La verità fa male [New]

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"Una donna poco più alta di te, con la mascherina sul viso e la cuffia... occhi verdi..." La voce di Tom viaggiava nella testa di Kathy. Era più di due ore che aveva abbandonato l'idea di dormire: troppo agitata per la storia di Tom. E così, per non pensare a lui, si era messa a provare combinazioni diverse di ricerche per trovare le assistenti della dottoressa Bennet. Aveva addirittura visto una foto con tre ragazze che portavano una ghirlanda di fiori al suo funerale. L'immagine non era in alta definizione e purtroppo i loro occhi erano rossi e sfuocati, ovviamente non erano indicati i loro nomi. Se il termine "assistenti" non aveva dato risultati, doveva provare dei sinonimi. Si concentrò: le ore passavano, era già notte fonda. La scuola era sprofondata nel buio e nel silenzio; eppure, il sonno non ne voleva sapere di arrivare. Un risultato attirò la sua attenzione a metà pagina. Aveva perso il conto degli articoli che aveva letto ormai: aprì la notizia con poche speranze.

"La senatrice Helen Wolfe accetta ufficialmente l'incarico come ministro alla sanità."

Il titolo si stagliò davanti ai suoi occhi. Portava parte del cognome di quella donna scritto nel suo DNA, forse nella sua intera storia, quella di tutti loro in realtà. Poteva essere un caso? David aveva detto che era entrata in politica per ottime ragioni e che aveva sostenuto l'obbligatorietà degli esami genetici per salvare vite. Pensò al bambino morto che aveva causato la chiusura dello Humans Flower Hospital. La genetista era nella commissione che alla fine aveva approvato la creazione della "lista" LWF per gli ospedali. Se ci fosse stato un collegamento con la dottoressa Bennet? Era comparso nei risultati, quindi il testo doveva contenere la ricerca: l'unico modo era verificare.

"Dopo il periodo di specializzazione, in seguito alla morte misteriosa della sua maestra, Karen Bennet, si trasferì al Boston Children's Hospital completando i suoi studi in malformazioni neonatali e tracciando le basi per la scoperta che anni dopo l'avrebbe portata alla conquista del premio Nobel coi suoi collaboratori: Feltman e Lorenz. La senatrice Wolfe è senz'altro la più inaspettata carta di prestigio giocata dal presidente. Potrebbe essere quella vincente per tacitare i numerosi malcontenti per il suo successo alle primarie dei repubblicani. La Wolfe, infatti, è da quasi cinque anni anima fedele dell'area più conservatrice." recitava l'articolo.

Kathy alzò gli occhi riflettendo sulla portata di quello che stava leggendo. Non voleva fasciarsi la testa, però era una delle assistenti. Doveva trovare una sua immagine abbastanza vicina da poter vedere il colore degli occhi. Certo conosceva il modo di sintetizzare quel siero, ma era possibile che nessuno dei ragazzi rapiti l'avesse mai riconosciuta in tutti quegli anni? L'articolo risaliva a gennaio dell'anno precedente.

"La senatrice Helen Wolfe ha prestato giuramento oggi alla Casa Bianca entrando a far parte ufficialmente della squadra di ministri. Una quota femminile importante in un governo, comunque, ancora in gran parte al maschile." L'articolo divagava poi su questo tema.

Forse se avesse trovato un'immagine storica di Helene Wolfe, risalente al momento della scomparsa di Jacob, sarebbe stata in qualche modo più somigliante. Trovò alcune immagini della sua prima campagna elettorale e della sua elezione al senato, ma nessuna su cui potesse provare a sovrapporre mascherina e cuffia come Liv le aveva mostrato. Poi ebbe un'idea: il funerale di Feltman. Anche Mrs. Lorenz seppur addolorata sembrava un'altra persona. Era invecchiata molto: probabilmente la scomparsa di Michael aveva lasciato il segno su di lei. Mr. Lorenz invece era praticamente sempre lo stesso, già allora coi capelli rasi a zero. Scorse le foto una per una finché non comparve una donna su un podio, gli occhi verdi rigati di riflessi rossastri, sembrava aver pianto: era un primo piano molto intenso. Salvò la foto e l'articolo e lo mise sul forum. Poi ne mandò una copia a Liv via chat. L'amica non rispose, probabilmente stava dormendo. Kathy sospirò: riaprì la finestra dell'ultima conversazione avuta con Tom, ma era ancora bloccata. Così si mise a giocare con quell'immagine sovrapponendo la mascherina con il programma di fotoritocco che Liv le aveva installato. Quando ebbe finito studiò il risultato, stupita dell'effetto che le faceva.

