17. Ritorno a casa

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

RIELE

A passi scattanti ci avviamo alla volta dell'albergo in cui dovrebbe trovarsi Maggie Lindemann. Nel sentiero Léon reitera il piano che ha stabilito affinché entrassimo in contatto con la cantante.

Le mie supposizioni, in riferimento che lui sapesse dove lei alloggiasse, erano esatte e per migliorare la qualità dell'informazione acquisita, conosce pure la receptionist. È una sua conoscente con cui però non parla da diversi mesi.

Sebbene quest'ultima nota non sia molto rassicurante, auguriamo che ci aiuti con la parte essenziale del piano. Senza, non sapremo come muoverci.

«Sai se il suo turno ricade quest'oggi?» chiedo per precauzione volendo che proseguissimo i più lisci possibili.

«Se i suoi turni lavorativi non sono mutati ed è rimasta receptionist, sì.»

È fondamentale che ricopra quel ruolo.

«Non preoccuparti. In caso contrario l'avrei già saputo da un nostro amico in comune» rinfranca tenendomi la porta del suddetto albergo.

Interrompo i miei passi avendo il cuore ricolmo di ansia e inquietudine. Che qui ci sia davvero Jace?
Non lo scoprirò mai se non entro.

Riacquistando quel coraggio che mi ha trascinata sin qua, riprendo a camminare con a fianco il mio nuovo amico. Perlustriamo la spaziosa hall non vedendo nessun altro, a parte noi. Neppure nel bancone dei receptionist c'è qualcuno. Vorrà dire che attenderemo.

«Eccola è lei, colei che conosco» mi avvisa sottovoce puntando la testa sulla donna di bassa statura e con graziosi lentiggini sul viso, appena seduta.

«Presto non perdiamo altro tempo.»

Così ci dirigiamo da lei che alza il collo notando Léon. Lo saluta con un sorriso largo.

«Hola Léon que buen viento de puerta? Nunca pensé que te vería hoy» si ferma inclinando un'occhiata nella mia direzione in attesa di una risposta.

«Necesito pedirte dos favores muy importantes y urgentes, Camila» e seguita diretto senza pause «Io e la mia amica avremmo bisogno che tu ci riferisca, per favore, in quale stanza soggiorna Maggie Lindemann e se potresti prestarci per qualche ora le uniformi degli inservienti.»

La conoscente di Léon, Camila, solleva le dita dalla tastiera del computer stando paralizzata.

«¿Dices Maggie Lindemann? ¿Y por qué quieres saberlo? ¿Para qué quieres los uniformes de los conserjes? Léon, una cosa a la vez, me estás mareando» si massaggia le tempie, sovvertita da queste richieste.

«¿Y quién es tu amiga? Nunca la he visto en Medellín.»

Lui mi osserva e gli faccio un cenno di consenso, cosicché le possa spiegare chiaramente la situazione in spagnolo.

«Si chiama Riele e l'ho conosciuta a Bogotá diversi giorni fa, tuttavia non è questo il dunque. Camila, ascolta, il motivo per cui ti sto chiedendo questi favori: è per la mia amica, la quale presuppone che qui dovrebbe risiedere una persona a lei molto importante e deve parlarci subito per una questione urgente» lo interpongo volendo intervenire anch'io.

«Mi serve sapere se questa persona in particolare alloggia o meno qui. Ti prego» espongo.

«E per farlo necessitiamo di andare da Maggie» comunichiamo insieme.

La donna mi frena con le mani, assumendo un'espressione molto confusa.

«¿Y qué tiene que ver Maggie Lindemann con esta persona? ¿Se conocen?» pone curiosa di sapere dell'altro.

«Non lo sappiamo con certezza. Indagheremo anche su questo.»

«Pero...» le toglie la parola con estrema delicatezza.

«Camila, esta es una situación muy complicada y delicada de explicar. ¿Podría hacernos este favor? Por favor» emette lui posando i gomiti sul bancone.

«Por favor, señorita» la supplico.

Lei ci ragiona su, mordendosi la piega della mano in combattuta se aiutarci o meno.

«Me estoy arriesgando mucho, pero...» non segue, riempiendo il vuoto con un sospiro arreso.

«...no puedo decirte que no, Léon. Me gustaría tener algo a cambio» gli rivolge mordendosi entrambi i pollici con una certa incertezza.

