21. Pranzo di famiglia

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CORRETTO

Rimango lì con Dylan, a stringergli la mano finché non si addormenta, troppo stanco per tenere gli occhi aperti. Non so perché lo stia facendo, ma deve esserci una ragione molto plausibile.

Me ne vado poco dopo, quando arriva Sofy preoccupata. La avrà avvisata forse Matt.

Vado verso la classe della mia ora con ancora la testa sulle nuvole. Spero che si renda davvero conto di quello che sta facendo.

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Torno a casa stanca morta, Dylan è uscito prima da scuola e questo significa libertà dalle ripetizioni.

Trovo Alex seduto su uno sgabello in cucina che fissa la tazza che stringe tra le mani, non sembra nemmeno avermi sentito arrivare.

<<Tutto bene?>> sobbalza un po', mi guarda e dopo risponde come se non fossimo sullo stesso pianeta.

<<Ti odio>>

<<Che ho fatto stavolta, scusami?>> poso il bicchiere sul bancone, arrabbiata.

<<Sei riuscita a convincermi>>

<<Intendi..?>>

<<Vengo con te, non ti lascio sola e voglio vedere nostra madre felice per una volta dopo tempo>> esulto iniziando a gridare per tutta casa, poi lo vado ad abbracciare... anzi, stritolare mentre ridiamo insieme.

Era da tempo che non ridevo così tanto.

<<Ma farò come fossi a casa mia, cioè mi comporterò come un animale, anzi, peggio>>

<<Ed io farò finta di essere sconvolta, ma continuerò a ridere alle tue cafonate>> ridiamo complici. Contemporaneamente arriva nostra madre, rientrata da lavoro. Viene in cucina, sentendo ridere come non si faceva da tempo e di fatti ci guarda stranita.

<<Ci vado, non lascio andare Bianca da sola>> mia madre inizia a sorridere, prima leggermente poi sempre di più, fino a far inumidire gli occhi.

<<Grazie ragazzi>> si avvicina e ci abbraccia. Non ci donava questo lusso da molto tempo tanto che ne approfittiamo entrambi per stringerla forte, per dimostrarle che, nonostante papà se ne sia andato di casa, ha pur sempre noi. Mi godo il momento e spero che non finisca mai.

Sento che vien da piangere pure a me, così cominciano a rimbombare nella stanza il rumore del naso che tira su per non far colare il muco.

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Ci prepariamo per il fatidico giorno finalmente arrivato. Mi guardo allo specchio, stretta nel mio vestito a tinta unica di colore blu e con delle scarpe abbinate.

I capelli li lascio ricadere lisci sulle spalle, decorando il capo con dei fermagli con un rosa piccola.

<<Sei davvero bella>> dice Alex entrando in camera mia.

<<Grazie, anche tu non sei male>> si sistema il colletto della camicia bianca abbinata a dei pantoli semplici neri. E per dare il tocco "Alex", indossa il cappellino di lana che porta sempre con se. Penso che ci tenga così tanto perché è stato il suo primo ed ultimo regalo per esser stato promosso a scuola. Lo so, è strano come regalo ma quando dico che ne va pazzo non scherzo. Per lui è stato come ricevere un orologio costoso.

<<Andiamo?>>

<<Con piacere>> mi aggrappo al suo braccio piegato, come dovesse accompagnarmi all'altare.

Mia madre ci guarda con gli occhi a cuoricini, mentre sorride compiaciuta. Ci abbraccia ancora una volta e ci dona dei minuti di dolcezza che ricambiamo come fosse l'ultima volta che ci dovessimo vedere.

Saliamo in macchina e devo ammettere che sento l'ansia stritolarmi lo stomaco così tanto che ho bisogno di prendere dei bei respiri per calmarmi. Ma non lo do molto a vedere.

La musica accompagna il viaggio ma nemmeno lei riesce a calmare il turbine di emozioni che sento girovagare per tutto il mio ventre. La tortura dell'attesa finalmente finisce e, una volta scesi dall'automobile, ci guardiamo l'un l'altra per rassicurare il cuore che batte come un matto.

Alex mi prende per mano e la stringe forte per trarne coraggio ed io faccio lo stesso.

