Un proiettile per ciascuno [New]

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Kathy aveva appuntamento in palestra con Ariel, si muoveva lentamente per i corridoi della scuola deserta con la testa a miglia da lì. Aveva passato gli ultimi due giorni a scambiarsi messaggi con Mrs. Sullivan. Dovevano essersi sbagliate in qualche punto del loro ragionamento: in quel manuale non c'era traccia della formula del siero. Mrs. Sullivan aveva ipotizzato che Feltman avesse pubblicato una versione epurata e poteva anche essere logico, ma allora questa dottoressa Bennet, come aveva fatto a ricrearlo? Doveva smettere di pensarci prima di presentarsi da Ariel o, attraverso lei, David avrebbe saputo del forum. Inspirò a fondo, ricapitolò nella sua testa le ore di lezione della mattinata ed entrò in palestra. Ariel era già lì: immobile al centro del campo con una palla in mano: a Kathy si gelò il sangue. Rimbalzava nel silenzio e ogni colpo Kathy tremava come se sentisse ribollire le viscere, non ne aveva più toccata una dopo quell'orribile notte. Ricacciò le lacrime in gola e si sforzò di sembrare tranquilla. Tutto inutile, Ariel leggeva la sua mente.

«Ti va di fare qualche tiro senza stampelle?»

Kathy la fissava incredula, non osava muoversi. Con tutta la fiducia che poteva nutrire in Ariel, non credeva davvero di esserne capace: era troppo.

«Puoi anche stare ferma, abbiamo già fatto esercizi in piedi senza stampelle.»

Kathy scosse la testa e si asciugò gli occhi. Si mordeva il labbro per riuscire a non crollare, a non far entrare totalmente Ariel nei suoi pensieri: aveva davvero paura di quello che avrebbe potuto intercettare. «Non posso» si sforzò di dire, infine. «Qualsiasi altro esercizio, ma questo no.»

«Cosa pensi potrebbe succedere? Che tu ci riesca o meno non cambia niente sul nostro percorso. È solo un test, Kathy.»

La ragazza inspirò a fondo e le passò le stampelle.

«Vedi, stai in piedi bene, molto meglio dell'ultima volta.»

«Questo potrebbe bastarci per oggi.»

«A te non basterebbe, Kathy, e lo sai meglio di chiunque altro.»

«Mrs. Lorenz ha detto che non c'è alcuna possibilità» ricordò Kathy.

«Era molto stupita dei tuoi progressi. Sei una sportiva, una gran lavoratrice e si vede. Hai fatto un bel recupero. Perché non tentare di sbloccare qualcosa di così importante per te?»

«Non ce la farò.»

«Come puoi saperlo?»

Un conto era finché era un'ipotesi di Mrs. Lorenz, ma se avesse provato e non fosse riuscita, allora la fine della sua carriera pallavolistica non sarebbe più stata un'ipotesi, ma una realtà.

«Capisco perché la pensi così, ma il fatto che non riesci oggi non vuol dire che non riuscirai mai più.»

«Tira quel pallone o vattene!»

«Va bene, Kathy. Una cosa semplice, un palleggio»

Kathy trattenne il fiato e la osservò terrorizzata: vide la palla partire alta verso di lei. Allargò le gambe, le piegò e flesse le braccia. Non era qualcosa che aveva controllato: il suo corpo in un certo senso sapeva cosa fare. La percepì poggiarsi sulle dita, sentì la sua vibrazione e inaspettatamente quel tremore si spostò fin sul braccio e finì in una fitta acuta che le tagliò a metà la schiena. La palla uscì sghemba delle sue mani e rimbalzò nel silenzio della palestra. L'urlo di Kathy si perse nella quiete della scuola; la ragazza si accasciò a terra.

«È andata bene, hai fatto un bel movimento e senza stampelle, della palla per ora non mi importa.» Lentamente si rialzò rimettendo dritta la schiena. «Proviamo ancora.» Aveva le lacrime agli occhi per il dolore, ma non le disse di no. La scossa fu anche peggiore: finì a terra carponi. «Un'ultima volta» le propose Ariel soddisfatta.

La guardava come un condannato al patibolo. Il braccio, esausto, si rifiutò di piegarsi e la fitta si propagò dalla schiena alla gamba. Cadde a terra senza fiato; Ariel l'aiutò a rimettersi seduta e le tirò il muscolo dolorante.

