Capitolo 1

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Sette giorni dopo.

La potente brezza mi scompigliava i capelli e mi frustava le guance, ma la mia divisa svolgeva bene il suo compito di protezione, impedendo al mio corpo di rabbrividire. Ormai avevo quasi fatto l'abitudine a quel vento impetuoso che da giorni non voleva saperne di smetterla, come per lamentarsi della recente caduta degli Orion.

Distaccai gli occhi dalla macchia verde smeraldo che si estendeva all'orizzonte e mi voltai, incrociando il profilo imponente dell'Istituto. All'esterno appariva proprio come era anche all'interno: semplice e austero, ma protettivo ed efficiente. Non potevo credere che gli umani non fossero in grado di scorgere una tale bellezza. Bellezza che ai miei occhi risultava solo soffocante. Ero riuscita a resistere chiusa in quella struttura per una settimana, poi non ce l'avevo fatta e avevo chiesto ad Ace il permesso di uscire.

Non mi avrebbe mai mandata in circostanze normali; era stato dopo una lunga seduta di racconti che aveva finalmente saputo la verità sulla mia natura, e probabilmente aveva iniziato a sentirmi sfuggente, proprio come io stessa mi percepivo. Avevo bisogno di aria, necessitavo libertà, e in fondo lui sapeva che le vicinanze dell'Istituto erano un posto sicuro.

Aveva accettato, alla fine. Mi aveva consentito di varcare quella soglia per un'ora al giorno, giusto il tempo di scaricare la tensione sotto le suole delle scarpe che percorrevano avidamente i prati rigogliosi.

La porta blindata d'ingresso iniziò a tremare e, piano, ritirò ogni lato verso le pareti vicine fino a sparire, come se non fosse mai esistita. Non mi sorpresi di vederla aprirsi. Probabilmente la mia prima ora di libertà era giunta al termine e Ace aveva mandato qualcuno per ricordarmelo.

Dalla penombra dell'interno fuoriuscì una figura piccola e femminile, dalle guance paffute e i capelli acconciati con cura. Incrociai i suoi occhi nocciola e sorrisi per la prima volta in quel giorno, riconoscendo in lei l'amica che mi aveva molto atteso.

Hailey non si era certo dimenticata di me come io avevo quasi fatto con lei, e il pensiero mi faceva sentire maledettamente in colpa nei suoi confronti. Mentre io ero stata talmente focalizzata sul mio obiettivo da non poter pensare ad altro, lei si era informata su di me e sul mio stato di salute, ricevendo aggiornamenti continui da Elijah. Tutto ciò mi era stato raccontato la prima volta che ci eravamo rincontrate, giorni prima, quando mi aveva stretta tra le sue braccia così forte che avevo pensato di non potermene più andare. E la cosa aveva contribuito ancora di più al senso di soffocamento che si stava già sviluppando.

Nonostante la missione fosse finita bene, mi ero sorpresa a voler rifiutare ancora una volta contatti con gli altri, e avevo resistito per un soffio dal distaccarmi dal suo abbraccio. Non l'avevo ricambiato del tutto, ma probabilmente lei aveva capito.

«Ti senti davvero a tuo agio qui fuori?» La sua domanda era innocente, un mero tentativo di iniziare una conversazione amichevole; non potei fare a meno di pensare a quanto non mi sentissi veramente a mio agio da nessuna parte. Il mio sorriso, faticosamente ottenuto, svanì.

«All'interno c'è troppo chiasso» risposi, sforzandomi di mantenere un tono neutro. Era vero, l'Istituto era in fibrillazione. Da quando eravamo tornati, un via vai di gente non faceva altro che passare per i corridoi del dormitorio per conversare con Dante, il primo in assoluto a esser mai tornato indietro dalle prigioni Orion; i festeggiamenti si erano susseguiti uno dopo l'altro, urtando chiunque avesse preso parte alla missione. L'Elementalista non reggeva più tutte quelle attenzioni su di sé, e Ace faceva il possibile per garantire la sua tranquillità, ma erano tentativi vani il più delle volte.

