PARTE II - Capitolo 43 - Nikosia

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Due settimane dopo

Anita menava fendenti all'aria, producendo un sibilo che le ricordava il vento che frusciava tra le fronde degli alberi di plastica. La katana brillava quando veniva colpita dai riflessi della luce calda del lampadario, appeso al soffitto. La palestra della centrale era enorme e desolante.
Da quando Jep Tucci era stato arrestato sembrava che la sua vita avesse fatto lo stesso. Arrestata; bloccata in un limbo di routine e noia.


Era davvero così che ci si sentiva quando non si aveva più nulla per cui combattere?
Anita mosse un passo in avanti, affondando la punta della katana nell'aria, sbuffando dalla fatica.
La polizia non aveva più avuto contatti con Gufo e lui sembrava essersi volatilizzato.
Anita era convinta che tutto ciò che aveva vissuto insieme a lui fosse stato solo un brutto incubo.


Purtroppo, il Blinkt le ricordava puntualmente come stessero davvero le cose.
Era una Diversa, adesso.
Una Diversa con una mutazione genetica che la rendeva un gargoyle come la sua cazzo di madre, quando decideva di non mangiare.
Affondò la katana ancora più violentemente, peccato che l'aria non potesse sanguinare.


«Siamo belli incazzati oggi, eh?» sorrise una voce alle sue spalle.
Anita si voltò di scatto, brandendo la katana ancora più stretta e rivolgendola contro l'interlocutore.
River alzò le mani in segno di resa, sogghignando.


«Che vuoi?» berciò Anita, nervosamente.
«Sta calma, tigre», rispose River, con fare sornione. «Volevo solo dirti che io, Rott, Gus e Ivor stiamo andando a pranzo»
«Sì, aspettatemi, vengo con voi. Mi sono giusto portata due conigli vivi e un piede che mi è avanzato da ieri».


River rimase immobile, strabuzzando gli occhi.
«Sto scherzando. Rimango qua, ci vediamo dopo»


River sbuffò ad alta voce e uscì dalla stanza, salutandola con un cenno della mano.
Anita era intrattabile da quando c'era stata la retata a casa Tucci.
Si sentiva incredibilmente sola, senza alcuno scopo e soprattutto affamata.
La fame era diventato il suo chiodo fisso. Fino a quel momento, le indagini avevano avuto il magico potere di distoglierla da quel malessere perenne.
Una volta concluso quel capitolo non le restava altro a cui pensare, se non

Carne, carne, sangue, morte, sangue, massacro

Fame e rabbia. Avrebbe volentieri strappato la faccia di qualcuno a morsi.
Chiunque le parlasse per troppo tempo rischiava davvero la vita.
Solo ora si rendeva davvero conto dell'effetto calmante che aveva Gufo su di lei.
Lasciò ricadere la katana a terra e un flash dell'incisione sulla pelle del padre le rimbalzò davanti gli occhi.


Mine or die.


Rabbrividì e decise di tornare a lavorare. Senza i suoi colleghi in centrale non le restava altro da fare se non sbrigare anche le loro faccende.
Si trovava nell'ufficio di Rottemberg quando sentì il telefono fisso del suo caposquadra squillare incessantemente.


Anita sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Sollevò la cornetta nero lucido e attese che qualcuno parlasse.


«Rott?»
«Chi lo cerca?» chiese Anita, afferrando un post-it e una penna.
«Il generale Seinfeld»
Anita per poco non collassò sul posto.
Il generale Seinfeld era una leggenda. Anche solo il fatto di poter sentire la sua voce tramite telefono le fece tornare il sorriso dopo settimane di noia.


«Cosa devo riferire, signore?» domandò Anita, cercando di mantenere la calma.
«Che quella Diversa che si tiene in squadra deve sparire dal nostro Distretto entro due giorni».


Ah.

Anita deglutì sonoramente, spaesata.
«S-sarà fatto, signore», mormorò, con la testa altrove, tanto che non si rese conto che il generale aveva già attaccato da almeno cinque secondi, e che stava parlando al vuoto.
Lasciò ricadere la cornetta e si accasciò sulla poltrona di Rottemberg.


Chissà da quanti giorni stava ricevendo quel tipo di telefonate senza degnarsi di avvisarla.
Un nuovo senso di rabbia le attraversò gli occhi, rendendoli immediatamente gialli, nonostante avesse mangiato solo la sera prima.
Non poteva più tollerare le bugie, per quel motivo decise di attendere Rottemberg seduta lì sulla sua sedia.


Lui rientrò poco dopo le due, ridendo e scherzando con Gus.
Anita li vedeva tutti quanti riflessi nella porta a vetri, sembravano quasi dei bambini a ricreazione.


Strinse forte i pugni, assaporando il momento in cui riuscì a capire quanto fosse fuori posto ed emarginata dai suoi stessi colleghi.
Rottemberg ebbe un sussulto quando rientrò nel suo ufficio, trovandola seduta alla sua scrivania.


«Anita, diavolo, mi hai fatto prendere un colpo»
Lei non rispose.
Rottemberg si avvicinò alla sua sedia, convinto che lei si sarebbe alzata a breve, ma non lo fece.
«Che succede?» chiese il caposquadra.
Anita si voltò verso di lui, con espressione accigliata. Gli occhi gialli di lei lo folgorarono.


«Non hai niente da dirmi, Rott?»
Lui la fissò con sguardo interrogativo, quasi preoccupato.


«Del tipo spiegarmi perché il sergente Seinfeld ti chiama, chiedendo che io lasci il Distretto?»
Rottemberg sembrò ricordarsi in quel momento di qualcosa di importante, e imprecò a bassa voce.


«Quello non ti riguarda, Anita. Sono affari miei, me la gestisco io»
«E non pensi che avrei dovuto saperne qualcosa?»


Rottemberg si appoggiò con la schiena sul bordo della scrivania, accendendosi un sigaro.


«Tu non cambi Distretto, quindi no, non c'era niente che dovessi sapere»
«Seinfeld dice che fra due giorni devo andarmene»


Rottemberg rise di gusto.

«Seinfeld può dire quello che gli pare. Qua comando io».


Anita si alzò di scatto dalla sedia, facendola roteare all'indietro fino a toccare il muro. Portò le mani sulla scrivania e guardando verso il terreno prese un lungo respiro.


«Non puoi decidere sempre tutto tu senza interpellare nessuno»
Rottemberg ciccò il sigaro in un posacenere di coccio, poi fece spallucce.
«Per ora ha funzionato piuttosto bene, non vedo perché dovremmo cambiare strategia»
«Mi verranno a prendere, Rott. Sai come funziona»
«Dovranno passare sul mio cadavere. E poi, ora, abbiamo problemi più pressanti».


Anita sembrò tornare in sé, fissandolo con sguardo interrogativo.

«Che succede?»
«Tuo padre si è dichiarato 'non in grado di intendere e di volere'. Lo stanno psicanalizzando un po' a Nikosia. Ha chiesto di vederti»
«A Nikosia?» chiese Anita, perplessa. «Jep era ben cosciente delle sue azioni, non ha bisogno di un ospedale psichiatrico giudiziario».


Rottemberg annuì. «Concordo, ma nonostante questo conviene che tu vada a parlarci. Magari ci dà qualche pista su come e dove trovare Gufo».


Anita trasalì a sentire quel nome, ma decise di ignorare quella sensazione di disagio.
Appoggiò la mano sulla spalla di Rottemberg, come a volersi scusare, e uscì dal suo ufficio.

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