Io e lui ci riguardiamo sul punto di gioire.

«Todo lo que quieras» le risponde felicemente a braccia aperte.

La donna riflette nuovamente fino ad arrivare ad una richiesta che lo fa decisamente stupire e abbassare gli arti. Questo sì che questa è una richiesta sbalorditiva.

«¿Léon, me llevarás a un restaurante esta noche?»

Vuole andare a cena con lui? Lo osservo attonita dandogli una leggera gomitata per risvegliarlo dal suo smarrimento.

«C-claro, e-está bien» balbetta in difficoltà.

Lei gli sorride con gran spessore accettando di aiutarci, e raccomandandoci di restare sempre vigili non facendoci insospettire da nessuno o peggio ancora scoprire. Altrimenti rischierebbe di essere ammonita dalla direzione. Cavoli che rischio che sta correndo pur di venirci incontro.

«Muy gracias Camila.»

«Ti ringrazio di puro cuore, signorina. Non sa quanto lo apprezzi» la ringrazio e mi ammicca un occhiolino provvedendo a rifornirci delle uniformi.

«E se il personale chiedesse chi voi foste,
dite che siete degli apprendisti in prova venuti a fare dell'esperienza per alcune orette. Dovrebbero crederci, se no che vengano da me. A quest'ora del mattino di personale ne incontrerete solo due, gli altri arriveranno al pomeriggio prima di pranzo perciò  avrete circa due ore di tempo per compiere quello che dovete fare» termina dando ad ognuno di noi la veste.

Bene. Che il piano inizi. Si tratterebbe sostanzialmente di procedere in questo modo: travestirci da inservienti, inventarci una scusa per pulire la stanza della cantante e intrattenerci con lei nella speranza che possa venire da un momento all'altro Jace, tentando fintanto di ricavare delle informazioni che potrebbero esserci d'aiuto nel caso quest'ultimo non apparisse.

Esso potrebbe risultare scadente ma ciò nonostante non sapremmo come agire, considerato che nella sua elaborazione abbiamo riscontrato due problematiche: lei ha visto sia me e conosce oltretutto Léon. Ciò comporterebbe ad un fiasco totale oltre a farci scoprire.

Anche se siamo travestiti e non dovrebbe riconoscerci, lui nasconderà il viso attraverso il capellino della veste e lo stesso varrà per me con il vantaggio che sono struccata e sembro una persona totalmente diversa rispetto a quando mi aveva vista ieri, corriamo comunque il rischio.

Fortunatamente se la cantante lo riconoscesse, lui saprebbe già che scusa utilizzare. Senza perdere altro tempo prezioso e contando le lancette dell'orologio da polso del mio nuovo amico, usciamo dai bagni con indosso l'uniforme. Dopo un mucchio di tempo dovrò recitare, interpretando un inserviente, nella speranza che mi riesca bene. Mi sento tesa.

Gli domando se è pronto e annuisce risoluto, svelando il numero della stanza. Procedendo con un andatura normale, saliamo per le scale in direzione del secondo piano e udiamo spaventati un richiamo.

«Chicos.»

Ma è Camila che ci sta bisbigliando! La sopraccitata passa lo sguardo nel corridoio spoglio con in mano una serie di federe e lenzuola.

«Già che ci siete dovreste cambiare e riordinare il suo letto. Ce l'aveva preavvisato di farlo ieri al suo rientro dal Local de Sorpresas. Approfittatevene senza dare nell'occhio.»

Che grandiosa idea! La ringraziamo nuovamente e lei ribadisce della cena che avrà con Léon.

«Vedo che ci tiene davvero tanto alla vostra cena in serata» lo beffo scherzosa stando attenta a non far cadere le cose, gradino dopo gradino.

Lui si schiarisce la voce, riprendendomi:

«Non è proprio il momento adatto Riele. Focalizzati su ciò che verrà e preparati a rivederlo se avrai la fortuna di rincontrarlo.»

Mi scuso per la mia distrazione.

«Hai ragione Léon, niente distrazioni. Dobbiamo attenerci al nostro piano e non farci scoprire da nessuno» mi concentro ripristinandomi.

