29. Bugiardo

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CORRETTO

Dentro l'ufficio del preside mi stritolo le mani dall'ansia e, lo ammetto, mi sto pentendo di quello che sta per succedere ma devo farlo, non posso fargli prendere tutte le colpe.

Finalmente posso entrare e la sua faccia è totalmente stupita nel vedermi ancora qui. Mi siedo sulla poltrona nera e sostengo il suo sguardo, incuriosito, con coraggio.

<<Dylan non ha fatto tutto da solo, l'ho aiutato io preside quindi se espelle lui, deve espellere pure me>> continua a scrutarmi da capo a piedi come a sforzarsi di credermi e poi scoppia a ridere, segno che non ce l'ha fatta.

<<E' un bel gesto eroico signorina Anderson, ma non le credo>> queste parole fanno illuminare una lampadina sopra la mia testa, cioè la mia fidata intelligenza che non mi abbandona mai.

Sorrido furba e mi alzo in piedi, vediamo se così mi prenderà seriamente.

<<Non mi crede? Bene, controlli le telecamere di sorveglianza e se le immagini mostrano quello che dice lei, allora Dylan non verrà riammesso a scuola, ma se ho ragione io, lei dovrà farlo tornare a scuola>>

<<Vuole fare una scommessa con me?>>

<<Se può chiudere un occhio per me, come ha fatto in tutti questi anni con Dylan, credo che una scommessa non sia nulla in confronto, no?>> sono molto sicura di quello che dico, mentre tutte le sue sicurezze le vedo crollare una ad una.

Gli tendo la mano, in attesa che la afferri e sigilli questo patto con me, accompagnato da un sorriso sicuro e furbo allo stesso tempo.

Mi guarda con attenzione, ci riflette su, guarda la mia mano e si domanda se sia la cosa giusta da fare, ma la sua voglia di avere sempre ragione, lo convince ad afferrare la mia mano e con questo a riammettere a scuola Dylan.

Sorrido compiaciuta.

<<Va bene signorina Anderson, sono sicuro che lei non c'entra nulla>>

<<Certo, ma un patto è un patto>> dico, stringendo forte la sua mano.

<<Un patto è un patto>> ripete.

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Una volta tornata a casa, Alex mi accoglie con un sorriso smagliante in volto e con indosso una tuta grigia e il cappuccio in testa.

<<Ciao anche a te, che fai?>> vado in cucina per prendere un bicchiere di latte fresco. Alex mi segue.

<<Come cosa faccio? Ti ricordo che siamo iscritti in palestra>> chiudo il frigo e sto per aprire bocca ma lui mi ruba la parola <<...E non dirmi che te l'eri scordato perché è arrivato il momento di rispettare gli impegni che prendi>> sbuffo.

<<D'accordo, fammi rilassare un po' e poi cambiare così possiamo andare>> mi gusto il mio latte mentre lui rimane fermo davanti a me, sorridente, che mi aspetta.

So cosa vuole dire quello sguardo e proprio per questo alzo gli occhi al cielo.

<<E va bene, vado a cambiarmi>> metto il bicchiere a lavare, dopodichè corro in camera mia. Trovo persino un borsone già pronto, sicuramente preparato da mio fratello. Wow, è davvero motivato ad andarci.

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Pensavo che la palestra in cui avesse fatto l'abbonamento fosse quella qua vicino, ma solo dopo mi ricordo che è la stessa in cui ci portava nostro padre, così ci tocca andare nella palestra di un altro quartiere abbastanza lontano dal nostro.

<<Potevi trovarne una un po' più vicina però>>

<<Hai ragione, ma ho letto su internet che questa è una palestra in cui i soldi raccolti sono destinati per costruire un'altra palestra per i ragazzini di strada>>

<<Ah, bene, vedo che adesso fai pure beneficenza>> dico entrando dentro la palestra, dopo che mio fratello mi ha aperto la porta a fatta accomodare per prima, come un vero gentiluomo.

<<Qualche volta è bello aiutare le persone più in difficoltà>>

<<Ha ragione, sono felice di spendere i nostri soldi per aiutare i bambini>> appoggio il mio borsone su una panca e lo apro, iniziando ad estrarre un asciugamano da mettere vicino a me così da poterlo usare nel momento del bisogno.