«È solo un crampo Kathy, è normale». Era come se la sua voce provenisse da un pozzo. «La maggior parte del dolore è nella tua testa, non è reale, te lo assicuro.»

Si sentiva soffocare, come se non fosse più nemmeno in grado di tirare il fiato. Ariel l'aiutò ad alzarsi in piedi, quindi Kathy le girò le spalle e si incamminò lungo il corridoio, senza stampelle. Ariel stava per fermarla, ma poi decise di lasciarla andare: aveva tolto i supporti ed era ciò che voleva da quella seduta. D'altronde, Kathy non ne aveva più fisicamente bisogno: era solo una rete di sicurezza per la sua testa che faticava ancora ad accettare quello che le era successo, ma su questo lei non poteva aiutarla. Si sentiva del tutto impotente e qualsiasi suo tentativo le sembrava di peggiorare le cose nella mente di Kathy. Per questo preferiva l'asilo: i bambini non nascondono mai le loro emozioni. Non hanno filtri e provano un solo sentimento alla volta. Prese il telefono e contattò l'unica persona che forse Kathy avrebbe voluto ascoltare: aveva passato qualcosa di simile e ne era uscita, a un alto prezzo forse, ma nulla è gratis nella vita.

Roxy sentì il tablet vibrare sul comodino. Si rigirò nel letto per un attimo e poi a tentoni trovò il dispositivo e schiacciò il pulsante per accettare la chiamata.

«In che modo l'hai torturata stamattina?» Un grande sbadiglio interruppe la domanda. La sua voce era ancora impastata dal sonno. Non era la prima volta che Ariel la chiamava dopo la seduta.

«Il test era semplice: un paio di palleggi. Era l'unico modo per vedere se piegava il ginocchio senza essere forzata.»

«Ariel! Sapevi che non ce l'avrebbe fatta!»

«Non doveva riuscire il palleggio, ma piegare bene il ginocchio.»

«Questo a Kathy non basta e lo sai...»

«Pensa quello che vuoi, alla fine è andata via senza stampelle.»

«Sei certa che riesca ad arrivare in camera?»

«Con qualche dolorino, ma sì, mal che vada avrà un altro crampo.»

«La cerco io. Cinque minuti che mi vesto» chiuse salutandola. Si infilò una felpa e chiamò Tom per individuare la sua posizione nella scuola. Sembrava che al proprio piano ci fosse arrivata, ma da lì si perdevano le tracce. Roxy lo ringraziò e finì di vestirsi, quindi prese decisa verso l'ascensore. C'era qualcosa che, per quanto si sforzasse, Ariel non poteva capire. Non aveva mai sfiorato la morte: l'avevano mutata, certo, come ognuno di loro e poi? Poi la dottoressa l'aveva coinvolta in alcuni esperimenti per verificare che fosse in grado di leggere il pensiero. Giochi con le carte o sedute con altri bianchi dove si parlavano tra di loro con la mente e quella donna guardava come cambiavano le onde cerebrali, ma non le aveva mai fatto un male fisico, tangibile. La transazione bianca era l'unica indolore: tutte le altre lasciavano strascichi per giorni, mesi, a volte o anni. Al di là del fatto che quella dottoressa con lei si era spinta davvero oltre il limite, Ariel non era in grado di capire quanto fosse dura accettare che qualcosa di te non sarebbe più stato come prima: era perso per sempre. I suoi polmoni, per esempio, non erano più tornati gli stessi. Non riusciva più a trattenere il fiato sottacqua e lei era stata una nuotatrice provetta. Era contenta di aver recuperato molto e di riuscire a correre e fare sport e combattere, ma non era più in grado di respirare sott'acqua e per quanto si sforzasse, quel limite era ormai invalicabile. Quanto le mancava la sensazione dell'acqua che filava attorno a lei con le orecchie ovattate! Il trillo dell'ascensore riportò il suo pensiero su Kathy. Le bastò girare l'angolo per vederla: era a metà del corridoio sola, al buio, seduta appoggiata al muro con la testa tra le mani. Ariel aveva davvero esagerato questa volta. La luce del corridoio si riaccese al suo passaggio mentre correva verso di lei.