Scorriamo tra le diverse porte cercando il numero 12 C. Dietro ad essa troveremo la cantante che tanto ha voluto vedere Joanna. Mi ammazzerà se scoprirà che sono venuta nell'alloggio di Maggie Lindemann senza che lei lo potesse sapesse. Chissà se starà ancora dormendo.

"Riele, niente distrazioni" mi dico individuando casualmente il numero.

Eccolo lì. Avverto Léon dell'avvenuto incappo.

«Ok, bussiamo.»

Fisso la porta scontrando le sopracciglia e immergendomi tra i turbini delle mie meditazioni.
E se dall'altra parte, dentro la stanza, fosse con lei nel caso effettivo che si conoscessero veramente e capitassimo in un momento indesiderato?

Nei film o serie televisive di questo calibro succede sempre così. Non vorrei ritrovarmi ad assistere ad una scena sgradevole, tuttavia devo pur comprendere che siamo nella vita reale. Niente di tutto ciò che mi sta accadendo è fittizio.

Rilascio l'ondata di respiro frenetico e distendo il braccio in procinto di bussare. Mi manca poco meno di un pollice e l'ansia sta gonfiando rapidamente il mio cuore.

«Sono stato un idiota» rilascia Léon togliendosi per qualche secondo gli occhiali e passandosi il palmo sugli occhi.

«In cosa?» provoco un minuscolo rumore alla mia nocca contro la parete legnosa.

«Potevo direttamente chiederle se nel database
ci fosse il nome di NJ o Jace Norman» esterna esacerbato per la sua irriflessione.

Detto ciò corre dalla sua conoscente mimando
'Torno subito.'

Bene sono rimasta da sola. Una meraviglia, direi...

Tiro fuori un ennesima folata di aria e questa volta è più intensa di prima. Ripercorro il braccio sulla porta venendo intimorita da una voce femminile al mio lato.

«Signorina che combina?»

Mi gelo come un freezer. Ce l'ho di lato. È proprio lei. Riconosco il suo tono arguto. Mi giro decisa a non rovinare tutto calandomi calo nel personaggio.

«Salve! Sono l'addetta che si occuperà del cambio delle lenzuola e delle federe del suo letto. L'ha chiesto ieri notte, non ricorda?» recito con una sicurezza che ne fa da padrona.

La cantante dai capelli corvini lisci e con un eye-liner vistoso, ci ragiona su.

«Lo ricordo, eppure mi è sembrato che un'altro addetto l'avesse già compiuto» vaga nei ricordi roteando gli occhi da una parte all'altra.

Accidenti.

«Sì sì, ne sono certa. Era passata circa una ventina di minuti fa un suo collega. Per cui è già stato fatto, grazie» termina tirando fuori dalla tasca anteriore un badge.

Che mi posso inventare col fine di entrare e restare?

«Ci sarà stato un equivoco» dico nel farmi venire qualcosa in mente.

«È possibile e persino probabile» sostiene ripassandolo una terza volta «Dannato badge.»

La mia passata mente creativa d'attrice si è impolverata in questi anni. Non mi viene in mente nulla.

«Ecco finalmente» si esalta spingendo la maniglia e un forte odore di chiuso esce dalla camera.

«Avrebbe bisogno di una rinfrescata» mormora tra sé e sé, pensando.

Successivamente si gira per parlarmi.

«Mi potrebbe per cortesia sistemare e spolverare la stanza? Tra poco sosterrei una riunione con il mio manager e il mio team. Le dispiace?»

Che cordialità nel richiederlo.

«Lasci fare a me. È pur sempre il mio lavoro» appoggio, costruendomi una mappa mentale verso lo stanzino che ci aveva riferito Camila in cui sono custoditi i vari oggetti per la pulizia.

Stando qui l'aiuterò, al tempo stesso, lei aiuterà me anche se inconsapevolmente.

«Benissimo, grazie.»

Mi affretto a trovare e portare gli attrezzi. Ritornata rimango sorpresa alla visione della cantante che apre le finestre, iniziando a riordinare la sua stessa camera. Nota la mia espressività.

«Lo so, non avrà visto nessuno dei clienti farlo. Tutto sommato in due ci metteremo poco» mette al corrente estraendo dal cestone uno spolverino.

Questa ragazza mi sorprende. Me l'aspettavo di tutt'altro carattere e modi di fare. Pertanto l'aiuto a riordinare e buttare le cartacce che erano sparse in giro, fino a sentire dei rumori di gente che bussa.

