Specie inferiore [New]

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Michael si tolse il casco, chiuse gli occhi e lasciò che la pioggia gli schizzasse la faccia. Si passò le dita tra i capelli rossastri: i suoi occhi blu rilucevano nella notte. Si incamminò seguendo la tettoia. Le pozzanghere riflettevano la luce dei lampioni. Forse pazzo lo era davvero: Alex aveva ragione, eppure non poteva tirarsi indietro ora che era così vicino. Il loro contatto era stato rinvenuto morto sotto un cavalcavia e i vertici dell'organizzazione avevano recapitato a casa loro la falange tagliata del suo mignolo con un appuntamento. L'amico era impazzito, aveva ventilato addirittura l'idea di rivolgersi alla polizia. Eppure, Michael non aveva nulla da perdere da quell'incontro. La sua vita, in fondo, valeva poco comunque. Nascose le mani gelide nelle tasche del giacchino di pelle e aumentò il passo. Era disarmato e solo, ma aveva le sue contromisure. Aveva intercettato quasi un chilo di acidi, in quella settimana, tampinando le discoteche più in voga della città e usando la rubrica del cellulare di Alex per attirare nella trappola altrettanti fattorini. Li aveva solo spaventati e aveva perso loro la droga per continuare i suoi esperimenti. Sapeva che nelle alte sfere si sarebbero arrabbiati, ma ora lui aveva qualcosa che apparteneva a loro, per cui l'avrebbero ascoltato. In un modo o nell'altro avrebbe avuto accesso al laboratorio dove tagliavano la droga. Da quel punto in poi, non aveva bisogno di altro che di sé stesso. In fondo, quella era la storia della sua vita.

Individuò una delle guardie coperta da un k-way nero vicino ad una parte laterale di quell'anonimo complesso industriale di periferia a meno di trenta minuti di moto da Berlino. Avvertiva l'elettricità esplodere nell'aria quella sera. Si tratteneva, stoicamente, da almeno venti giorni. Era una bomba a orologeria, un composto instabile che si avvicinava al punto di non ritorno. Gli alcolici ormai non facevano più effetto da soli, ci voleva sempre la droga associata ad essi. Era pericoloso e folle, ma non poteva farne a meno. Era l'unico modo per abbassare il volume, per riuscire a garantirsi qualche attimo di pace. Sentiva il cuore pompare nelle vene, l'adrenalina che aumentava: seguiva quell'uomo tra cataste di casse e cancelli, stretti corridoi. Scavalcava tubi e pensava al momento in cui sulla balconata dell'Ozone aveva liberato il suo potere davanti al mondo. Sentiva ancora le grida di quei ragazzi, la musica potente che gli pulsava nelle vene e quella sensazione di libertà e pace, come se per un momento in mezzo a quel baccano avesse percepito la potenza della forza che risiedeva in lui e che tentava fin troppo spesso di arginare. Non era più un moccioso spaventato in una cella. Era un adulto, libero, capace, implacabile. Sapeva ciò che voleva: avrebbe scatenato il suo fascino rosso e quei piccoli uomini di una specie inferiore sarebbero caduti ai suoi piedi, come pedine.

«E' solo?» chiese un'ombra seduta ad un tavolo nell'angolo di una stanza.

«Solo e disarmato» confermò la guardia. L'uomo gli fece segno di accomodarsi. Dimitrij si presentò, insieme ai due fratelli, Antonin e Silvester Sacharov. Michael era un esperto di famiglie scompensate, sorrise al pensiero di quei tre.

«La polvere è tua? La polvere... mutante?» chiese Antonin squadrandolo coi suoi occhi scuri. Aveva le stesse sopracciglia arcuate e pelose dei fratelli, su un pelata liscia come il sederino di un bimbo. Teneva tra le mani un quotidiano di diversi giorni prima. Il suo tedesco era abbastanza stentato e carico di accento dell'est.

«Esatto. Vi assicuro che è un capolavoro, scientificamente parlando.»

«Sembri molto sicuro di te.» Dimitrij mostrò i suoi canini in un ghigno. Teneva la mano sotto la giacca: probabilmente aveva una pistola. La mente di Michael stava lavorando a pieno regime cercando di carpire più dettagli possibili.