Kathy alzò gli occhi quando la sentì arrivare. Roxy si sedette accanto a lei e la prese tra le braccia. Non c'era bisogno che dicesse nulla: sentiva il suo cuore disperato andare a mille allora e il respiro corto spezzato dalle lacrime.

«È la schiena o la gamba?» Non era nessuno delle due forse il dolore più grande, ma Roxy non poteva dividerlo, era solo di Kathy, era unicamente in grado di percepirlo.

«La schiena.»

«Vieni, ti do una mano, la mettiamo sotto l'acqua calda.» La aiutò ad alzarsi. «Eri quasi arrivata!» Svoltarono verso la camera di Kathy: la ragazza le sorrise asciugandosi le lacrime; camminavano piano nel mattino che nasceva all'orizzonte. Quando entrarono in camera il sole d'inizio maggio faceva appena capolino dietro le montagne. In silenzio Roxy l'aiutò a spogliarsi e l'accompagnò sotto la doccia. Si impose di non guardare le sue ferite, ma le era sempre così difficile.

Kathy chiuse gli occhi e lasciò che il massaggio spegnesse il dolore. Mezz'ora dopo si sentiva molto meglio, l'aveva aiutata a rivestirsi ed ora era seduta a letto appoggiata al muro col cuscino.

«Vorrei che vedessi una mia cicatrice» esordì Roxy. Si tolse la maglia della tuta e le mostrò la schiena. Kathy la guardò stupita: c'era una specie di linea viola bluastra dai tratti irregolari che tagliava la colonna vertebrale a metà.

«Com'è successo?»

«È stato Jacob. Ne ho un'altra nel polso e nel braccio, qui. Non l'ha fatto apposta. Non riusciva a controllare il suo potere i primi giorni della transizione al quarto livello. Ha rotto la vetrata che separava le nostre stanze» ricordò Roxy reprimendo un brivido.

«Non sembrano vetri» Kathy noto perplessa che non assomigliavano affatto alle sue cicatrici.

«No, infatti, sono bruciature da passaggio di corrente ad alto voltaggio. Sembravano come dei lampi viola.»

«Ed era lui a generarli?»

«Non era colpa sua, Kathy, semplicemente non riusciva a controllarsi.» Nascose le cicatrici.

«Mi vuoi dire che devo perdonare Michael?»

«No, quello sta solo a te: voglio dirti che devi perdonare te stessa e darti tutto il tempo per riprenderti da quello che ti è successo.» Credeva di capire il senso. «Ti lascio riposare un po' prima delle lezioni. Dico io ad Angela che oggi ti colleghi da qui.»

«Quindi un giorno mi alzerò e non farà più male?» Kathy esitante fermò Roxy sulla porta.

«Succederà e prima di quanto tu immagini. Perché tu sei più forte di quanto pensi di essere.» Un attimo dopo sparì oltre la soglia.

Kathy rimase a guardare il sole che nasceva all'orizzonte. Rilassò la schiena e controllò il tablet. C'era un nuovo messaggio di richiesta accesso al forum. Kathy lo verificò per scrupolo. Maximilian Finnegan, sobbalzò: era il padre di Jacob? C'era una nota molto lunga contente anche delle immagini e delle scansioni.

"Non vi chiedo di abilitarmi, non me la sento di partecipare. La signora Richardson è stata molto gentile a pensare e me e mi dispiace di averle risposto male al telefono. Solo che la morte di mio figlio è una cicatrice ancora aperta. L'ho potuto seppellire e di questo sono grato, ma il processo per il rapimento di Kathy, le accuse gravissime a Mrs. Sullivan, la riapertura delle indagini e infine questo forum, così all'improvviso, sono troppo per me e mia moglie. Non voglio che sua figlia muoia perché io non riesco ancora a parlare di quello che è successo al mio. Quindi vi inoltro le immagini e il referto dell'autopsia che mi aveva chiesto la signora Richardson e vi domando la cortesia di non cercarci più. Si tratta di documenti riservati, di cui normalmente il tribunale non fornisce duplicati, che ci sono stati rilasciati dopo la fine del processo e che vi prego di mantenere segreti. Se veramente riuscirete a pubblicare quella petizione prometto che farò firmare a chiunque conosco, ma per il momento vorrei non dover rivivere il calvario di mio figlio ogni giorno nelle vostre parole e nelle vostre indagini. Mi dispiace. Saluti, Maximilian Finnegan"