«Saranno loro. Arrivo ragazzi» enfatizza asciugandosi con una salvietta e correndo ad aprire.

La tengo d'occhio occupandomi intanto dei piccoli scaffali. Sarà tra loro?

«Ciao Margaret, ehi Maggie» la salutano un uomo calvo e un altro uomo asiatico molto giovane di quello precedente.

«Entrate pure. Affrettiamoci a collegarci con Harrison che siamo in ritardo» si avvia a prendere il tablet,
i due la frenano.

«Non avere premura Margaret» effonde l'uomo mentre il giovane dai lineamenti asiatici, le indica la porta.

«Ah no? E come mai?»

«Guarda chi hai dimenticato di salutare» ridacchia quest'ultimo.

E chi? Non si era visto. Il mio stomaco inizia a gorgogliare e me lo massaggio tentando di farlo calmare. L'ansia rinizia ad appesantirmi.

La cantante con fare ingenuo si avvicina alla soglia dell'uscita, e inaspettatamente viene accolta da un grande abbraccio. Il mio stomaco sospende all'istante di fare rumore e mi annuvolo. Non è Jace.

«Brandon!!» esclama la ragazza stringendosi fortemente al ragazzo appena entrato e lo affoga di baci.

Eh?

«Sorpresa tesoro. Sono proprio io» la prende per il mento lasciando ripetuti baci a stampo «Alla fine sono venuto in Colombia a posta per te. Mi mancavi troppo.»

Tesoro? È la sua ragazza?
La cantante gli sorride e si scambiano dolci effusioni.

«Quanto ti amo, Bran.»

Rimango turbata, stordita e impressionata. È a sua volta il suo ragazzo? Lei e quel tizio sono fidanzati? Significherebbe che quel braccio che aveva avvolto sulle spalle di Jace e il loro incontro, l'avevo frainteso? Oh, ok.

Senza avere il benché briciolo di pensiero esco silenziosamente. È sicuramente una grandiosa notizia che la mia presupposizione fosse errata, però speravo tanto di poterlo incontrare. Peraltro vorrebbe dire che potrebbero essersi incontrati per caso e conoscersi a malapena, come mi aveva posto Léon. Ho compreso.

Nel frattempo il nominato ritorna dopo una cinquantina di minuti.

«Riele, scusami se ti ho lasciata sola per tutto il tempo. Vedi, Camila mi ha trattenuto per la questione della cena e non sono riuscito a dirle di rimandare la questione a dopo. Non volevo risultare sgarbato» mi spiega «Com'è andata con Maggie?»

Seguo il suo discorso abbondantemente spaesata:

«Va bene, tranquillo. Dunque le hai chiesto il nome?» sbatto le ciglia lentamente come se fossi gli fossi distante.

Assume un viso mortificato.

«Sì Riele, e per quanto lo abbia controllato molte volte non c'è traccia di lui. Mi dispiace tanto.»

Ah. Nascondo le labbra scuotendo la testa, comunicandogli soltanto che andava bene così e ringraziandolo lo stesso. Lui fortemente dispiaciuto prova a voler ritentare e io lo sosto gentilmente.

«Léon va bene così. Davvero, non dispiacerti. C'erano possibilità che le mie tesi fossero campate per aria e ne ho avuto la concreta certezza. Almeno so di averci provato» gli sorrido candidamente aprendo le palpebre.

Non pare convinto, tuttavia evita di insistere.

«Vuoi che ritorniamo al Cómodo Hotel?»

«Sì, sarebbe meglio.»

Detto ciò ci indirizziamo verso l'uscita ritornando con i nostri vestiti e salutando Camila, impegnata con dei clienti. Percorriamo silenziosamente, a mani vuote, il tragitto. Non nego che sono delusa, ma in compenso apprezzo di averci perlomeno tentato.

Nonostante la partenza sia domani e non avendo avuto l'occasione di rivederlo nuovamente per adesso va bene così. Vorrà dire che non sarà destino; se non altro per questa volta.

Alzo lo sguardo posando una mano sul cuore. Sarà esso a riunirci una seconda volta nella speranza che io riesca a parlargli. Chissà quando avverrà

Nel vedere che ore fossero mi accorgo di essere stata sopraggiunta da cinque chiamate perse di Joanna, tra cui diversi punti esclamativi nei messaggi. Oh cavoli fritti. Prevedo una raffica di domande. So che sarà in pensiero nonostante le avessi scritto di non preoccuparsi: sono responsabile e in buona compagnia.