«Vi ho portato un piccolo campione.» Lo lasciò scivolare sul tavolo d'acciaio. Silvester si allungò curioso e prima che i fratelli potessero intervenire passò il mignolo sulla polvere e poi la annusò.

«Cosa hai fatto ai nostri acidi?»

«Li ho migliorati: effetti collaterali ridotti del 70%. Potete non ringraziarmi.»

«Si può sapere chi diavolo sei tu e da dove spunti?»

«Più che il dove è importante il come. Ho preso accordi con i proprietari di sette discoteche della capitale e molte altre se aggiungeranno. Trentamila a notte, per un giro gratis a tutti i ragazzi sulla pista, ulteriori dosi vendute all'uscita. Pagamento in contanti e anticipato, prima della somministrazione.»

«Trentamila sono spicci, quella roba ne varrà molti di più, si vede che sei un ragazzino!» brontolò Antonin.

«Vero, ma con una dose irrisoria, posso fare anche novantamila a sera! Mi serve soltanto un po' di materia prima e la vorrei acquistare da voi, siete fortunati, ma non questi acidi di merda, la voglio pura e perfetta, come vi arriva dal fornitore.»

«Nessuno la vende così, se no stermini quei decerebrati, poi la polizia si incazza e ci chiude i locali! Non ci guadagna nessuno» obbiettò Dimitrij.

«Io so quello che faccio.» Michael non distoglieva gli occhi da lui.

«Noi quanto ci guadagniamo?» ruppe gli indugi Antonin. Silvester si aggiustò il ciuffo e non nascose che quella domanda lo interessava. Si lisciava i baffi nel buio della stanza. Michael notò un manganello che sbordava dalla sia tasca e il rigonfiamento di un'arma da taglio nella cintola: forse un coltello. Non riusciva a vedere se anche l'ultimo dei fratelli fosse armato. Oltre a loro doveva considerare almeno tre uomini di guardia con AK 47. Era un vero peccato che Alex non avesse voluto godersi quello spettacolo.

«Il 15%» concesse, infine.

«Non prenderci per il culo! Per una cifra del genere non ti apriamo nemmeno il granaio dei porci.»

«E' un vostro problema, posso sempre rivolgermi a qualcun altro» rispose con un mezzo sorriso. Sentiva le mani formicolare. Dimitrij aveva stretto il pugno sul calcio della sua pistola. Era sempre stato il migliore a combattere, il più sconsiderato, il meno pietoso, il più forte. Non si era fermato contro Jacob e nemmeno Liam. Con Roxy non c'era gusto: non faceva che piangere e sussultare per la mancanza di fiato. Alla fine, la dottoressa l'aveva messo a combattere i soldati creati allo stadio precedente dello studio. Anche più di uno alla volta. Disarmato se non della sua stessa forza. «Avete trenta secondi per darmi la vostra risposta...» La sua voce tradì una punta di divertimento.

«Questo è pazzo!» sbottò Antonin. Era il suo preferito: sembrava essere la mente.

Silvester Scattò in piedi. Dimitrij lo trattenne e rivelò la pistola.

Nella testa di Michael il conto alla rovescia era già partito. Non aveva voluto fare del male a Kathy, era stato solo un attimo di distrazione, che avrebbe rimpianto per tutta la sua vita, ma qui era diverso e non si sarebbe contenuto. Il fratello maggiore alzò la pistola e fece fuoco con un ghigno di soddisfazione dipinto tra le labbra. Michael sollevò la tavola di acciaio come fosse fatta di cartapesta, la ribaltò fino a crearsi uno scudo naturale. La pallottola rimbalzò sul tavolo e colpì Silvester a una spalla. Antonin rivelò di possedere anche lui un coltello e glielo lanciò contro. Michael sollevò appena una mano e l'arma invertì la sua marcia fino a terminare nel collo taurino del trafficante che franò sul pavimento grezzo. Il sangue schizzò addosso ai fratelli e la tavola rimasta senza sostegno cominciò a franare sulle loro teste aumentando il fracasso. Michael ne approfittò per saltare e incunearsi nell'oscurità, tra le travi di sostegno del capannone. I tre uomini di appoggio giunsero in quel momento. Michael serrò i pugni, sentiva il sangue ribollire nelle vene. Il primo vetro a infrangersi fu quello della paratia che separava la stanza dalla catena di montaggio antistante. Dimitrij venne impalato senza pietà, franò a terra con la bocca coperta di sangue. L'ultimo fratello rimasto cosciente urlava ordini ai suoi uomini che però non osavano mostrarsi, nascosti come vermi dietro le tubature o le casse. Era ora di fare due chiacchiere con Silvester. Atterrò sulla sua spalla, tese il braccio e la pistola di Dimitrij abbandonata a terra scattò nella sua mano.