A Kathy tremavano le mani, la stanza girava attorno a lei. Non sapeva davvero cosa fare, voleva uscire di lì. Sentiva di essere salita su una giostra da cui non poteva più scendere. Afferrò il tablet e prese il corridoio spalancando la porta. Aveva davanti agli occhi ognuna di quelle foto che aveva appeso al suo cartellone, tutti quei ragazzi. Cosa rimaneva ora della loro vita? Chiusi lì dentro, costretti a lasciare andare i loro sogni, ogni parvenza di normalità, cercando di sopravvivere, portandosi nel cuore quelle ferite. Come aveva osato quella donna spingersi oltre? In quel manuale non c'era la formula del siero e per un motivo: Feltman non l'aveva pubblicato perché mutassero gli LWF come cavie da laboratorio, l'aveva fatto col fine che il mondo capisse che quei ragazzi erano persone intelligenti, sensibili e ricche di potenzialità, che potevano anche rappresentare il prossimo passo della razza umana sulla nostra terra. Non aveva pubblicato quel manuale perché ne avessero timore o pena, ma per far riconoscere quella LWF quale una caratteristica, non una malattia o un demerito. Perché capissero che la lotteria del DNA aveva dato a questi ragazzi degli svantaggi, ma anche delle qualità che potevano rendere la società americana o il mondo, un posto migliore. E con la sua morte, quel sogno era tramontato per sempre, perso nelle nebbie della storia.

Kathy arrivò all'ascensore senza fiato, respingendo le lacrime e pigiando più volte sul pulsante come se ne andasse della sua vita: si gettò all'interno. Schiacciò il quarto piano senza pensarci. Avrebbe fatto suonare gli allarmi del sistema di sicurezza della scuola, non le interessava più. Le sembrava di essere tornata alla notte in cui Michael l'aveva uccisa. Era rinata mutante, cambiata per sempre. Non poteva più fingere di non sentire un dolore fisico per quello che quella donna aveva fatto. Le aveva rubato la sua vita, quella di tanti ragazzi: direttamente o indirettamente. Le luci si accendevano al suo passaggio; la stanza 412 l'attendeva immobile nella sua moquette blu e quelle vetrate ancora mancanti. Kathy tirò i teloni con tutte le sue forze finché non franarono a terra. Si lasciò cadere seduta sul pavimento, nascose la testa tra le mani e si impose solo di respirare all'aria fresca di quella notte di maggio coperta di stelle. Le sembrava quasi di vedere l'ombra di Michael davanti al vetro immobile che si guardava attorno affranto, fissava il proprio corpo come faticasse a riconoscere, quasi non fosse suo.

Sentì dei passi svelti nel corridoio, una parte di lei sperava davvero che fosse Tom, ma non aveva la forza di voltarsi, sconvolta dai singulti per il pianto. Forse Micheal aveva ragione, era andata troppo oltre. Certe verità sono dolorose e non era più in grado di fingere che non le importasse, le era sempre interessato: si trattava delle persone che l'avevano salvata. E lei non poteva ricambiare. In quel momento si rese conto che sapere la verità, non poteva cambiare quello che era stato, non lo poteva cancellare. Nessun di loro poteva tornare a come era prima.

«Kathy, sono le due di notte! Cosa fai qui? Cos'è successo? Stai male?» chiese la voce riprendendo fiato. L'ombra si inchinò a terra, lentamente raccolse il tablet e guardò la foto di Helene Wolfe coperta dalla mascherina chirurgica. La verità fa male e per quanto fossero stati ciechi, ora non potevano più chiudere gli occhi.

«Roxy, no, non guardare!» Era troppo tardi: la vide franare sulle ginocchia, il respiro sempre più affannato, si toccava la gola. L'immagine di quella donna la stava strangolando! Kathy si alzò in piedi, si asciugò gli occhi, poi le strappò il tablet dalle mani e lentamente la forzò ad alzarsi e sedersi sulle coperte candide del letto. Quindi controllò nelle tasche del pigiama e trovò quello a cui Roxy stava pensando: una vecchia pompetta per l'asma. La sostenne mentre inalava cercando di riprendere fiato. Dopo un paio di rantolii, il respiro di Roxy sembrò tornare normale seppure ancora molto flebile. Si lasciò andare sul letto sfinita, tentò di indicare il tablet e tossì.