«Léon, stai preparato. Joanna è sveglia e sarà sicuramente nella hall ad aspettarci» lo informo quando ormai siamo nel cancello «E credo che sarà risentita della nostra uscita.»

Si blocca per dei secondi.

«Oh-ah» spande visibilmente scosso.

Attraversiamo il breve giardinetto, e apro la porta d'entrata venendo sommersi di corsa dall'altra facciata del vetro sgranato. Eccola lì.

«Riele!!» mi nomina a gran vociare catapultandosi ad abbracciarmi «Dove caspita eri finita? Couzin, non sai quanto fossi in pensiero.»

Ricambio la stretta, staccandomi da lei.

«Jo, non hai visto il post-it sullo specchio che ho scritto per te?»

«Sì, ovvio, ma non mi basta un post-it per alleggerire la mia preoccupazione. Gyal, perché non hai risposto alle mie misurate telefonate e sms?» mi pone mettendo le mani dietro la schiena. In attesa.

Poco dopo avermi chiesto il quesito sposta la vista da me a Léon posizionato posteriormente. Subito Joanna stringe gli occhi talmente tanto da risultare piccolissimi.

«Tranquilla cugina non mi devi spiegazioni. Ho compreso come stanno le cose» sibila duramente sorpassandomi.

A quale conclusione è giunta se non ho parlato.
Che avrà intenzione di fare al povero Léon?

«Jo stai calma» la interpello e lei non mi ascolta.

I suoi passi divenuti di piombo atterrano di fronte a lui. Léon sotto lo sguardo impassibile e freddo di Joanna rimane tranquillo. La saluta benevolmente non ricevendo replica da lei. Le cose non si stanno mettendo bene.

«Perché pari così tranquillo?»

«Perché so di avere la coscienza pulita» risponde.

Ed è così.

«¿Cómo estás chica con la alta temperatura?» le sorride scherzoso volendo quietarla, il che Joanna non la prende benissimo.

«No me llames así e fai meno lo spiritoso» lo riga immediatamente, ghiacciandolo.

Intervengo prima che la situazione si incrini ulteriormente. Non se la deve prendere con lui. Non ha fatto assolutamente nulla e mi ha per giunta aiutata. Le spiego come stanno realmente le cose, sperando di farla ritornare in sé ed evitando la parte che coinvolge la cantante; ci riesco stranamente, almeno di primo impatto.

«Ah sì?» chiede sbigottita.

«Sì. Stai serena e non accanirti su di lui.»

Ne sarebbe capace. Gli rivolge un'ultima occhiata.

«Bueno, estás a salvo» riferisce alzando le spalle, retrocedendo e lui libera un sollievo silenzioso.

E pensare che non è ancora a conoscenza della sorpresa di Léon per lei. Se lo sapesse cambierebbe rapidamente il suo atteggiamento scontroso nei suoi confronti.

Dai credo che per ora le cose si siano risolte. Ad un certo punto Joanna indietreggia. Non capisco cosa stia per fare. Lei si allunga per sussurrargli qualcosa che non udisco e in linea successiva rientra nell'hotel, lasciandolo sotto shock.

Guizzo per il suo improvviso volto prostrato.
Oh diamine! Che gli avrà detto da farlo rimanere in questo stato?!

«L-léon» lo cito a tal punto che se ne va senza proferire parola.

La mia mano alzata rimane sospesa a mezz'aria, incapace di abbassarsi. Qualunque cosa gli abbia fatto, Joanna mi sentirà! La rincorro fino al nostro corridoio sbarrandole l'accesso alla nostra camera.

«Jo che cosa hai detto a Léon?» esigo divaricando le braccia affinché non mi superi.

Mi sbuffa addosso con espressione passiva:

«Ci tieni davvero a saperlo?»

«Sì. Avanti dimmi.»

Passa la lingua tra i denti, mormorando tra sé e sé, decidendosi ad espormi i fatti che mi fanno accapponare la pelle per la sua schiettezza e mancanza di tatto.