Ci incamminiamo lungo il vialetto mentre prendiamo grandi respiri per regolare le infinite emozioni contrastanti. Ancora non ci credo che stiamo per rivederlo dopo tre lunghi anni.

Alex suona al campanello, poco dopo nostro padre apre la porta e ci sorride contento.

<<Alex, Bianca... Entrate, fate come a casa vostra>> entriamo con un sorriso imbarazzato sulle labbra, ma poco dopo Alex sembra già entrato in confidenza con l'ambiente. Lo scruta attentamente, mentre tiene le mani sprofondate nelle tasche.

Solo dopo arriva una donna, la stessa che avevo già visto quel maledetto giorno in cui i miei piedi mi avevano spinto ad andare a spiare da quella maledetta finestra.

Ha i capelli chiari e raccolti in uno chignon basso, occhi castano verdi gioiosi e un fisico asciutto nonostante la gravidanza, probabilmente nascosta dalla camicia sblusata e dei pantaloni semplici grigi.

Alex le sorride e si avvicina a lei con il braccio tratto in avanti.

<<Piacere, Alex e lei è mia sorella Bianca>>

La saluto anch'io quando viene nostro padre pronto per presentarci.

<<Charlotte...è un piacere conoscervi ragazzi>>

<<Bene, vedo che vi siete già presentati... Accomodiamoci a tavola, è tutto pronto>> ci dirigiamo nella sala da pranzo abbastanza grande, con al centro un tavolo addobbato per il pranzo come se fossimo ad un ristorante.

Abbagliata dalla semplicità ma allo stesso tempo eleganza della casa, rischio di inciampare nel tappeto di un colore neutro.

Prendiamo posto e per tutto il tempo del pranzo, non smetto di tenere stretta la mano di Alex. Ogni tanto fa una battuta sulla nostra quotidianità o su quanto nostra madre ne sia rimasta provata dal loro divorzio.

<<Sai papà, se non avessi una figlia come Bianca e una ex moglie che ha bisogno di ridere un po', non sarei qui>> puntualizza Alex ad un certo punto, mentre prendiamo una pausa tra il secondo e il dolce.

Charlotte abbassa lo sguardo e si schiarisce la voce, proprio come il suo compagno. L'aria diventa satura di ironia e imbarazzo, provocato costantemente da mio fratello che mi aveva avvisato non sarebbe stato discreto.

Il suo piano era proprio quello di metterlo in imbarazzo e fargli pentire di averci invitati a casa sua.

<<Se non volevi venire, perché non restavi a casa, allora?>>

<<Per consumare un pasto gratis>> gli sorride in risposta e sa quanto faccia innervosire nostro padre.

<<Pensavo potessimo tornare come qualche anno fa>> fa finta di nulla rispetto al comportamento del figlio e, con mandibola serrata, cerca di essere comunque gentile con noi.

<<Pensi davvero che tutto possa tornare come prima? Allora sei davvero pazzo...Sai perché sono venuto?>> poggia i gomiti sul tavolo e lo guarda con aria di sfida.

<<Perché mi sono stancato di vedere solo la mamma triste, mi sono stancato di vederla soffrire per colpa tua>>

<<E cosa c'entro io?>>

<<Eccome se c'entri, sapevo che venendo qui ti avrei reso felice, illuderti che veramente noi due vogliamo tornare la famiglia di sempre, ma quando ti avrei confessato il segreto avresti fatto precisamente quella faccia>> mio padre, stanco, si alza di scatto, battendo le mani sul tavolo e provoca un rumore sordo mischiato al tremolio delle stoviglie.

<<Pensavo fossi più maturo di così, Alex... Adesso vattene, mi hai stancato>> anche Alex si alza battendo i palmi delle mani sulla superficie del legno e provocando lo stesso rumore di prima.

<<Grazie, non vedevo l'ora>> mi prende per mano, tirandomi con sé verso l'uscita, ma nostro padre ci segue.

<<Bianca può restare>>

<<Forse non hai capito, ma Bianca è dalla mia parte, anzi, se vuoi saperla tutta, è stata lei a consigliarmi questo>>

Mio padre mi guarda sbalordito ma subito dopo fa quello sguardo che conosco benissimo: gli occhi intrisi di così tanta delusione verso l'unica figlia su cui contava ancora e veramente.