«Chi diavolo sei tu?»

«L'evoluzione della specie. Dimmi dov'è il vostro laboratorio.»

«Fottiti!»

«Lo sapevo, dovevo risparmiare Antonin, era più simpatico!»

Il trafficante gli sputò addosso. Michael si pulì la faccia, schifato. Le sue mani tremavano, per l'adrenalina e la fatica. Era vicino ormai lo sentiva. «Ultima possibilità, stronzo!»

«Vai all'inferno!»

Michael si morse la lingua, fece qualche passo indietro, impose gli arti contro i tre fratelli, chiuse gli occhi e si raggomitolò a terra. I vetri esplosero e tutto improvvisamente venne eiettato in aria nell'arco di dieci metri. Antonin terminò scaraventato contro un pilone di cemento. A Michael parve di udire lo scricchiolio della sua colonna vertebrale disintegrarsi, mentre il gigante di cemento implodeva. Il soffitto cedette; cadevano calcinacci e travi, una polvere spessa si alzò tutta attorno fino a inglobare l'intera stanza in una calma innaturale. Micheal si liberò di alcuni frammenti che gli erano precipitati addosso e si guardò attorno perplesso. Sentiva uomini urlare, le voci sembravano allontanarsi. Un pianto attirò la sua attenzione. Seguì il rumore fino a una toilette in fondo al corridoio. Spalancò una porta. A terra c'era una ragazzina dai tratti orientali, la pelle d'avorio: gli ricordò Suzanne, anche se aveva lineamenti molto più marcati. Michael si pulì la faccia nascosta dalla polvere e le mani coperte da tagli. La studiava nello specchio e intanto respirava per tentare di calmarsi. Si inginocchiò e le appoggiò le mani sulle spalle, la ragazza si ritrasse spaventata.

«Non voglio farti del male, non è necessario. Dimmi dove è il laboratorio e ti lascio andare...»

La giovane annuì tremante, lo prese per mano e lo condusse in uno stretto corridoio laterale e poi giù per una scala male illuminata da una lampava che pendeva in posizione innaturale dal soffitto. La sua onda era giunta fin lì. Entrarono in un sotterraneo illuminato a giorno dai neon. Gli occhi dei lavoranti dietro le mascherine lo fissavano spaventati.

Michael si avvicinò ad un tavolo e annusò uno dei composti: questa sì che avrebbe fatto al caso suo ed era anche gratis. Era andata meglio del previsto. Doveva solo farla sparire da quel capannone e trovare un deposito sicuro dove parcheggiarla finché non gli fosse servita. Un uomo asiatico venne verso di lui e lo sfidò con fare altero. Aveva negli occhi la forza della disperazione.

«I fratelle Sacharov sono morti.» L'affermazione provocò grida di stupore e timore. «Voglio che mettiate tutta la droga nei sacchi e la carichiate sul camion che c'è nella zona di carico. Fatto questo siete liberi. La polizia sarà qui presto. Non c'è tempo da perdere, forza!» batté le mani. Si guardarono l'un l'altro, prima di capire di avere una possibilità di fuggire da quell'orribile situazione. L'alternativa era finire imbarcati su una nave diretta nel loro paese d'origine. Lavorarono come muli, ma in meno di venti minuti il camion era pronto. Michael caricò anche la sua moto e partì nella sera piovigginosa. L'orizzonte rifletteva le luci delle sirene; il vento trascinava il loro lamento ripetitivo e pulsante. Michael era solo un fantasma. Scomparì nella notte puntando verso la campagna, lasciando dietro di sé una scia di sangue e oscuri presagi.


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