«Gli ho semplicemente sbattuto in faccia il mio giudizio su di lui utilizzando testuali parole: vattene non ti vogliamo, a maggior ragione io. Non sei stanco di essere sempre tra i piedi? Sembri un disperato. Ora comprendo benissimo la ragione per cui nessuna ti vuole. Lasciaci-in-pace» ricalca senza benché minimo di sensibilità.

Tengo i nervi il più possibile.

«E perché cavolo l'hai fatto?» dico tra i denti, irrigidita.

«In questo modo gira alla larga da noi» libera l'ultima parola con finta vivacità.

Joanna non può essermi caduta in basso.
Chi non rimarrebbe fulminato da questa sfrontatezza? Io che sono una sua parente non reggo a questo suo lato. Sono oltre lo shock.

Con lo scopo di farla ragionare sulla sua azione le discorro:

«Hai rivolto questo acido e sfrontato giudizio alla persona sbagliata. Non solo mi hai amareggiata, ma mi hai fatta riconsiderare questi tuoi lati che auguro di non rivedere un'altra volta con nessun'altra persona benevole» detto ciò mi volto entrando nella stanza, lasciandola lì.

Mi affretto a contattare Léon sperando che risponda, ricevendo al primo squillo una linea presa.

«Pronto?» replica infiacchito.

«Ciao Léon.»

Al rientro di mia cugina non le degno di uno sguardo e continuo la conversazione nel frattempo che sistemo le valigie. La serata si dilunga con ognuno che si sistema silenziosamente i trolley, cenando per conto proprio nei tavoli semi liberi dell'hotel.

Non è la fine migliore per una vacanza tra cugine.

—— —— —— —— —— —— —— —— —— —— ——

L'atteso volo per il ritorno a Toronto è in fase di atterraggio e io proseguo a non parlare con Joanna volendo farla riflettere con maggior misura a ciò che ha compiuto.

Nella telefonata di ieri Léon mi ha confessato di non essersi offeso in sé per le parole di Jo, ma di esserci rimasto tremendamente male al fatto che lei lo consideri come lo ha descritto con oltretutto il suo tono privo di emotività e tatto.

Non so se dopo quanto accaduto le farà la sorpresa e non so nemmeno se verrà a salutarci in aeroporto. Sarà tutto da vedere.

L'autista carica ogni bagaglio degli otto passeggeri sul mini bus all'interno del veicolo. Ultimato, si mette in viaggio con destinazione l'aeroporto internazionale di El Dorado.

«Non mi degnerai per tutto il viaggio?» mi interroga osservandomi.

Incrocio le gambe contraccambiando il suo sguardo seccato.

«Cosa posso fare per far sì che ritorniamo ad essere delle cugine spensierate e felici? Insomma che devo farti? Voglio il divertimento e le chiacchiere, non questo mortorio» si lamenta tenendosi le tempie.

«È grave che tu me lo chieda. Dovresti esserne cosciente» esprimo raddrizzandomi sullo schienale malconcio.

Lei prova a ribattere, però si zittisce rintanandosi nel cellulare.

«Meglio lasciare stare, manderemo la faccenda a prima del decollo» pensa ad alta voce.

Vuole davvero mandare la faccenda a dopo sapendo che abbiamo quasi nove ore disponibili di viaggio per parlarne? Sospiro ascoltandomi un audio libro nel mentre.

Trascorse quelle ore noiosissime a vagare nel web per intrattenermi, scendiamo dal mezzo per entrare nell'Aeropuerto di El Dorado.

Prontamente il cellulare mi notifica di un messaggio, e rispondo gradita che sia il mio amico. Chiede se fossimo arrivate qui e gli rispondo di sì, aggiungendo che stiamo per addentrarci nell'area dei check in.

«Oh no! Non è possibile che sia pure qua! Che palle di nuovo quel ficcanaso del Chico Entrometido!» si esaspera lei e di scatto alzo la testa dallo schermo trovandolo nelle sedie di questa zona.

Ecco cosa intendeva per 'a presto e vicino'. Gli vado incontro salutandolo con allegria nel frattempo che Joanna effettua la conferma del volo.

«Mi hai veramente stupita! Hai fatto pure te dalle otto alle nove ore di viaggio pur di venirci a salutare?»mi meraviglio sedendomi a fianco.

Lui ridacchia.