Pensavo che vedere quella faccia dispiaciuta mi avrebbe fatta sentire meglio, mi avrebbe reso persino contenta di esser riuscita a smorzare quella nuova felicità che aveva trovato con questa donna, ma adesso quegli occhi dispiaciuti e delusi del mio comportamento mi fanno sprofondare nell'imbarazzo e nei sensi di colpa.

Sento improvvisamente un peso sul petto che inizia a farmi domandare del perché io lo stia facendo, che è stata solo una pessima idea.

Lo odio anche per questo, per farmi sentire così male anche dopo tutto quello che ci ha fatto.

Poi usciamo da lì senza aggiungere altro e aumentano i battiti del cuore quando sento il rumore di un oggetto scaraventato per terra con tanta violenza e poi le parole dolci di quella donna.

Saliamo in macchina e andiamo via.

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<<Non pensavo che l'avrei detto, ma mi sento in colpa... Ho fatto una cazzata a darti questa idea>> una mano chiusa in un pugno, il gomito appoggiato allo sportello, regge la mia testa.

<<Non è colpa tua Bianca, l'ho fatto perché lo volevo io ed è stata la cosa più eccitante che abbia fatto in questi anni>> stringe il volante tra le mani e serra la mascella, rivivendo palesemente quel momento.

<<Ma lo abbiamo ferito nel profondo>>

<<Se lo meritava Bianca, questo è niente in confronto al dolore che ci ha causato>> aumenta ancora di velocità, tanto da farmi aggrappare al sedile dalla paura.

Ma che fa?

Mi volto a guardarlo, terrorizzata da quello che potrebbe fare se non riesco a fermarlo.

<<Alex, rallenta per favore>> dico spaventata, ma non mi ascolta e continua ad aumentare la velocità.

<<Alex, rallenta>> inizio a gridare vedendo che si dirige ad alta velocità verso una macchina ferma al semaforo.

Mi copro gli occhi con le mani come se dovessi prepararmi allo schianto, ma la frenata mi costringe ad andare in avanti col busto finché la macchina non si ferma del tutto.

<<Bianca... mi dispiace, scusami>> dice con voce spezzata da un prematuro pianto. Le mani gli tremano e le osserva con la consapevolezza che quelle sarebbero potute essere la causa dei suoi giorni peggiori.

Respiro affannosamente ma cerco di mantenere la calma.

<<Voglio tornare a casa, subito Alex>> mi limito a dire e lui riparte con molta più calma.

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Alla sera, sdraiata sul mio letto ad osservare la finestra, continuo a rivivere quello che è successo in macchina.

Non ho avuto il coraggio di parlare con Alex e neanche con mia madre, limitandomi a dirle "tutto bene" alla domanda "come è andata".

Qualcuno bussa alla mia porta ed è mia madre che entra con un sorriso sulle labbra e si viene a sedere ai piedi del mio letto.

<<Sei sicura vada tutto bene? Siete strani da quando siete tornati>>

<<Si, tutto bene, sono solo stanca, ho studiato tutto il pomeriggio per la verifica di domani>>

<<Sicura?>> mi domanda con una scintilla diversa dentro agli occhi, una sorta di speranza, una speranza nata su una menzogna, che mi colpisce al cuore ogni volta che la noto. Trattengo le lacrime e annuisco con un sorriso che maschera la delusione di me stessa.

Poggia le mani sulle mie guance e mi tira verso di lei per depositare un dolce bacio sulla fronte.

<<Buona notte tesoro e grazie ancora ad aver convinto tuo fratello>>

<<Era d'obbligo>> si alza e se ne va, lasciandomi da sola con le lacrime agli occhi e la mia mente che continua a ripetermi che è orribile quello che ho fatto.

Più tardi, quando la casa tace e sono sicura che nessuno sia ancora sveglio, esco di casa attraverso la finestra.

Cammino per le strade desolate della città, le mie cuffie e la mia amica musica che mi sussurra alle orecchie con la sua melodia.

Non so dove andare ma vorrei andare in un posto in cui si respira aria pulita e si ode la tranquillità, quella di cui ho davvero bisogno. Ed ecco che mi viene in mente un posto perfetto.Lo raggiungo poco più tardi.

Entro attraverso il passaggio che mi ha mostrato Dylan l'altro giorno, lo oltrepasso per poi andarmi a sedere sotto uno di quegli alberi.

Resto ferma a riflettere, come mio solito, tanto da non sentire nemmeno i passi che arrivavano alle mie spalle.

<<Se avessi saputo che mi avresti rubato il mio locus amoenus, quella sera non te l'avrei mostrato>> mi volto di scatto, tirando dal filo una cuffietta. Ovviamente è Dylan che da lontano, nonostante sia buio, riesco a scorgere un accenno di sorriso.

<<Hai ragione, scusami, solo non sapevo dove andare>> mi alzo di scatto, ripulendo i vestiti sicuramente impregnati di polvere, mantenendo uno sguardo dispiaciuto.

Si avvicina ridendo di me, non so se per i vestiti o per il mio gesto.

<<Non ti ho detto di andartene, anzi, mi fa bene un po' di buona compagnia>> mi passa accanto, osserva davanti a sé e poi si siede dove prima c'ero io.

<<Hai detto "buona"?>> domando confusa ma una parte di me gioisce leggermente nel sapere che io possa essere una buona compagnia per lui. Mi siedo accanto a lui.

<<Certo, devo corromperti dopo quello che è successo in infermeria>>

<<Ah, hai paura lo possa dire in giro, non è così?>> iniziamo a ridere insieme, con un'armonia di cui avevo bisogno.

<<Non sei prevedibile e questo mi fa un po' paura>> dice col sorriso ma con un tono di voce diverso, come incuriosito da questa cosa.

<<Giornata stressante?>> continua poco dopo, quando si rende conto che aveva passato troppo tempo a fissarmi negli occhi.

<<Come lo sai?>>

<<Chi verrebbe qui a cercare un po' di tranquillità se ha avuto una giornata perfetta? Nessuno, deve esserci per forza qualcosa che ti ha spinto a trovare questo>>

<<Hai ragione... Ho mentito a mia madre, ho ferito mio padre ed ho utilizzato mio fratello per fare tutto questo>>

<<Bella merda>>

<<Eh già>>

<<Perché hai ferito tuo padre?>> chiede mentre estrae un pacchetto di sigarette dalla tasca, per metterne una in bocca e accenderla con una mano a coppa davanti. Aspira e butta fuori il fumo dal naso.

Con quella domanda mi ha messo in difficoltà, mi ha messo di fronte ad un bivio: da una parte vorrei parlargli di quello che mi passa per la testa per evitare di far diventare un problema magari piccolo, in qualcosa di gigantesco, soprattutto adesso che c'è qualcuno che vuole ascoltarmi.

Ma dall'altra, ho paura che posso restare ferita nel mettermi allo scoperto, nel mostrare le mie fragilità, anche perché non posso nascondere a me stessa che lui è il ragazzo che mi ha reso la vita un inferno proprio nel momento in cui ero più debole, fragile, spezzata in due.

<<Sta tranquilla, non c'è bisogno che tu me lo dica, nemmeno io racconto a chiunque quello che più mi fa male... Ti capisco>> mi dona un sorriso comprensivo, poi tira ancora dalla sigaretta.

Un messaggio fa vibrare il suo telefono, lo estrae dalla tasca e osserva il display che gli illumina il viso.

Il suo sguardo cambia totalmente, da sereno passa al... Preoccupato? Le sopracciglia si corrugano e sospira pesantemente.

<<Devo andare ragazzina, è stato bello parlare un po', ma è tempo di tornare alla triste e cruda realtà>> si alza.

<<Aspetta, ma dove...>> non ascolta quello che ho da dire, se ne va via senza aggiungere altro.

<<...Vai..?>> un'idea sfiora la mia mente, cioè quello di seguirlo. E lo faccio, pentendomi solo dopo di averlo fatto per aver scoperto qualcosa che non avrei mai voluto sapere. 

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