Capitolo 45 - Exile

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Da qualche tempo, non appena il sole calava, si ritrovava a muoversi inconsciamente verso il tetto della loro casa. Come se una forza oscura e invisibile la stesse spingendo verso un ricordo. Si sistemava i pantaloncini rosa affinché la coprissero bene, prima di sedersi sulle tegole. Da quando non aveva più bisogno di indossare la maschera antigas stare all'aperto aveva un altro sapore. Riusciva a osservare tutto il panorama, senza limitazioni visive, e poteva bearsi dell'arietta piacevole di quel marzo stranamente afoso, mentre occhieggiava qui e lì sprazzi di vita attraverso le finestre delle case e dei palazzi in superficie.


«Che fai qui sopra?» chiese River, affacciandosi alla finestrella minuscola che portava al tetto, metà volto coperto dalla sua pesante maschera antigas. Le consegnò un piatto con i resti di un povero criceto appena morto e le sorrise. Anita fissò il piatto, con evidente tristezza.


«È stata una giornataccia», spiegò lei, a voce bassa. «Uno psichiatra del Nikosia vuole parlarmi a tutti i costi».


In uno scatto felino ingurgitò il criceto e rabbrividì un istante dopo. Si detestava quando era costretta a mangiare. Il profondo senso di disgusto che la assaliva era sempre rivolto verso sé stessa, e mai verso la persona che le aveva inflitto quella sorte.


«Beh... magari può farti bene, non credi?» azzardò River.
Anita si voltò verso di lui, inviperita, come se l'avesse appena insultata.
«Mai. Non ho bisogno di un perfetto sconosciuto che ascolti tutti i cazzi miei solo per giudicarli».


River sorrise, costringendosi a effettuare uno sforzo fisico non indifferente per oltrepassare la finestrella, e sedersi accanto ad Anita.


«Non ti giudica nessuno, Nit. Al massimo ti aiutano»
«Non ho bisogno di aiuto», scandì lei, incrociando le braccia al petto e indispettendosi come fosse stata una bambina.


River le carezzò la spalla, amorevolmente. Da quando si era dichiarato nel bel mezzo di quel casino bestiale fuori dalla villa di Tucci, non erano più riusciti a parlare come erano soliti fare. Era come se quelle semplici parole avessero reso tutto molto più macchinoso e difficile da gestire.
Un profondo senso di disagio colpì a fondo River, dritto nello sterno, e si vide costretto a ritirare la mano.


«Te ne sono successe di tutti i colori in questi ultimi due anni. Dico solo che parlarne con qualcuno potrebbe aiutarti ad affrontarlo meglio».


Anita rimase in silenzio. Effettivamente c'erano tantissime cose che si era limitata a nascondere sotto il tappeto, senza riuscire a dare loro il giusto peso. La morte di Brick, la rivelazione sui suoi genitori, essere una Diversa, Lui... erano tutte cose a cui cercava di pensare il meno possibile, soffermandosi invece su altre minuzie di poco conto.


«Ci penserò», rispose lei, in un soffio, ritornando a fissare altrove, perdendosi con lo sguardo sui tetti delle case.


River annuì, iniziando a muoversi a ritroso per tornare dentro casa.
Una volta rimasta da sola, i suoi pensieri presero nuovamente il volo, dispiegando le loro ali da gufo.

L'indomani venne risvegliata dall'insistente squillo del suo telefono cellulare. Se la sveglia non aveva ancora suonato significava che qualcuno la stava chiamando prima delle sette di mattina e che, quindi, questo stesso qualcuno desiderava ardentemente morire.
Afferrò l'apparecchio con scarso convincimento, rischiando di buttarlo a terra.


«Pronto?» mugugnò, la voce bassissima e roca.
«Detective Miller, qui è il sergente Seinfeld che parla»
«Sergente!» urlò Anita, scattando sull'attenti, come se lui fosse stato lì a vederla. «Mi dica».
Il sergente si schiarì la voce, assumendo un tono che Anita definì a dir poco odioso.


«Credo che il suo caposquadra non l'abbia avvisata, ma è necessario che lei faccia i bagagli e si trasferisca nel Distretto Dritch, dove potrà accompagnarsi a quelli della sua stessa specie».


Anita boccheggiò al telefono e si passò la mano robotica tra i capelli, ma nel gesto rimasero incastrati fra alcune scanalature che componevano la sua protesi. Imprecò ad alta voce, tappandosi la bocca subito dopo.


«Non serve dare in escandescenze, signorina. La voglio in viaggio entro domani. Non coinvolga Rott in tutto questo, grazie».


Non le diede neanche il tempo di ribattere che attaccò.
Anita era allibita. Lanciò un'occhiata al display del telefono e vide che erano da poco passate le quattro di notte.


Si alzò dal letto, definitivamente sveglia, e maledisse il giorno in cui aveva deciso di entrare in polizia.

Anita fece il suo ingresso in centrale indossando un grosso paio di occhiali da sole, che purtroppo non mascheravano totalmente l'aspetto sbattuto del suo viso.
Rottemberg la bloccò subito sul posto, porgendole un caffè nero.


«Wow, sembra che ti abbia investito un tir»
«Non dire niente», commentò Anita, indecisa tra l'essere furiosa con lui o semplicemente abbattuta.
«Che ti è successo?» chiese Rottemberg, incrociando le braccia al petto.
«Il tuo capo ha deciso di chiamarmi al cellulare nel pieno della notte per parlarmi del mio esilio a Dritch».


Rottemberg rise. «Seinfeld si sveglia presto»
«Io vado a dormire a quell'ora»
«Gli hai detto che non vai da nessuna parte, vero?»


Anita sbuffò, sedendosi alla sua scrivania e sorseggiando rumorosamente il suo caffè. Era una fortuna che il suo stomaco ancora lo reggesse.


L'acqua scarseggiava, ma la popolazione si era scervellata per creare qualcosa che ricordasse il gusto che aveva il caffè, ma che non sprecasse acqua nel processo di produzione. Cosa avrebbe potuto unire i popoli in una così geniale idea se non il caffè?


«Diciamo che non ho fatto in tempo a rispondere», chiarì Anita, rimanendo sul vago. «Ha detto di non dirtelo»
«Che incredibile fastidio. Pensa di scavalcarmi con questi mezzucci».


Anita si accasciò con la faccia sulla scrivania.

«Fammi solo sapere se devo fare la valigia. Ora lasciami dormire».

Adam Friedeich era appena tornato dalla psicanalisi di gruppo mattutina, quando ricevette un messaggio inaspettato da un numero sconosciuto.

Accetto, ma solo un'ora a settimana e, in cambio, voglio parlare con Jep da sola. Fammi sapere quando.

Adam sorrise, salvando il numero con il nome di 'Anita Miller'.

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