Darrell si era semplicemente volatilizzato, anche se quella mattina avevo ricevuto la notizia che era stato avvistato per i corridoi dell'Istituto. Per Dakota e Valeria non avevamo ancora trovato una sistemazione. Con loro non mi ero proprio comportata da brava amica. Ero andata solo una volta a trovarli, in cui mi ero trattenuta per pochissimo tempo. Le mie attenzioni rimanevano concentrate su altro.

«Il capo ti aspetta, deve parlarti. Mi dispiace, forse possiamo allungare e prendere vie meno frequentate» ipotizzò Hailey, vedendo quanto fossi restia a rientrare.

Mi sforzai a far riaffiorare il sorriso ancora per qualche secondo. «Grazie, Hailey. Vado da sola» assicurai. La superai all'entrata e lasciai a lei il compito di richiudere tutto.

Non mi limitai ad allungare la strada, percorsi di proposito ogni via più esterna e ristretta, scegliendo con cura i corridoi che ormai conoscevo bene. Era una settimana che prendevo solo vie secondarie, e ormai le avevo imparate a memoria. Le attraversai con tranquillità, mentre da lontano mi arrivava l'eco dei festeggiamenti nel ristorante.

Mi chiesi dove fosse Dante. Non riuscivo più a percepirlo attraverso il legame da quando aveva recuperato le forze. La sua guarigione era stata piuttosto rapida, merito dei Guaritori e del suo fisico forte. Aveva ripreso gli allenamenti da qualche giorno, ma non sapevo altro. Era diventato freddo e sfuggente, e mi aveva scioccata con la nostra ultima conversazione, tanto da farmi desistere dal continuare ad avvicinarmici.

Avevo cose importanti da dirgli, ma non voleva ascoltarmi. Aveva già sentito la mia ipotesi che Zero fosse ancora vivo, ma ora ne avevo praticamente la conferma. Lo sentivo ronzare agli angoli più remoti della mia mente, quasi inesistente, ma c'era, ed ero sicura che fosse lui. Mi sforzavo a tenerlo lontano il più possibile, ma non sembrava una minaccia. Nemmeno se mi concentravo riuscivo a individuare dove fosse o in che condizioni stesse, e lo stesso valeva per lui, probabilmente. Ciononostante, non era sicuro esporre così l'Istituto, quindi, il giorno dopo il nostro ritorno, avevo provato a dirlo a Dante.

Non era stato facile fermarlo al centro del corridoio una volta che eravamo rimasti soli. I suoi occhi di ghiaccio mi avevano perforato il cuore quando mi aveva rivolto uno sguardo fulminante, ma ero comunque stata in grado di continuare.

«C'è come un'interferenza tra noi» gli avevo spiegato, cercando il coraggio di nominare Zero. Io ero un tasto dolente per Dante, e me ne rendevo pienamente conto. L'Orion lo era altrettanto, anche se in un modo diverso, quindi avevo paura che parlandone avrei allontanato il changer da me più di quanto non fosse già.

Dante si era girato del tutto a sentire le mie parole e si era avvicinato per incombere su di me, obbligandomi ad alzare la testa per guardarlo. Il suo viso era in ombra, ma avevo potuto scorgere benissimo il luccichio nei suoi occhi nel vedermi.

«Non c'è niente tra noi. Impara a tenere a freno quel dannato legame e non provare più a intrufolarti nella mia testa.» La sua voce era stata così bassa e monotona, eppure altrettanto raggelante e spaventosa. Ma non potevo darmi per vinta, avevo deciso di insistere, a mio rischio e pericolo.

«Tu non capisci, Dante! Sto parlando di...» Avevo esitato, e quello mi era costato la fine della conversazione. Dante mi aveva dato le spalle e aveva continuato per la sua via, come se io non fossi mai esistita. Da quella volta non l'avevo più visto, se non di sfuggita.