«Non sforzarti, tanto ti sento» sussurrò Kathy sdraiandosi accanto a lei. «Non volevo foste voi a riconoscerla.»

"Però l'hai trovata" pensò Roxy.

«Non so esattamente cosa cambia, non ho alcuna prova che sia stata lei.»

«Dare un nome fa paura» sussurrò Roxy con fatica.

«Ma quando riesci a farlo, hai meno timore ... di lei» concluse ad alta voce il suo ragionamento Kathy.

"Dovresti dirlo a Tom e a David"

«Quando avrò quella prova, non ha senso farvi soffrire per niente. E se poi mi sbaglio?»

Lo sguardo di Roxy diceva più di mille parole e in fondo Kathy lo sentiva. Quella era la verità e per quanto male facesse non la poteva cambiare.

«Poi, comunque, Tom non mi vuole parlare» Kathy aggiunse imbronciata, come una bambina.

"Parli già abbastanza tu per tutti e due"

Kathy la osservò stupita un attimo e poi si mise a ridere. «Vuoi che torni nella mia stanza in punizione?»

«No, voglio che mi aiuti a mettermi sotto le coperte. A questo punto non vedo alternative a rimanere qui a dormire. Io non ce la farò mai a tornare in camera e tu, con tutta la fiducia che ho, non ce la farai a trasportarmi. Quindi... non abbiamo scelta» Roxy faceva respiri profondi. Aveva parlato al plurale: non voleva dormire da sola. In un certo senso Kathy la capiva. A volte capitava anche a lei di sentirsi terribilmente isolata davanti alla sua rovinosa storia.

«Michael è rimasto lì un secolo a guardarsi le mani. Mi sembra quasi di vederlo. Era come se non capisse, se non si capacitasse di quello che era successo» ricordò Kathy infilandosi sotto le coperte. Quel cielo sparso di stelle le stava a guardare curioso dalla finestra: stava rimirando due esseri unici nel loro genere. Una nuova specie: mutanti. Due ragazze sotto le coperte bianche con un grosso fiore di loto disegnato dietro di loro sulla parete.

«Non esplodeva così da molto tempo.»

«Doveva odiare tanto quella donna!»

«Lei lo adorava, sai?»

«Probabilmente lo conosceva fin da piccolo, ma perché Michael non mi ha mai detto di averla riconosciuta? Se non fosse stato per il mazzo di chiavi che hai visto, non l'avrei mai trovata.»

Roxy la guardò stupita.

«Me l'ha detto Tom... Karen Bennet era genetista alla Humans Flower Hospital di Atlanta, dove Helene Wolfe ha iniziato la sua specializzazione.»

«L'ospedale che aveva quel logo a forma di tulipano?»

Non desiderava ancora scoprire tutte le sue carte con Roxy. Prima aveva bisogno della prova finale: ci voleva qualcosa di oggettivo e inconfutabile. «Perché Michael non ha detto ai suoi genitori che era stata la Wolfe a mutarlo?»

Roxy scosse solo la testa. Non lo sapeva: quel ragazzo era sempre stato un mistero per lei. Tanto bene leggeva Kathy o Jacob, quanto lui era un foglio bianco. Era quasi fastidioso, abituata a sapere con tutti quello che provavano in ogni momento. «Vuoi un tiro?» Le porse la pompetta.

«Come se avessi accettato» sorrise Kathy.

«È una bella stanza.»

«Coi vetri sì, lo è... Lo era almeno»

«Lo sarà ancora»

«Cosa aspettano a rimontarli?»

«Li hanno ordinati su misura» Roxy si sistemò sul cuscino. «Dormi adesso.»

«Secondo te perché sono qui? Non ci riesco!»

«Se parli non ti addormenterai mai ...»

«Una notte ho dormito qui con Michael, sai?» lanciò quell'amo nel silenzio.

Roxy rispose con un grugnito; quindi, si girò e sprofondò nel sonno, chiaramente non l'aveva sentita.

«Dopo non ho più riposato come quella notte» aggiunse Kathy sapendo che più nessuno ormai la poteva sentire. «Però ora posso sognare di volare.» Si rigirò nel letto e infine si addormentò. Quel tablet rimase a terra, dopo pochi minuti si spense scarico.







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