CAPITOLO 26

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Continuammo a camminare, fermandoci di tanto in tanto per farmi riprendere fiato, finché non raggiungemmo un enorme cancello di circa cinque metri.

Apparentemente sembrava in ferro, tuttavia, aprendolo, capii che si trattava di ossidiana. Attorno alla cancellata si arrotolavano dei rovi scuri, dalla quale spuntavano qui e lì, delle rose bianche, contrastando con il tetro ambiente circostante.

“Resta al mio fianco.”

Leith strinse così forte la mia mano da farmi male. Teneva lo sguardo fisso avanti a lui, senza concentrarsi su un punto ben preciso, mentre la schiena era rigida, come pronta a scattare in qualsiasi momento. Attraversammo il cancello, che ci accolse con un cigolio stridente. Iniziammo cautamente a camminare lungo una stradina in ghiaia, sormontata da archi completamente rivestiti da rose bianche, e circondata su entrambi i lati da un ampio spazio, secco e bruciato, ma meticolosamente pulito e ordinato. L’aria aveva un intenso profumo di rose, penetrante e sdolcinato.

“Dove sono gli altri?” Chiesi quasi sussurrando a Leith.

Questa domanda mi era sorta già nelle Pozze Infernali. Le strade per raggiungere il Castello, a detta di Leith, erano solo due.

Come avevamo fatto a non incontrare mai altri demoni?

Inizialmente non ci avevo dato troppo peso, pensando che magari per gli altri ospiti fosse preferibile passare per il bosco, ma ora che ci ritrovavamo ai piedi dell’immensa villa dove si sarebbe tenuto il Vaglio delle Rose, il fatto che l’aria fosse oppressa dal silenzio, mi sembrò strano e inquietante allo stesso tempo.

“Saranno già dentro.” Rispose Leith secco, ancora visibilmente teso.

Raggiungemmo a passo lento il portone di ingresso, che si aprii prima ancora che potessimo bussare.

“La Disperazione delle Anime vi accoglie con fervore.” Parlò un essere semiferino, gobbo e basso, che ricordava un gargouille.

Con uno sguardo sornione ci indicò, aprendo il braccio, di entrare. Un’immensa scalinata in marmo nero si stagliava davanti a noi, coperta da un lungo e candido tappeto. Si stagliava verso il soffitto altissimo, unito a formare un arco a volta, dal quale centro pendeva un enorme candelabro. Incastonate nelle pareti e disposte simmetricamente nell'ambiente circostante, c'erano delle snelle colonne in ossididiana. Dalle pareti nascevano anche i corrimano della scalinata che proseguiva fino al piano superiore. Il gargouille, chiusa la porta, ci fece strada. Raggiunta la sommità, le scale si dividevano in due ampi corridoi. Noi prendemmo quello a sinistra. Appese alle pareti, per tutta la lunghezza del corridoio, c’erano innumerevoli specchi, molti di questi rotti, che posti sia da un lato che dall’altro, creavano un effetto ottico disorientante. Gettai lo sguardo in quegli specchi più volte, ma non riuscii mai a vedere il mio riflesso; al contrario Leith, poteva vedere anche le sue ali. Una volta che anche lui notò questa stranezza, mi tirò leggermente la mano, strappandomi dai miei pensieri. Non potei tuttavia fare a meno di sentire il breve sghignazzo del gargouille, che mi fece accapponare la pelle. Rimuginai ansiosamente su quale potesse essere stata la causa della sua risata, ma infine, decisi che sarebbe stato meglio ignorarlo, e continuai a camminare nel completo silenzio, interrotto solo dal rumore dei nostri passi.
Dopo cinquecento metri di corridoio il gargouille ci condusse davanti una porta a due ante, in legno di frassino, arrestando la sua marcia.

“Questa è la sala dove si svolgerà la cerimonia.” Disse con lo stesso sorriso sornione con il quale ci aveva accolti.

“Vi prego di indossare queste rose.” Ce ne mostrò un paio che si era appena tolto dalla tasca interna della sua giacca.

“Per Lei.”

Porse a Leith una rosa bianca che, esitante, accettò, mettendola nel taschino.

“E per te.”

Disse l’ultima parola con freddezza e disgusto, mentre mi porgeva, con poca cura ed uno sguardo al limite del disgusto, una rosa rosso scarlatto.

Allungai lentamente la mano per prenderla, ma prima che potessi anche solo sfiorarla, Leith la prese dalle mani dell’essere, rivolgendogli uno sguardo truce, e me la incastrò tra i nastri del corpetto, assicurandosi che lo stelo fosse ben nascosto e che le spine non mi potessero pungere.

“Godetevi pure la cerimonia.”

Lo pseudo-gargouille spinse le ante, aprendo la porta. Presi un lungo respiro e strinsi la mano di Leith, che mai mi aveva lasciato.

“Qualunque cosa accada”

Iniziò Leith, bisbigliando vicino al mio orecchio in modo tale che solo io e lui potessimo sentire.

“abbi fiducia in me.”

Annuii, deglutendo a fatica, mentre gli arti cominciavano a tremare.

Ora non potevo più tornare indietro.

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