Raggiunsi il terzo piano, persa tra i ricordi ancora vividi. Forse avevo fatto bene, forse no, ma alla fine non ero riuscita a dire nulla riguardo la minacciosa presenza dell'Orion. Ero sempre in tempo per obbligarlo ad ascoltarmi, ma se gli avessi detto di Zero lo avrei fatto soffrire, e gli avrei dato una speranza che avrebbe anche potuto essere falsa. Una speranza che, in ogni caso, non avrebbe dovuto essere viva. Zero era il nemico.

Arrivai all'ufficio di Ace che era passata una mezz'ora buona da quando ero rientrata. Sperai che il capo non me ne volesse e bussai venendo subito accolta dalla sua voce cordiale.

Evitai convenevoli e andai dritta al punto, ormai avevamo imparato a essere schietti l'uno con l'altra. «Volevi vedermi?»

Ace non era al di là della sua scrivania come avevo immaginato, bensì sostava in piedi davanti al divanetto sulla destra, sul quale ipotizzai fosse stato seduto fino a un momento prima.

«Sì, non ti tratterrò molto. Perdonami, cara, per dover limitare il tuo periodo di libertà, ma penso che tu capisca che già stiamo rischiando troppo.»

Annuii e attesi che procedesse. Fece un passo verso di me e si fermò a circa un metro di distanza.

«È passato abbastanza tempo affinché tutti si ambientassero dopo il vostro ritorno.» Pensai che non era prettamente vero, ma rimasi in silenzio, e lui continuò. «Ho delle cose da dirvi. Ho bisogno che presenziate a una riunione ristretta questa sera. Sarò qui ad aspettarvi subito dopo cena.»

Non specificò i componenti della riunione, si limitò a rivolgermi quella richiesta indiretta che non potevo assolutamente rifiutare. Annuii di nuovo, ma questa volta diedi enfasi al movimento con le parole. «Ci sarò.»


Ormai avevo imparato a conoscere Ace quel tanto che bastava da poter trapassare con lo sguardo almeno parte della sua maschera di cordialità. Ciò che vi avevo visto nel suo studio era una leggera agitazione che lo turbava, che mi suggeriva che non era ancora finita, che ci sarebbe stato dell'altro.

Mi soffermai a riflettere su cosa avrebbe potuto dirci. Era parso importante dal tono in cui me l'aveva comunicato. Le ipotesi erano tante e al contempo nulle. Era successo di tutto negli ultimi tempi, e il periodo di tranquillità piatta che ne era seguito pareva quasi irreale.

In ogni caso, ero sicura che il capo ci avrebbe comunicato qualcosa che avrebbe di nuovo sconvolto le nostre giornate, quindi volevo prepararmi.

C'era una cosa che dovevo fare, che continuavo a rimandare da una settimana e che ormai non potevo più eludere. Non sapevo se avrei avuto la forza o la possibilità per farlo in futuro, quindi mossi le gambe in maniera meccanica fino alla mia destinazione. Non mi sentivo ancora pronta, ma glielo dovevo. Pensare che tutto fosse tornato come prima era di certo un'illusione, ma ora che Dante era qui e io potevo permettermi di rilassarmi, anche se solo in sua assenza, dovevo prodigarmi per recuperare quei due mesi di mancanza, sia mentale che fisica.

Aspettai quindi nella zona scolastica il termine delle lezioni e la conseguente uscita dei bambini dalle aule. Era ora che affrontassi Gabriel e gli spiegassi tutte le ragioni per cui ero sparita nelle scorse settimane. Aveva sempre detestato che gli parlassi come un bambino, pertanto gli avrei fatto un discorso da adulta a adulto.

Che capisse non era una garanzia, ma questo era tutto ciò che potevo fare, questo e chiedergli scusa dal più profondo del cuore.

Non ero pentita di averlo evitato. In quei momenti ero stata instabile e avrei potuto fargli male mentalmente o addirittura fisicamente. Chiedergli scusa, però, era il minimo che potessi fare, poiché avevo preso questa decisione da sola, tenendolo all'oscuro di tutto ciò che mi stava succedendo.

Non sapevo di preciso l'orario di uscita, ma di sicuro era prima di pranzo, quindi la mia attesa non sarebbe durata a lungo. Passò circa un'ora, durante la quale provai a formulare un discorso sensato da rivolgere al ragazzino. Ogni frase che escogitavo sembrava non essere mai abbastanza per esternare ciò che sentivo davvero nel mio cuore, e ogni pensiero si confondeva insieme agli altri affollando la mia mente.

Rinunciai quando i primi scolari, quelli più piccoli, iniziarono a riversarsi nel corridoio, allegri come solo bambini della loro età potevano essere. Il chiasso dilagò nell'aria e io passai inosservata, ad attendere che tutti svanissero. Dopo parecchie manciate di minuti, quando anche l'ultimo bambino ebbe girato l'angolo, il corridoio si svuotò del tutto. Non c'era neanche l'ombra di Gabriel. Che non avesse frequentato la scuola proprio quel giorno? Ma perché mai doveva avere un motivo per saltarla? Ace non aveva accennato a nulla di grave, quindi cos'altro poteva essere?

Delusa, feci per andarmene, quando un bagliore lattiginoso attirò la mia attenzione. Rialzai gli occhi sul corridoio e vidi spuntare da una classe una figura spettrale e luminosa. Aveva una forma che da quella distanza non riuscii a distinguere, ed emanava una flebile luce derivata dalla magia. Alla piccola figura fluttuante ne seguì un'altra, e poi un'altra ancora, ma quest'ultima aveva tutte le fattezze di una persona, una persona che conoscevo bene.

Gabriel camminava concentrato accanto alle sagome, osservandole quasi affascinato. I suoi capelli biondo cenere erano vagamente illuminati da quel piccolo bagliore mentre le sue gambe magre procedevano per il corridoio vuoto, senza che guardasse dove stava andando. Fu per questo che non mi vide, nemmeno quando uscii dall'angolino per studiare meglio quella strana magia che gli vorticava attorno.

La bocca mi si spalancò immediatamente e, proprio in quel momento, Gabriel mi notò, fermandosi al centro del corridoio, a qualche metro da me. Le figure eteree che lo circondavano svanirono in un batter d'occhio, e il ragazzino piantò lo sguardo nel mio, il corpo bloccato dall'improvvisa sorpresa.

«Cosa...» mi schiarii la voce. «Cos'erano quelle

Il ragazzino mi fissò senza proferire parola, facendo un passo verso di me e studiandomi come a chiedersi se fossi la vera Lucrezia. In quel momento mi resi conto che non mi ero presentata nel migliore dei modi. Avevo ipotizzato così tanti discorsi e poi avevo rovinato tutto.

«Un Evocatore» mormorò con tono flebile. «Sono un Evocatore» disse in maniera più distinta, ma comunque titubante.

L'informazione mi scioccò. Davvero avevo perso così tanto, in soli due mesi, da non sapere che tipo di magia avesse?

«Oh, Gabriel...» La voce mi si incrinò, le parole vennero meno, e gli occhi si inumidirono.

Temetti che il ragazzino non volesse più vedermi né parlarmi, ma inaspettatamente, dopo qualche secondo passato a tormentarsi le mani, corse verso di me coprendo quei maledetti metri che ci separavano.

«Lu'!» Si infilò tra le mie braccia e io lo strinsi, trovandolo più grande rispetto all'ultima volta. Cresceva così in fretta che avevo rischiato di perdermi per sempre quel bambino così pieno di gioia che sapeva portarla anche in me.

«Sei un Evocatore! Mi sono persa così tante cose...» mormorai contro la sua testa. Anche prima mi arrivava al collo?