<<Già li aiutano, quando chiudono la palestra al pubblico, ma così facendo costruiranno una palestra tutta loro... Ma adesso iniziamo a riscaldarci e poi ci esercitiamo al sacco>>

<<Si, iniziamo>> gli batto il pugno per poi iniziare a fare stretching, Alex insieme a me.

Una volta ben riscaldati, ci dirigiamo al sacco da boxe per esercitarci, o meglio, tornare ad allenarci. Mi stringo bene la coda prima, poi infilo le bende boxe e nel frattempo ho il tempo di vedere chi si trova dentro la palestra e mi blocco subito non appena vedo Dylan.

Si allena poco più avanti ad un sacco da boxe, lo fissa con una strana tonalità negli occhi, come se ci vedesse tutto ciò che gli fale ma non troppo per la consapevoleza che se lo vedesse del tutto potrebbe perdere quel poco di controllo che lo fa restare lucido.

<<Che fai?>> interviene Alex che è già in posizione. Dopo sgancia il primo pugno sul sacco, poi un altro e un altro ancora finché non consuma la sua prima scarica di energia.

<<Nulla>> finisco di sistemarmi e poi inizio anch'io, tirando pugni e calciando ogni tanto. Mi rendo conto di essere un po' distratta perché sono occupata a vedere tutte le mosse di Dylan, come a preoccuparmi che mi possa vedere.

Adesso si è seduto ad una panchina e beve dell'acqua dalla borraccia che si è portato da casa. Qualcuno gli si avvicina, Dylan non ci presta tanta attenzione ma l'altro non si lascia perdere l'occasione di mettergli una mano sulla spalla e sicuramente incoraggiarlo a fare di meglio.

Ma non credo sia un allenatore, anzi, qualcuno che sembra controllare che si alleni duramente.

Dylan fa finta di ascoltarlo e dopo aver finito di bere, sale sul ring colpendo l'aria come riscaldamento.

Tutti i muscoli, quelli delle spalle, delle braccia, dell'addome, si muovono coordinatamente, contraendosi ad ogni suo movimento.

Rimango a fissare quel corpo ricoperto da una patina di sudore che lo rende lucido e che riesce persino a rispecchiare le luci bianche di questa palestra, quegli occhi fissi su qualcosa di immaginario ma tanto reale nella sua mente o, addirittura, nella sua vita.

<<Bianca, siamo venuti qui per allenarci, non per guardare chi si allena per i fatti suoi>> scherza mio fratello che si è accorto di tutto. Credo di diventare rossa dalla vergogna per essere stata scoperta, così torno ad allenarmi anch'io.

<<Lo conosci?>>

<<Sì, era il ragazzo a cui facevo ripetizioni>>

<<Perché era?>> sferra un duro colpo al sacco, facendolo allontanare da lui di tanti centimetri.

<<Perché oggi è stato espulso da scuola>>

<<Un bravo ragazzo, insomma>> ferma il sacco per riprendere fiato e per fermarsi ad osservarlo.

<<Ti piace?>> domanda dopo qualche secondo. Anch'io mi blocco.

<<No, perché lo dite tutti?>> Alex alza le spalle e riprende, come per chiudere la discussione.

<<Perché lo guardi con occhi diversi da come guardi Matt>> rimango in silenzio e comincio a chiedermi con quali occhi lo guardi, sono davvero così diversi?

<<Aspettami qui>> mi allontano da Alex, che acconsente con un gesto del capo, per andare verso Dylan.

Mi appoggio alle corde elastiche e lo fisso dal basso, ma lui non mi nota nemmeno.

<<Non capisco se sei tu che mi perseguiti o è solo il destino che ti fa gironzolare tra i miei piedi>> dico scherzosamente e finalmente si accorge di me. Si ferma, sorride un po' e poi si avvicina a me, inginocchiandosi e reggendosi con una mano che stringe una corda.

<<O forse sei tu che segui ogni mio passo, mi conosci meglio tu che non i miei amici>> dice ancora col fiatone.

<<Prima la droga, poi il ristorante, poi la palestra... Non ti spaventi di nulla, ragazzina>>

<<Fino ad adesso non ho visto nulla che facesse così paura come dici tu>> lui alza gli occhi al cielo e torna ad allenarsi, facendo finta di nulla.

