Capitolo 31 - Corpse

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Anita lo seguì fuori dalla centrale, correndogli dietro. Gufo camminava con sicurezza, pronto per entrare in azione.


«Aspetta!» urlò Anita, arrancando dietro i suoi passi svelti.


Gufo si voltò verso di lei, quasi abbagliandola con i suoi occhi chiari. Il riflesso vermiglio dell'aria circostante si infrangeva nello specchio dei suoi occhi creando un interessante contrasto che le ricordava un tramonto malato. Anita lo fissò per qualche attimo, prima di riuscire a parlare.


«Voglio venire con te», asserì lei, serissima.
Gufo le sbottò a ridere in faccia, schiaffeggiandola con quella voce acuta che la feriva come vetro infranto.
Anita aggrottò le sopracciglia, rimanendo a fissarlo innervosita.


«Sono seria»


Gufo si riebbe, ritrovando la sua postura composta ed elegante.

«E per quale motivo vorresti venire con me? Non ti fidi?»


Anita si ritrovò spiazzata dalla domanda, incapace quasi di rispondere con sincerità.
Era vero che non aveva alcuna fiducia in lui e che avrebbe dovuto seguirlo solo per controllarlo, ma in quel momento, gli aveva urlato la sua volontà di andare con lui solo e unicamente perché era preoccupata per la sua sorte. Ponderò se fosse il caso di mentirgli, ma alla fine decise che non valeva la pena indossare una maschera.


Non con lui, almeno. Gufo sarebbe comunque riuscito a vederle attraverso, come se lei fosse stata fatta di pioggia e specchi.


«No. Volevo solo aiutarti. E assicurarmi che Jep non ti facesse del male», mormorò Anita, più a sé stessa che a Gufo. La realizzazione di quei pensieri nella sua voce assunse un tono con sfumature di perdono.


Sarebbe stata mai veramente in grado di farlo?
Gufo sembrò bloccarsi sul posto. Era strano vederlo completamente immobile, normalmente era frenetico in qualsiasi sua dimostrazione.


«Ah...», commentò lui, spiazzato.
Anita sollevò leggermente gli angoli della bocca, soddisfatta di essere riuscita a far tacere Gufo.


«Ah, vuol dire che accetti?» chiese Anita, sarcastica.
«Assolutamente no», rispose Gufo, riassumendo la sua normale mimica facciale. «Non rischierò che Jep ti prenda di nuovo. Ha già rubato abbastanza di te».


Anita si guardò la mano robotica, in un gesto totalmente condizionato. Gufo lo notò e la afferrò, portandosela accanto alle labbra.


Anita riusciva quasi a sentire il suo alito soffiare come una nube velenosa lungo le sue dita, sebbene queste non fossero più veramente lì. Per un attimo, il terrore che lui le trasmetteva tornò prepotentemente a intrecciarle l'intestino.


Gufo sembrò accorgersene e approfittò per stringerle di più la mano e sfruttare quella presa per attirarla verso di sé. Anita si sentì soffocare in quell'abbraccio che sapeva di tabacco e sangue, e iniziò a boccheggiare.


Gufo le accarezzò i capelli, sussurrandole uno ssh, come fosse stata una bambina intenta a fare i capricci.
Anita si odiava. La paura le impediva di muoversi.
Avrebbe potuto schiacciarlo, in quel momento. Ora ne aveva la forza. Ora ne aveva la capacità.
Eppure non lo fece, limitandosi a svenire.



Era rannicchiata in terra, in una stanza enorme e completamente bianca. Non c'erano né porte né finestre; eppure, l'aria sembrava satura di ruggine, tanto faceva fatica a respirare. Alzò gli occhi e vide una inconfondibile zazzera di capelli rossi, che le fece immediatamente inumidire gli occhi.


Forse era morta. Se Brick era lì, era senz'altro morta.
Gattonò fino all'estremità della stanza, dove sedeva il suo collega. La testa gli ricadeva sul collo a peso morto e non sembrava essere sveglio.


«Brick!» chiamò Anita, mentre la sua voce rimbombava per tutta la stanza infinita.
Lui non ebbe alcuna reazione, totalmente spento.