«Infondo questo è il giorno del vostro rientro. E poi già che ci sono rifornisco il Local De Sorpresas con le parti dei menù arricchiti dalle bevande e ingredienti freschi portate direttamente da Bogotà. Con l'evento di Maggie ha reso più popolare il locale e abbiamo quasi esaurito le sue scorte.»

«È stato un successone allora. Sono contenta che tu sia venuto, mi sarebbe dispiaciuto non poterti salutare dal vivo» gli dichiaro.

Mi sorride e lo dimezza all'arrivo di Jo, la quale annuncia annoiata:

«Fate finta che io non ci sia. Quest'oggi non dirò e farò nulla per non urtare la sensibilità di un certo soggetto qui presente» si siede nel lato opposto a noi, accanto ad un pargolo dormiente.

«Ciao» lo saluta lui con tono un po' distaccato.

«Ciao» ricambia disinteressata o meglio dire scocciata.

Gli dedico uno sguardo di rassicurazione, indicando che non deve badarla.

«Un'ultima cosa, Riele, la fase di imbarco avverrà tra un quarto d'ora. Per cui se devi andare in bagno o mangiare, ti conviene farlo adesso.»

«Ok» e chiacchiero con Léon a proposito della sua uscita con la sua conoscente «Com'è andata la cena con Camila?»

«È stata ottima e lei era genuina nei miei confronti. Mi sono divertito» dice raggiante.

Sono contento per lui.

«Scusate la mia intromissione nei vostri affari... chi è questa donna?» ci pone Joanna inaspettatamente.

Faccio per risponderle:

«Una sua conoscente.»

C'è qualche secondo di silenzio.

«Ah, allora probabilmente l'avrai incontrata sempre quando io non c'ero. Non è così?» mi chiede «Uffa perché non mi avete portata in quell'avventura?»

Mica non voleva intromettersi? Certo che a volte si contraddice da sola. E con enorme sorpresa di tutte e due, sopratutto da lei che rimane di stucco dalla risposta diretta del mio amico senza peli sulla lingua:

«È meglio che tu non ci sia stata. Non era affatto un'avventura. Non stavamo giocando» cita poi il suo nome con assoluta freddezza «Joanna.»

Lei soffoca un balbettio, ammutolendosi.
Che ventata artica si è percepito.

Nessuno dei tre fiata, finché mia cugina non è la prima ad aprire bocca con il suo dannato orgoglio:

«Vedo che abbiamo un pezzo dell'Antartide qui con noi.»

Joanna accidenti a te! Screpoli soltanto le cose! Lui con sua stranezza non le da' retta, alzandosi in piedi.

«Riele, torno subito» si incammina all'esterno dell'edificio.

Non lo fermo volendogli lasciare spazio e invio uno sguardo deludente e irritante a lei. Il bello che aveva detto che non avrebbe detto o fatto nulla; sue famosissime parole. Si mette sulla difensiva.

«Non mi venire a dire qualcosa che quest'ultima volta non gli ho fatto proprio nulla. Anzi è stato lui a provocarmi.»

Stufa le raccomando:

«Non peggiorare ulteriormente la situazione.»

«Tsk! Non è mica colpa mia se questo elemento è permaloso. Neanche Scarlet era a questi livelli.»

«Ah, grazie per avermi dato dell'elemento» appare lui indurendo il tono, quanto basta da farla reprimere il labbro.

Che tempismo. Punto di migliorare le cose cercando di farla scusare ma per la mia solita grandissima sfortuna, l'altoparlante diffonde la notizia che i passeggeri del nostro volo sono pregati all'imbarco. Ecco, un altro tempismo...

«Olé! Si sono decisi ad aprire il nostro imbarco» gioisce attrezzandosi con le sue valigie «Coraggio Riele, andiamo.»

Passo la vista tra lei e Léon. Non deve terminare così la faccenda. Rimango con gli occhi posati su quest'ultimo.

«Riele, andiamo» calca lei.

«Dammi un minutino. Per favore» le dico facendola brontolare e farneticare dei lamenti in giamaicano.

«È meglio che tu vada. Percepisco il suo temperamento incrementarsi man mano che il tempo trascorre» dice lui goffamente.

Gli sorrido spingendomi in avanti e aprendo le braccia per circondarlo in un abbraccio, sbalordendoli.

«Ah! Che mi tocca assistere» accentua e ci lascia da soli, appostandosi vicino alle vetrine.

