22. Maschere

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CORRETTO

Non so precisamente dove stia andando, non sono nemmeno sicura se sia lui il ragazzo che sto seguendo, ma giudicare dagli abiti credo sia lui. Diciamo che la lontananza non aiuta più di tanto.

Si intrufola nei vicoli più bui e desolati, fino ad arrivare in una via che non ha scappatoie. Mi nascondo, ovviamente, dietro ad un muro, lontano almeno una settina di metri.

Il ragazzo che dovrebbe essere Dylan, aspetta che qualcuno arrivi, continua a guardarsi intorno finché non arriva una figura nera e coperta completamente in viso.

Dylan estrae una cosa, una busta se la vista non mi inganna, forse la stessa busta consegnata da quell'uomo fuori da scuola.

L'uomo controlla dentro di questa ed inizia a ridere per non so cosa.

<<Sei stato bravo, nessuno era arrivato così lontano come te>>

<<Dammi soldi, in contanti, come d'accordo>> protrae la mano nella sua direzione e aspetta che l'uomo lo paghi...ma per cosa?

L'uomo lo guarda per un po' come se stesse decidendo se darglieli o no. Poi porta una mano ad una tasca interna e ne estrae un'altra busta, ma stavolta di colore bianca, e gliela passa.

Dylan controlla dentro e poi lo saluta con un gesto del capo.

Sobbalzo per la sorpresa e per l'ansia che possa scoprirmi qui dietro ad ascoltare, così inizio a correre e vado il più lontano possibile da qui ma con cautela.

Arrivo a casa, data la vicinanza, e mi chiudo dentro la mia camera con il cuore che batte a mille. Ho paura di aver capito cosa ci sia dentro quella busta, ho scoperto una cosa che non avrei voluto sapere e questo mi fa preoccupare per la mia incolumità e per quella di Sofy.

Cosa ho fatto? L'ho avvicinata ad uno spacciatore, ad una persona a cui si dovrebbe stare alla larga, da evitare quando incontri per strada. Prendo dei profondi respiri per calmarmi, ma nulla sembra riuscire a farlo e allora piango per la presa di coscienza di aver messo in pericolo la mia amica e questo solo per evitare di passare del tempo con lui.

Adesso è mio dovere tirare fuori dalla situazione Sofy, non voglio che soffra più di quanto non abbia già fatto e riconosco che Matt aveva ragione.

Sta a me sistemare la situazione... ma come?

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A scuola, non faccio altro che pensare a cosa ho scoperto quella notte. Sono distratta ogni momento della giornata e non passa inosservato.

<<Si può sapere che hai?>> dice Matt, mentre siamo appoggiati allo stipite della porta e aspettiamo Sofy che sta parlando con delle ragazze.

Scuoto la testa nel tentativo vano di potermi scrollare di dosso i pensieri.

<<Nulla, solo stanchezza>>

<<Certo...>> abbassa la testa per nascondere il sorriso sfottente <<Ricordi come parlavamo senza sosta prima di quest'anno? Ogni piccolezza veniva detta all'altro... cosa ci sta succedendo Bianca?>> sospiro e guardo altrove per non incontrare quello sguardo deluso da me. Mi farebbe troppo male vederlo, almeno il suo voglio evitarlo.

<<Forse non succede nulla di interessante, non credi?>>

<<Vuoi dire come te che cerchi di buttarti dal tetto della scuola, Dylan che tenta di fare lo stesso ma in mezzo ad una strada e poi il pranzo da tuo padre che, puntualizzo, non mi hai ancora raccontato?>>

<<Non è stato nulla di interessante, mio fratello gli ha detto esplicitamente che lo odia e che io ero dalla sua parte>>

<<E lo sei davvero?>>

<<Non so Matt, so solo che mi ha fatto male sapere che sono una delusione per lui>>

Matt mi prende per le spalle e mi costringe a guardarlo negli occhi.

<<Bianca, vedila così, Alex è ancora troppo ferito per aprire gli occhi, se tu ci sei rimasta male significa che la stai superando... Dagli del tempo e forse sarà dalla tua parte>> annuisco e vengo assalita dalla voglia di abbracciarlo, ma mi trattengo avendo paura di venir rifiutata.

<<A questo punto ci starebbe un abbraccio, non credi?>> sorridiamo entrambi, poi ci abbracciamo forte.

<<Grazie Matt, grazie per esserci sempre>>

<<Sei la mia migliore amica Bianca, la persona che conosco da quando ho mosso i primi passi, non riesco ad essere cattivo con te, non te lo meriti>>

Rido e piango di gioia, stringendo la presa attorno al suo busto come ad aggrapparmi alla mia roccia.

<<Abbraccio di gruppo?>> sentiamo la voce di Sofy vicino a noi e senza dire nulla acconsentiamo. Si unisce all'abbraccio e finalmente mi sento a casa.

Sono fortunata ad averli accanto e non smetterò mai di ringraziare il cielo.

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<<Nessuno dei due mi ha dato la conferma se verrete alla festa di sabato>> dice Sofy mentre ci fermiamo davanti alla porta della biblioteca.

<<Non so se vengo Sofy, questo ultimo periodo è un po' brutto>>

<<Intendi per tuo padre?>> dice diretta ma nel suo modo gentile.

<<Si, ma ti farò sapere>>

<<Io anche Sofy, ma sono sicuro di liberarmi da ogni impegno per non lasciarti da sola in quel branco di figli di papà>>

Sofy lo ringrazia e poi mi salutano, abbandonandomi al mio destino. Vado a sedermi al solito tavolo, un po' preoccupata sinceramente.

Controllo di avere tutto il necessario nello zaino, ma mi accorgo di aver dimenticato la maglietta che utilizzo per educazione fisica probabilmente su una delle panche dello spogliatoio. Sbuffo e, di controvoglia, mi avvio agli spogliatoi femminili. Quando esco, però, mi è inevitabilmente sentire la voce inconfondibile di Dylan.

<<Ciao, papà, come va? Oggi è stato un giorno davvero pesante: il prof di matematica diventa sempre più stronzo, il preside mi odia e la mamma non ce la fa più a vivere con me... ecco perché vado ogni notte a dormire a casa di Logan, solo lui e suo fratello mi accettano per quello che sono. Per fortuna che i suoi non sanno di tutta questa merda, altrimenti avrebbero già chiamato gli assistenti sociali>> ride un po' nostalgico mentre parla alla segreteria di suo padre. Probabilmente è a lavoro e non può rispondergli.

Si strizza gli occhi con due dita e tira su col naso, poi riprende a parlare.

<<Manca sempre meno ai miei diciotto anni, te lo ricordi? Vorrei tanto che mi comprassi ciò che desidero ma ogni volta mi dimentico che è impossibile>> si alza dalla panca e si poggia al muro, rivolgendo il volto al cielo, cercando di trattenere le lacrime e di fermare le labbra ormai tremanti.

<<Ti prego, richiama, non sopporto più questo silenzio da parte tua>> comincia a singhiozzare, dei tremori lo colgono all'improvviso e si lascia scivolare lungo il muro fino a toccare terra.

<<I minuti a tua disposizione sono terminati, per lasciare un altro messaggio premere 1>> dice la voce elettronica della segreteria e Dylan preme il numero facendo squillare di nuovo il telefono ma la chiamata si stacca.

<<Se avete chiamato questo numero sapete perfettamente chi sono, al momento sto lavorando ma se quello che avete da dirmi è importante, lasciate un messaggio>> dice la voce allegra e registrata di suo padre, con lo stesso suono elettronico.

Dylan si lascia ancora andare, coprendo la bocca con una mano mentre la sua espressione si impregna di tristezza e mancanza di qualcosa di essenziale.

Poi preme sulla tastiera numerica e la voce riparte, fa così fino a che lascia andare il telefono a terra per coprirsi gli occhi con entrambe le mani mentre il telefono registra l'ennesimo messaggio lasciato in segreteria.

Mi vien da piangere anche a me, non so cosa sia successo con suo padre ma sicuramente nulla di buono.

Sento il cuore pesante, appesantito da una tristezza infinita che riesce a trasmettermi forse perché anch'io mi sento come lui, forse perché riesco a comprendere la mancanza di un padre.
Delle lacrime minacciano di uscire, di colare indisturbate sulle mie guance, cerco di evitarlo ma ormai è troppo tardi, hanno vita propria.

Così, per scappare da quel dolore che, nonostante sia invisibile, riesce ad avvolgermi il cuore in un abbraccio indesiderato e ricolmo di tristezza, inizio a correre per i corridoi.

Ho mente di andare verso la biblioteca, ma qualcosa me lo vieta e così i ritrovo a spingere la maniglia dell'uscita d'emergenza per poi ritrovarmi fuori. Cerco di recuperare l'aria persa durante la corsa e la visione di quella scena, ma tutti gli sforzi sembrano vani perché inizio a piangere a catinelle.

Come a soffrire di più, i ricordi più belli con mio padre mi investono, un senso di nostalgia e la mancanza di quel pezzo di cuore lasciato nelle sua mani mi colpiscono in pieno facendomi un male cane.

Rivivo tutti i ricordi, uno ad uno, da quando ero piccola fino a qualche anno fa e per l'ennesima volta mi sento sprofondare in quel baratro buio e desolato che ho conosciuto solo quando ha deciso di varcare la soglia di casa mia per l'ultima volta.

Le gambe mi tremano e mi sento sull'orlo del crollare a terra e così succede. Piango in silenzio, tremo dalla tristezza mischiata alla rabbia di quel vuoto che non so ancora come colmare.

Passano alcuni minuti prima che io possa riprendermi del tutto, ma ogni volta che provo ad entrare in biblioteca la vista si appanna e un nodo alla gola mi vieta di parlare normalmente.

Ma vederlo dal vetro della porta, seduto là al tavolo, da solo, immerso in chissà quali pensieri, mi spinge ad andare da lui per distrarlo un po' come se mi costringessi ad essere la causa del suo sorriso.

<<Scusa, non eri ancora arrivato e ne ho approfittato per parlare con Matt>> mi siedo al tavolo con estrema calma. Lui non alza lo sguardo, non mi saluta nemmeno, prende solo il suo quaderno degli appunti e si arma di una penna nera, mettendosi in posizione, pronto per scrivere le parti più importanti delle mie spiegazioni.

<<Sai, oggi non mi sento in vena di spiegare a quale velocità stava andando il proiettile per essere andato ad una profondità di quattro centimetri>>

Dylan alza lo sguardo e mi guarda interrogativo.

<<Ed io non sono in vena di fare niente, quindi ti prego di iniziare a spiegare perché è l'unico modo per fermare i pensieri che vanno a mille nella mia testa e che mi stanno distruggendo sempre di più ad ogni minuto che passa>> la voce gli trema un po', evita di guardarmi negli occhi come ad evitare di scoppiare nuovamente in lacrime davanti ad una persona, ragazza per giunta.

<<Io non voglio parlare, tu vuoi ascoltare... Come facciamo?>>

<<Se non vuoi assistere alla peggiore scena della tua vita, ti conviene iniziare a spiegare>>

<<E quale sarebbe questo scenario?>> dico con un filo di voce, aspettando che inizi a guardarmi e, come segno del destino, si volta ad osservarmi attento con quegli occhi tanto misteriosi quanto addolorati.

Inizia a ridere, come a schernire se stesso perché non riesce a dimostrare le sue debolezze ad una ragazza.

<<Quella di me che si sgretola come pasta frolla, rapida ed indolore>> si avvicina al mio orecchio, sussurrando quelle parole e se voleva ottenere una lunga scia di brividi lungo la mia schiena, c'è riuscito bene.

Sembra l'inizio di qualcosa di eccitante, ma al pensiero che dietro a quelle debolezze c'è il suo mostro nell'armadio tutto passa, lasciano una scia di brividi di paura.

Torna al suo posto e mi osserva, come se dovesse scoprire la mia reazione e quegli occhi sono disposti a vederne di tutti i colori.

<<E perché pensi che possa essere un brutto scenario?>>

<<Non penso sia la cosa migliore del mondo vedere il dolore di qualcuno>> torna a giocherellare nervosamente con la penna, picchiettando sul quaderno che ammortizza il suo rumore sordo e disturbante a tratti.

<<Hai ragione, ma se ci pensi bene è vedendo la parte più fragile di noi che ci si rende conto della vera persona che si ha davanti>>

<<Perché pensi questo?>>

<<Ognuno di noi indossa delle maschere per sembrare la persona che più ci conviene, ma non si possono mostrare le debolezze con una maschera sul viso, forse è l'unico momento in cui cade e permette di vedere il vero volto di quella persona>>

Mi fissa con la consapevolezza che quello che ho detto è la verità e ci riflette su per qualche secondo, forse un minuto, perché ho perso la cognizione del tempo fissandolo in attesa di ricevere una risposta.

<<Ma è proprio questo il punto, io non voglio che si veda la mia vera faccia...Vorrei solo avere un interruttore per spegnere tutte queste emozioni>> dice per poi posare tutto nello zaino ed alzarsi dalla sedia.

