CAPITOLO 4

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“Perché è in quello stato?!” Sentii una voce familiare provenire dal soggiorno.

Con un verso gutturale cercai di sollevarmi, ma il mio corpo, anche se faceva meno male, era come un macigno. Quando mi riabbandonai al cuscino sentii del passi farsi vicini.

“Alexa!” I miei occhi si illuminarono quando sulla soglia della porta vidi Leith, che mi fissava con delle iridi cristalline. Ma non era in buone condizioni. Riusciva a malapena a tenersi in piedi e se ne stava appoggiato allo stipite della porta, con una carnagione più pallida del solito, con il volto scavato e gli occhi segnati da profonde occhiaie. Nonostante il suo stato fui così felice di vederlo che trovai la forza per donargli uno dei miei più ampi sorrisi. Il suo sguardo si raddolcì a quella visione e le sopracciglia gli si incurvarono verso l’alto. Mi venne incontro a passo traballante, mentre da dietro spuntò Reuel, accompagnato dalla piccola Ruelle.

“Quando mi sono svegliato e ti ho trovata lì-“ Leith si inginocchiò al mio fianco, ai piedi del letto.

“Perché sei così? Cosa ti è successo?”

Il suo sguardo percorreva ogni centimetro del mio volto, soffermandosi su ogni taglio, graffio o abrasione.

“L’importante è che ora tu stia bene.” Dissi, ma i suoi occhi si illuminarono di una luce cupa.

“Non cambiare argomento. Alexa co-“

Si bloccò improvvisamente, come colto da un malore, i suoi occhi si fecero vermigli in pochi secondi e il suo sguardo si spostò rapido su quello di Reuel.

“Quel libro!” Disse Leith furente indicando il soggiorno, dove evidentemente doveva trovarsi il volume.

“Non è tuo, vero?!”

Aveva gli occhi spalancati e un sorriso tirato sulle labbra, mentre lo sterno aveva preso a sollevarglisi velocemente. Reuel incrociò il suo sguardo con il mio, ma non disse nulla. Pochi istanti dopo si trovò con le spalle al muro, mentre Leith lo teneva stretto dal collo della maglia.

“Dimmi...” Disse scandendo ogni lettera.

“…che non è andata nel Sottomondo."

Strinse con più forza la presa attorno al tessuto mentre con l’avambraccio continuava a spingere l’angelo contro il muro.

“Leith aspetta, Reuel non-“

Reuel.” Ripeté con disprezzo, guardandomi.

“Doveva fare solo una cosa, ed era evitare che tu facessi cazzate!

Ora la sua attenzione era nuovamente rivolta all’angelo.

“Quindi non dirmi, che non c’entra!”

I suoi capelli iniziarono a schiarirsi, partendo dalle radici e scivolando verso le punte, diventando candidi. Era la prima volta che lo vedevo trasformarsi. Raccolsi tutta la mia forza e scesi dal letto, raggiungendolo dall’altra parte della camera. Lo afferrai per il braccio, nella speranza che potesse lasciare la presa sul Reuel, e in un certo senso lo fece. Cambiò il soggetto su cui rilasciare la sua collera, e mi afferrò per il collo, premendo la collana sul mio petto, e strozzandomi. Il suo sguardo, vermiglio e affilato, nel mio, era vuoto.

“Lei-th-“

Come se fosse stato colpito da una scossa lasciò la presa, sbattendo più volte le palpebre, e si allontanò dal mio corpo. Ru, che finora era rimasta in disparte, si avvicinò al mio fianco.

“Io- Scusa…”

I suoi capelli, ora stretti in un pugno, tornarono corvini. Reuel spinse Leith con forza, spostandolo di lato, e si avvicinò a me, accertandosi che io stessi bene. Nascosto dietro all’angelo, Leith abbassò gli occhi, fissando il suo sguardo sul palmo con il quale mi aveva soffocata, poi aggrottò le sopracciglia.

“Quel…calore…” Bisbigliò come se stesse parlando da solo.

“È il ciondolo.” Intervenne Reuel, freddo e distaccato.

“L’ambra incastonata nella fenice.” Continuò.

“Ma non ha senso.” Intervenni sollevata che l’argomento si fosse spostato ad altro.

“Lo ha già toccato in passato e non è successo nulla.”

“Ora si è attivato.” Mi rispose l’angelo.

In quel momento mi ricordai del ponte, di come ero prima caduta nel vuoto e poi fluttuata nell'aria fino a toccare il suolo. Ricordai, ma evitai di farne parola, per non peggiorare la situazione.

“Anche nel Regno Celeste gli angeli hanno una pietra preziosa identificatrice?” Chiesi rigirandomi più volte il ciondolo tra le dita.

Reuel scosse leggermente la testa.

“Solo gli arcangeli.” Rispose con voce calma.

“E l’ambra chi rappresenta?” Intervenne inaspettatamente Leith.

“L’arcangelo Michele.” Rispose l'angelo, nuovamente freddo.

Abbassaidi nuovo lo sguardo sul ciondolo, ammirando ogni sfaccettatura dell’ambra colpita dalla luce. Poi tornai a concentrare la mia attenzione su Leith.

“Non ci hai ancora detto chi ti ha ridotto in quello stato.” Corrugai un po’ le sopracciglia, preoccupata.

Lo vidi esitare un po’, poi prese a parlare.

“Quella sera, avevo appena finito il giro di pattuglia nei tuoi dintorni, e stavo per tornare da te, quando sono stato chiamato dal Sottomondo con la scusa di avere un incarico da svolgere. Ma era una trappola. Saranno stati in sette, mi hanno circondato, bloccato, avvelenato con una serpe delle Pozze Infernali e sciolto dal contratto per l’uso delle ali. Non potevo venire da te rischiando di metterti in pericolo, così sono tornato a casa, ma il veleno era da troppo tempo in circolo e non sono riuscito a contattarti in tempo. Sono rimasto in quello stato finché non mi hai trovato.”

Lo ascoltavo senza parlare, mentre la mia preoccupazione e angoscia salivano con il proseguire del discorso. Seguirono dei momenti di silenzio, poi Reuel ci interruppe bruscamente.

“Credo sia arrivato il momento che Alexa torni a casa, sei stata via troppo tempo.” Annuii, anche se un po’ titubante.

“Ti accompagno.” Continuò l’angelo.

“No. La accompagno io.” Si intromise Leith, guardandolo con aria di sfida.

“Non puoi più volare.” Intervenne Reuel.

“Ma ho la macchina.” Si oppose Leith determinato. L’angelo finì per cedere e ci avviamo davanti la porta d’ingresso.

“Sarà meglio che Ru resti con Alexa.”

“Non abbiamo bisogno di una mocciosa.” Disse Leith a braccia conserte.

“È un aiuto in più.” Annuii io, acconsentendo alla proposta di Reuel.

Vidi Ru fare la linguaccia a Leith.

“Brutt-“ In tutta risposta, l’angioletto, con nonchalance, colpì Leith negli stinchi con un calcio mentre si avvicinava al mio fianco.

“Leith, basta fare il bambino.” Lo ammonii scherzosa.

“Andiamo.”

“Bamb- Io?!” Aveva occhi e bocca spalancati.

“Così mi ferisci Alexa!”

E con un gesto teatrale si portò il palmo sul petto, fingendo un malore. Alzai gli occhi al cielo ridendo, e poco dopo fummo fuori.

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