Lui mi nomina ricambiando brevemente la stretta e quando ci separiamo adocchio nella sedia in cui stava una confezione rivestita da una carta regalo di color porpora. Incurvo malinconica il labbro. Era per Jo.

«Léon, e del regalo? Glielo consegnerai comunque?»

Lo fissa rilasciando un sospiro demoralizzato. Quanto mi dispiace per lui. Ci teneva molto alla fiducia di lei.

«Non glielo consegnerò più io» espande.

«Oh.»

Si risolleva l'animo prendendo il regalo e me lo pone.

«Lo farai tu, Riele» decide brillante in viso.

Io?

«Come?»

«Non voglio un'eventuale e certa sua reazione negativa se lo compio io. Vedi, sto già male al mio interno, nelle mie membra, e non voglio aggiuntivamente peggiorare. Ti chiedo cortesemente di farlo te, Riele, amica» spiega in un leggero sorriso.

Assenso comprendendolo. Glielo farò di certo avere.

«Oramai siamo più che comuni conoscenti. Giusto?»

Gli sorrido radiosa.

«Giusto, ormai siamo in ottimi rapporti da considerarci anche ottimi amici. Ad ogni modo, va bene glielo consegnerò io da parte tua» accetto.

Nel momento in cui cade quell'attimo di tranquillità  sentiamo mia cugina urlarmi nelle vicinanze dell'imbarco:

«Non perdere altro tempo con quello! Perderemo il volo.»

Non fa che peggiorare.

Léon si spegne come se lei avesse spezzato il filamento della sua breve briosità. Se sapesse cosa lui le ha dedicato, si pentirebbe di tutte le brutte cose che gli ha detto. Inserisco l'oggetto nella borsa a tracolla.

«Lo apprezzerà, vedrai» lo consolo.

«Ora come ora non mi importa, basta che abbia ciò che desiderava da tempo. Il mio compito è terminato. Vi auguro un buon viaggio di ritorno.»

Che buon animo.

«Ci rivedremo non è così?» sollevo le sopracciglia, speranzosa.

«Senza ombra di dubbio» esterna espandendo il sorriso «E buona fortuna futura con lui. Sai chi intendo.»

Gli sorrido a pieni denti anch'io e ci si salutiamo in maniera conclusiva.

...

All'interno dell'aereo con destinazione finale: Toronto, Canada

Collassiamo nei sedili. Pronti a partire.

«Ce ne hai messo di tempo per raggiungermi» mi dice, sistemandosi il bagaglio a mano dentro lo scompartimento apposito.

Ignoro la sua frase dandole direttamente il dono.

«E questo?» si chiede assai perplessa, stando poi sul suo posto.

«Aprilo.»

Non lo ispeziona da cima a fondo come mi sarei aspettata, e lo scarta voracemente arrivando alla fonte del pacco. La sua mascella scricchiola da quanto è strabiliata.

«Cugina sei pazzesca!! Come hai fatto ad averli?!!» grida ammirando i tre oggetti con occhi sfarzosi.

«Non è merito mio» metto le cose in chiaro.

«E di chi? Di nessuno?» scherne sospingendomi la spalla.

«Di Léon.»

Joanna lascia scivolare i doni nella confezione, ascoltando per filo e per segno ciò che ho da dirle:

«È grazie a Léon se l'hai ricevuto. È l'unico artefice,
e in quanto tale dovrebbe essere ringraziato lui. Non io.»

Lei si piega in avanti e dalla mia prospettiva il suo volto rimane coperto dai capelli mossi.

«Perché non me l'ha dato lui in persona?» si incupisce sottilmente.

«Ripensa alle parole che gli hai detto tra ieri e oggi. Poi ne riparliamo» proseguo tuttora delusa da lei «Voleva solo avere la tua fiducia però non gli hai dato l'opportunità, trattandolo per giunta molto male. L'ha fatto per te Jo.»

Sembra sentirsi parecchio in colpa.

«Cavoli carbonizzati. Ora mi sento brutalmente avvolta negli abissi dei miei sensi di colpa» dichiara guardandomi dritta nei suoi occhi mortificati.

«Come posso perlomeno ringraziarlo?» sussurra stringendo il pacchetto.

«Non puoi. È tardi.»

___________________________________

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro