Capitolo 14

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Anno 1253, Aprile.

Crowley aveva gli occhi spalancati e impauriti. Erano l'unica cosa realmente visibile in quella stanza buia, luccicavano come topazi.
Aziraphale fece un paio di passi in avanti, tenendo in mano torcia (poco più che un bastone con del muschio tenuto stretto da stracci sulla cima) che illuminava ben poco nell'ambiente di roccia.

"Sei tu - sibilò Crowley, con una nota di panico nella voce - È vero che sei tu?"

Lo vedeva chiaramente, il viso paffuto, il naso dritto e all'insù, i capelli così biondi da sembrare bianchi. Ma la paura, oh la paura poteva portarlo a dubitare di qualsiasi cosa.

"Crowley, certo che sono io. Chi altro potrei essere, sennò?" disse lui, con un tono sorprendentemente dolce, che con lui non aveva mai usato, prima.

Crowley, che se ne stava accucciato in un angolo, con la schiena contro la roccia, soffiò come avrebbe fatto un serpente nel vedere l'altro avvicinarsi.

"Non... non starmi... vicino..." disse lui, come soffocato dall'aria.

"Perché non ti sei miracolato via, si può sapere?"

Crowley respirava velocemente, le pupille rese più sottili, come tagli nel vuoto su una superficie dorata. Appena riusciva a tirar fuori le parole dalla propria gola.

"Perché... perché non... non sapevo che avrebbero... il panico, me ne sono accorto tardi..."

Crowley respirò in modo confuso, come se non riuscisse a distinguere l'inspirazione dall'espirazione, con il petto sottile e nudo che si agitava, le costole che premevano affilate contro la pelle. Si posò le mani sulle palpebre e le sentì bagnate. Stringeva le gambe contro il petto, come a creare un muro per separarsi dal resto del mondo, o una gabbia per rinchiudersi da solo.

"Ora andrà tutto bene, intesi? Ho... ho portato..."

Aziraphale si tolse il bagaglio che portava sulle spalle e ne tirò fuori una coperta ruvida, porgendola all'altro.

Crowley la prese in mano, piuttosto dubbioso. Poi guardò Aziraphale "Pensavo che secondo te noi due non dovessimo collaborare in alcun modo."

Il demone non si curò affatto di essersi fatto dare un piccolo aiuto da un angelo. In fondo, non gli era mai importato da quando aveva conosciuto Aziraphale.

"No, beh, insomma, hai..."

"Se fossi morto, qualcuno ai piani alti avrebbe fatto un gran bel brindisi." Crowley si coprì, tenendo al caldo il corpo seminudo. La coperta graffiava e pizzicava ma in quel momento non gliene sarebbe potuto importare assolutamente nulla.

Aveva freddo.

Aziraphale rimase in silenzio, rigido e nervoso.

Crowley si scaldò un poco, con la coperta sulle spalle. Faceva freddo, in quella caverna. Poi alzò lo sguardo verso Aziraphale.

L'Angelo sembrava non sapere esattamente come comportarsi, a disagio com'era. Però era andato via dal piccolo paesino dove i due si trovavano, cercandolo e trovandolo solo per dargli una coperta, per dargli un minimo di conforto.

Crowley lo fissò, muto. Fissò i suoi occhi il cui azzurro riluceva riflesso dalle fiamme della torcia. I suoi occhi, incerti quanto i suoi. Che cosa stavano facendo da più di cinquemila anni? Che cos'era, quel loro stupido inseguirsi e cercarsi, aiutarsi a vicenda e cercare compagnia?

Perché mai un angelo avrebbe dovuto offrire una coperta e un sorriso rassicurante quanto nervoso al suo nemico naturale?

"Grazie."

"... che cosa?"

"Per la coperta, grazie."

Crowley calmò lentamente il proprio respiro.

Quello che era appena successo, a ripensarci, era folle. Tanto folle che non ne ricordava nulla di preciso. Solo brevi flash delle proprie braccia prese e strattonate, quell'attimo folle in cui si era accorto che gli uomini non gli avrebbero dato fuoco e non lo avrebbero annegato.

Entrambe le cose erano orrende, certo, ma si trattava solo di discorporarsi, passare due o tre anni a compilare scartoffie e tornare come nuovo.

Il problema era arrivato quando la folla, resa isterica dai suoi capelli rossi e dalle urla che lo avevano chiamato "strega!" lo aveva condotto nella piccola chiesa di pietra del paesino. Lo avevano fatto entrare a forza nel piccolo ambiente, bruciandogli la pianta dei piedi senza saperlo. Il suolo consacrato lo divorava come fuoco, incendiandogli le gambe con fiamme di dolore.

Acqua santa, aveva pensato, guardandoli, lo stavano portando verso l'acqua santa. Tutta per lui.

Era lì che era entrato in panico e si era divincolato come la più disperata delle creature, strappandosi alla morsa e sentendo decine e decine di mani tentare di trattenerlo, di graffiarlo, di tirargli i capelli. E lui aveva gridato e artigliato come un animale ed era corso via ed era arrivato fin lì.

"Come stai?" chiese Aziraphale, sedendosi davanti all'altro.

"Che domanda stupida... scusami. Male. Va molto male - Crowley alzò leggermente lo sguardo - Con te va un po' meglio. Tu... tu eri con loro? Quelli che... che stavano...?"

"Ero qui solo per una benedizione e nulla di più. Ho visto la folla che si accalcava e sono andato a vedere, ma non ho neanche fatto in tempo ad arrivare che ti ho visto fuggire."

"E mi hai riconosciuto?"

"Certo - Aziraphale sembrò quasi offeso - come potrei non averti riconosciuto? Finiamo sempre nello stesso posto."

"E siamo amici." disse Crowley.

Normalmente era abituato a sentirsi dire che non lo erano affatto, che non si sarebbero neanche dovuti parlare.

Invece, quando ebbe abbassato lo sguardo aspettandosi le solite frasi che smontavano ogni sua teoria riguardante la loro presunta amicizia, si sentì asciugare una lacrima recente da un pollice dell'angelo "E siamo amici."























Hurt/Comfort is my drug. And I'm high.

Ok no, l'idea per questo flashback è stato quanto di più casuale al mondo, ma a modo suo mi è piaciuto molto scriverla e credo di aver raggiunto un risultato decente. È molto breve, lo so, ma buh I like it.

Ora dovrei dormire perché sono le tre e venti, magari.

Buonanotte, direi?

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