Accade tutto così velocemente che rimango imbambolata a guardarlo lasciarmi da sola, ma all'improvviso scatto dalla sedia e lo raggiungo, ormai vicino all'uscita dalla biblioteca.

<<Dove vai?>>

<<Avevi detto che non avevi voglia di spiegare oggi, mi sembra inutile restare qui... Devo vedermi con Sophia più tardi, ci vediamo domani a scuola>> non si volta nemmeno e se ne va via.

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Nel pomeriggio decido di andare a trovare Matt a casa e parlare delle cose più stupide che mi passano per la testa, sentendomi veramente libera di dire ciò che più mi piace.

Cerco solo di evitare il discorso "Sophia e Dylan" e godermi dei momenti che non avevo da tempo.

<<Davvero il mio migliore amico ha baciato una bella ragazza in discoteca?>>

<<Ehi con chi credi di star parlando? Non sono mica il santarellino che tutti credono>> beve dalla bottiglia un altro sorso di birra mentre io rido.

<<La prossima volta che ci vai devi avvisarmi, ho davvero bisogno di divertirmi>>

<<Scusa, eri troppo impegnata a pensare al tuo nuovo amichetto>> alza le spalle, finto innocente, e beve ancora.

Rotolo sul letto, sdraiandomi a pancia in su ad osservare il tetto costernato da stelline fosforescenti.

<<Non essere così cattivo Matt... Sto iniziando a pensare che Sofy abbia ragione>>

<<Perché?>>

<<Perché l'ho visto crollare, troppe volte per qualcuno che non si fa scalfire da nulla>>

<<Non so, io continuo a pensare che sia uno stronzo>>

Afferro il cuscino accanto a me e glielo tiro in faccia, facendolo soffocare. Ridiamo insieme.

<<Diventi violenta quando si inizia a parlare del tuo innamorato, non è così?>> mi prende in giro con quella voce che sa mi da fastidio.

<<Non sono innamorata di lui>> gli tiro un'altra cuscinata.

<<Si ed io non faccio schifo in matematica>> si asciuga la maglietta nel punto in cui prima gli è caduto un po' di liquido mentre faceva una faccia buffa per strapparmi un sorriso.

<<Cretino>> torno nella mia posizione di prima, osservo le stelline e nel momento in cui sto per iniziare a parlare dei ricordi comuni tra me e Matt, ecco che qualcosa sbatte contro la finestra.

Ci guardiamo interrogativi, prima di alzarci ad andare a vedere cosa è stato.

C'è l'inconfondibile figura di Dylan che aspetta là fuori. Si guarda intorno, col cappuccio della felpa in testa e una faccia spaesata stampata in volto.

<<Quando parli del diavolo...>> commenta Matt, tornando verso il letto.

<<Non gli rispondiamo?>>

<<No, perché non voglio e non so cosa vuole>> si stende a letto e torna a bere. Non sapevo fosse un gran consumatore di alcol.

<<Motivo in più per chiederglielo>> apro la finestra e richiamo la sua attenzione.

Alza lo sguardo e mi guarda stranito vedendo me.

<<Che ci fai tu qui? Non dovrebbe abitarci Matt?>>

<<Siamo migliori amici, casa sua è anche casa mia>>

<<Chiedigli che vuole>> dice seccato Matt dall'altra parte della stanza.

<<Che ci fai qui?>>

<<Mi servirebbe un posto in cui passare la notte>>

<<Perché?>>

<<Ho litigato con mia madre e Logan non può ospitarmi stanotte quindi...>> si gratta la nuca a disagio, aspettando una mia risposta.

<<No, se lo scorda, l'altra notte i miei hanno fatto domande per giorni, non voglio più mentirgli>> dice Matt da dentro la stanza, mi volto a parlare con lui.

<<Matt, non sa dove andare, ti prego>>

<<Non ci penso proprio, non voglio un inquilino abusivo a casa mia>> beve ancora, con le sopracciglia corrucciate.

<<Non ti sta chiedendo di dormire in camera tua, ma nella casetta sull'albero>> ci riflette un po', ma sembra non convincersi.

<<Va bene, ma voglio sapere il vero motivo del perché non può dormire a casa sua>> si alza dal letto, con un sorriso strano sul volto, posa la bottiglia ed esce dalla camera, forse per andare a parlargli. 

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