu snervante e infinito. La schiena mi duoleva di continuo, dovevo spesso essere accanto alla toilette per fare pipì. Ringraziai il fato per avermi concesso una gravidanza priva di nausee. Con Filippo non mi era andata poi così bene.

Aurora nacque con l'inizio della bella stagione. Il caldo, unito alla forte percentuale di umidità e la stanchezza accumulata, mi regalarono un travaglio degno di un premio Oscar.
Non tanto per le ore passate a gestire le contrazioni con il respiro, ma piuttosto per il dolore, così forte ed intenso, da sovrastare persino quello che avevo provato con il primo parto.

Mia madre, Filippo e persino Berghi decisero di restare in sala d'attesa per tutto il tempo, pazienti e silenziosi.
Edoardo invece volle restare per assistere al parto e per mia fortuna, non svenne.

Una fagottina di poco più di tre chili, cinquanta centimetri d'amore e capelli biondi come il padre.
Piansi, in modo liberatorio, emozionato,  grata del fatto che avessimo aggiunto un tassello importante nelle nostre vite.
E con Aurora fu subito amore. Uno scricciolo buono, paziente. Lei mangiava, dormiva, regalava sorrisi a tutti sin dai primi mesi di vita.

Mia madre prese con entusiasmo il fatto di essere diventata nonna di nuovo e mi trovai spesso ad immaginare mio padre con noi. Sarebbe stato felice di essere di nuovo nonno, avrebbe amato quella bambina più della sua stessa vita.

Il Berghi diventò presto un uomo amorevole e pieno di attenzioni, sia per me, sia per la bambina. Veniva spesso a trovarci, sostava a casa nostra per ore e la cosa non poteva che farci piacere. Cullava la nipotina, cantava ninnananne dolcissime. Si commuoveva e lo faceva con il cuore.

Tra tutti, il cambiamento più radicale lo ebbe Edoardo. Vederlo in veste di padre mi fece innamorare per la seconda volta di lui e ogni giorno sempre più intensamente. Era sempre pronto per aiutarmi, sebbene non gli venisse facile cambiare pannolini. Si sforzava, ma la cosa lo metteva spesso in un angolo con lo stomaco sottosopra. Fintanto che non trovo l'escamotage di tappare il naso con una molletta, il che gli rese il cambio pannolino una vera passeggiata.

L'armonia nel nostro appartamento era cambiata. Filippo pretese che la piccola dormisse nella sua stanza, cosi ci vedemmo obbligati a rendere la stanza di quest'ultimo adatta alla nuova arrivata. Nei suoi sette anni abbondanti, Filippo si dimostrò un bambino fantastico, completamente a proprio agio nel ruolo di fratello maggiore.
Non si lamentava mai, nemmeno quando la neonata piangeva di notte. Spesso era lui ad alzarsi, venire nella nostra stanza per avvertirci. Restava al mio fianco finché Aurora non tornava a dormire e solo allora si rimetteva nel suo lettino.

Arrivai a pensare che l'arrivo della piccola fosse l'ennesima benedizione per la nostra famiglia, fintanto che dopo qualche mese di idilliaca convivenza, qualcosa si ruppe nel meccanismo fantastico in cui eravamo stati proiettati.


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