Anita provò a sollevare la testa di Brick, per controllare se stesse effettivamente dormendo o se si trattava di uno dei suoi classici scherzi di cattivo gusto.


Quando riuscì a portare la testa di Brick all'altezza del suo viso la scoprì completamente deturpata. Le cavità oculari vuote e la carne mangiucchiata, che faceva intravedere il suo scheletro, era ormai ricoperta dai vermi. Le vene grigiastre che ricoprivano il suo cranio sembravano scoppiate in un reticolo di capillari nerastri. Anita fece ricadere la testa di botto, allontanandosi da lui, terrorizzata.


Si appallottolò su sé stessa, pregando che quella visione scomparisse presto. Anche nei suoi incubi, Gufo riusciva a torturarla.
Anita strinse forte gli occhi, cercando di tenerli più chiusi possibile, anche quando avvertì la mano ghiacciata di Brick carezzarle il capo.


«È colpa tua, Anita. Sai che è colpa tua»
Le carezze sulla sua testa si facevano sempre più assordanti e forti e Anita si sentì morire di paura.


«Non è colpa mia» pianse lei, tenendo sempre gli occhi ben serrati.


«Se avessi testimoniato...» esordì lo zombie di Brick, strattonandole i capelli per costringerla a guardarlo di nuovo in quella faccia abominevole. «Io sarei ancora vivo».


Anita si costrinse a fissare Brick nei due buchi che aveva al posto degli occhi, globi neri e putridi in cui marcivano larve e mosche.


Lui gocciolava un liquido nero dalle labbra che le stava colando sui vestiti e sul collo. Anita trattenne un conato.


«Sai che i detective non dovrebbero avere paura, Anita. Jep è ancora in giro a causa tua. Tutti i suoi cadaveri sono anche i tuoi».


Anita urlò, più forte che poteva, sperando che qualcuno nel mondo reale potesse sentirla.

«È COLPA TUA, STRONZA!» urlò Brick, strattonando così forte da portarle via una porzione di capelli corvini.


Anita chiuse di nuovo gli occhi e iniziò a pregare.

«Anita! Anita!»
River la stava scuotendo per le spalle, mentre lei sembrava in preda alle convulsioni di un orribile incubo.
Rottemberg sostava dietro di lui, parlando al cellulare con l'ospedale, quando Anita si riprese, urlando.


I suoi occhi erano tornati gialli, quasi dorati, e la sua pelle era più cianotica del solito.
River si accasciò a terra, di fianco a lei, passandosi una mano sul viso. Era visibilmente provato, tanto che ebbe quasi la tentazione malsana di togliersi la maschera per poter respirare bene.


«Che cazzo è successo, Nit?» chiese Rottemberg, carezzandole la spalla, lieve e affettuoso come un padre preoccupato.
Anita tossicchiò, cercando di riprendere il ritmo regolare del suo cuore.


«Credo di essere svenuta...» comunicò, evitando di entrare troppo nel dettaglio.
River la squadrò, interdetto. I suoi capelli lunghi appiccicati alla fronte madida di sudore e polvere rossastra.


«Ora sto bene, tornate pure a lavoro» sussurrò Anita, alzandosi in piedi. Ignorò il giramento di testa che le annebbiò i sensi per svariati secondi e poi si diresse verso l'entrata della centrale.


River continuò a fissarla, certo che Anita non avesse raccontato tutta la verità.


Spazio Autrice: Ciao a tutti! Finalmente al 31esimo capitolo mi decido a scrivere due righe per voi lettori :)
Innanzitutto ci tengo a ringraziare per l'interesse dimostrato fino ad ora per questo piccolo progetto. Questa storia è nata senza alcuna pretesa e ci tengo che rimanga una sorta di via di fuga quotidiana.
Inoltre cerco sempre di contraccambiare i miei lettori, ma non con l'intenzione di effettuare un semplice scambio di letture ma più come un accrescimento personale da ambo le parti. Per questo vi chiedo sempre la massima sincerità nei commenti e nelle interazioni. Non sono una che si arrabbia, ma, anzi, sarei infinitamente grata per qualsiasi parere (anche e soprattutto negativo) sulla storia.
Detto questo, fatemi sapere cosa ne pensate fino ad ora!
Grazie, un abbraccio grande.
Yv.

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