Un nodo le torceva lo stomaco ogni parola di più che leggeva. Sua madre era davvero arrivata a tanto? Doveva essere proprio disperata, come chiunque di quei genitori. Salvò le foto e le scansioni sul suo tablet. L'immagine di quel ragazzo sul tavolo del laboratorio ricordava davvero poco quelle che aveva visto sui giornali: il volto tumefatto, livido era quasi irriconoscibile. Era coperto di tagli, cicatrici che però erano irregolari e frastagliate, molto diverse delle sue e da quelle di Roxy. Pensò al suo racconto: forse poteva essere stato il filo spinato? Veramente quel ragazzo era capace di far uscire un fulmine dal suo corpo? Un quarto livello bianco e blu. Poi notò i capelli agghiacciata: non erano affatto come i suoi, avevano dei riflessi azzurri e bluastri. Cos'altro succedeva nella transizione che non aveva capito dal manuale? Aprì la scansione del referto: il medico sembrava molto stupito della situazione del cadavere. Aveva appuntato che i capelli non erano tinti e non riusciva a spiegarsi perché avessero preso quel colore, ipotizzava l'esistenza di sostanze chimiche nel fiume Abbat.

Probabilmente non aveva letto il manuale di Feltman o non aveva mai fatto prima l'autopsia a un mutante. In effetti non doveva essere una circostanza troppo comune. Riportava di moltissime punture d'ago, specie sulle braccia e sul collo e di pesanti bruciature ai polsi e più in generale sparse sul corpo di natura elettrica, ipotizzava dovute a torture perdurate nel tempo. Se i fulmini venivano da lui non era così, però quella dottoressa doveva davvero averlo portato al limite per vedere quando quei poteri venivano scatenati. La conclusione comunque era inequivocabile. La causa della morte era stato un colpo d'arma da fuoco tra la vertebra C5 e C6. Il proiettile, di grosso calibro, probabilmente di un fucile, era stato estratto durante l'autopsia: aveva leso il midollo spinale, con conseguenze fatali. Kathy represse un brivido.

Era la prova che stava cercando da tempo, anche per la sua pace mentale. Non era stato Michael a uccidere Jacob, erano stati gli agenti di guardia alla struttura. Avevano sparato al giovane perché non fuggisse. Forse da solo non sarebbe riuscito a liberarsi dal filo spinato. Michael non poteva far crollare quel muro, permettendogli di fuggire? Purtroppo per Jacob non era andata così, gli avevano sparato nella schiena: era stato abbattuto come un animale da caccia. Kathy si asciugò gli occhi e pensò alle parole del padre.

Immaginò i suoi genitori che andavano a leggere quelle righe e scosse la testa decisa. Chissà quanto era stata dura per lui immaginare il dolore che aveva patito suo figlio! Quell'uomo aveva ragione: quei documenti erano troppo sconvolgenti per finire online. Chissà quale reazione avrebbe causato nei suoi genitori o nei compagni di scuola vedere il corpo del ragazzo sventrato sul tavolo autoptico. Alla fine, decise di trascrivere solo la causa della morte e di ringraziare pubblicamente il padre di Jacob e chiedere ai partecipanti del forum di lasciare alla famiglia del ragazzo un po' di privacy e di pace.

"Un proiettile per ciascuno": intitolò così il thread. Trascrisse in parte l'autopsia e le note inviatale dal padre di Jacob e infine concluse: "Chi permette ogni giorno l'esistenza di questa lista è complice di un omicidio. Chiunque legittimi quella lista ha un fucile puntato su ognuno dei nostri ragazzi LWF, un proiettile per ciascuno." E a lei sembrava veramente di sentirlo nella propria schiena, solo spostato leggermente più in basso.

Pubblicò l'articolo ben sapendo che in America era notte fonda. Con suo sommo stupore il numero di visualizzazioni e di risposte impiegò poco a salire. La prima era sua madre. "Non permetterò che mia figlia faccia la stessa fine di Jacob" molte persone la quotavano. Non si sentì di rimanere a leggere, chiuse il forum, riabilitò il Tracer e aprì la connessione per collegarsi alla lezione di chimica.


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