«Non hai perso niente, sei qui ora.» Il suono uscì attutito dalla sua bocca contro la mia divisa, ma le sue parole mi scaldarono il cuore non appena le distinsi. Non portava rancore, non avrebbe cercato di farmi sentire in colpa. Semplicemente aveva capito, come aveva sempre fatto. Capiva sempre tutto, lui.

«Ti faccio vedere» disse, distaccandosi da me e allontanandosi di qualche passo. «L'ho scoperto qualche settimana fa. Mi sentivo... solo e... beh, queste cose sono apparse in camera mia mentre mi annoiavo. Solo dopo ho capito che erano evocazioni» spiegò. Alla parola "solo" il mio cuore fece una capriola nel petto. Era colpa mia, era tutta colpa mia se si era sentito solo. Senza più Dante, avrebbe avuto almeno bisogno di me, ma io non c'ero stata per lui.

Gabriel mi prese la mano per attirare la mia attenzione. Nel momento in cui lo guardai negli occhi, lo trovai davvero cresciuto, nonostante la sua vocina rimanesse sempre la stessa, nonostante la sua manina nella mia era piccola e fragile.

«Ora è tutto ok» sussurrò, serio. «Me l'hai riportato, Lu'. Solo tu sei stata in grado di farlo.» Non nominò Dante, ma pensare a lui mi fece comunque nascere un brivido dietro la nuca.

Mi sforzai di sorridere perché in fondo era vero: Dante era con noi al sicuro nell'Istituto e non in mano agli Orion. E non importava se nel frattempo era cambiato, se mi odiava, o se non ci avrei mai più sostenuto una conversazione normale. Lui era salvo ed era questo l'essenziale.

«Allora, vuoi vedere o no ciò che sono in grado di fare?» cercò di distrarmi Gabriel.

Ero davvero curiosa, volevo sapere tutto ciò che mi ero persa in quei mesi. Infusi tutto l'entusiasmo che possedevo nel mio seguente sorriso e annuii, facendolo felice. Ogni traccia di serietà svanì dal suo volto per lasciare spazio a quella felicità bambinesca che lo portò pian piano verso la concentrazione.

Accanto a lui ricominciarono ad apparire contorni appena luminosi che non riuscii a distinguere. Non era stata la lontananza a non permettermi di capire che dimensioni avessero, poiché in realtà non avevano una forma ben precisa.

«Ace dice che prenderanno una sagoma più nitida quando crescerò. Sai, i changers scoprono la propria magia a quindici anni, è un po' presto per me.»

In effetti, a Gabriel mancava ancora un anno prima che entrasse nell'età adulta dei changers, eppure aveva scoperto già il suo tipo di magia, mentre io ci avevo messo quasi diciotto anni.

«Ho sempre saputo che eri molto maturo per la tua età, ma questo sorprende persino me!» lo lodai, vedendolo gonfiare il petto per l'orgoglio.

Sorrisi pensando che una situazione del genere era proprio ciò che mi ci voleva. Con Gabriel mi sentivo più tranquilla, improvvisamente tutti i problemi sembravano diventare più leggeri, persino la chiacchierata imminente con il capo, in programma per quella sera.

«Posso pranzare con te?» mi chiese con la sua vocina, accompagnando la richiesta con occhi dolci.

Sorrisi e gli presi la mano, mentre le evocazioni iniziavano a sparire. «Certo, Gabriel.»

Mi voltai e ci incamminammo verso il ristorante, ma, subito dopo aver girato l'angolo, le mie narici captarono un odore fresco e familiare, un odore che ultimamente era diventato simbolo di ogni mio cruccio, un odore che non avrei mai potuto confondere con altri.

Dante era stato qui e se ne era andato da poco, una questione di secondi e avrei potuto incontrato. Ma tutto ciò non poteva essere un caso. Dante era stato qui per controllarmi, mi aveva seguita, nonostante non avesse senso.

Cosa ti passa per la testa, ragazzo di ghiaccio?

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