<<Te l'ho detto, non conosci tutta la storia ragazzina, è quella che fa paura>> guardo i suoi movimenti e noto che sono ben diversi da quelli prima.

<<Dovresti colpire con più forza se vuoi atterrare il tuo avversario>>

<<E tu saresti un'esperta?>>

<<Da quanto fai boxe, tu?>> domando, lui si ferma e mi guarda leggermente scocciato.

<<Due anni, tu sapientona?>>

<<Da quando sono piccola, mio padre lo ha insegnato a mio fratello e io ho imparato guardando lui, poi mi andavo ad allenare con il sacco da boxe nella camera di mio fratello, di nascosto ovviamente perché odiava chiunque entrasse nella sua stanza senza permesso>> rido al ricordo della piccola Bianca sgattaiolare dalla mia camera per andarmi ad allenare in quella di mio fratello.

Lui alza gli occhi al cielo e riprende ad allenarsi. Io, invece, salgo sul ring e mi posiziono faccia a faccia con lui.

<<Che vuoi fare?>> sta volta la sua faccia si fa seria.

<<Voglio sfidarti, chiaro>>

Lui scoppia a ridere.

<<Assolutamente no ragazzina>>

<<Perché hai paura di prenderle, naturalmente>> dico io mettendo in posizione ed iniziando a saltellare sul ring, i pugni a coprire quasi tutta la faccia.

<<Se è un modo per flirtare con me, stai sbagliando tecnica perché io non picchio le ragazze>>

<<Stai zitto e combatti>> mi guarda negli occhi e sembra decidere se farlo o meno e alla fine cede, mettendosi in posizione.

Comincia ad avvicinarsi per sferrare qualche pugno ma lo blocco con troppa facilità. Si vede che si sta trattenendo.

Contrattacco beccando in pieno un fianco, si lamenta silenziosamente dal dolore e continua. Ci fissiamo negli occhi con sfida, poi avanzo e colpisco ancora, sferrando un pugno forse un po' troppo forte sulla mandibola.

Stavolta il suo dolore si fa sentire, fermandosi e tenendosi il punto dolorante.

<<Lo ammetto, ti ho sottovalutata ragazzina>>

<<Te l'ho detto, se vuoi atterrare il tuo avversario devi metterci tutta la tua forza, con la rabbia... Avanti, fatti sotto>> si avvicina per tirarmi un pugno ma lo schivo.

<<Con più rabbia, incanala tutta verso la cosa che più ti fa male e colpisci, forte>> mi fissa, con uno sguardo concentrato. Chiude gli occhi e posso sentire materializzarsi completamente il suo incubo, lo affronta con sfacciataggine e una volta averlo visualizzato per bene, torna a sferrare pugni.

Lo fa velocemente, con sguardo distaccato e la rabbia scorrergli dentro agli occhi.

Mi trovo in difficoltà a schivare i pugni, prendo qualche colpo ma non mi arrendo.

Cerco di contrattaccare ma è troppo forte, tanto che cado all'indietro, chiudo gli occhi e mi proteggo il volto per prepararmi al suo colpo decisivo.

<<Fermati>> grida una voce, quella di mio fratello, che subito sale sul ring e spinge via da me Dylan.

Anche lui cade a terra, rendendosi conto di quello che stava per fare. Respira velocemente e nei suoi occhi adesso scorre solo un senso di colpa.

Alex mi aiuta a rialzarmi, per poi fissare il suo sguardo su Dylan.

<<E' solo una ragazza, cosa credevi di fare?>> gli grida contro arrabbiato, attirando l'attenzione di tutti i presenti.

<<Alex, sono stata io a sfidarlo, sta tranquillo non è successo nulla>> lo tiro indietro per un braccio, fino a farlo scendere dal ring.

<<Ti stava per fare davvero male>> sussurra.

<<Lo so, ci parlo io, ok?... Torna ad allenarti adesso, torno subito>> con difficoltà mi ascolta, ma non è concentrato quanto prima. Io, invece, vado a cercare Dylan che nel frattempo è svanito nel nulla. Poi lo trovo, alla sua panchina che mette con forza l'asciugamano nel borsone, forse con rabbia.

<<Dylan>> lo chiamo da lontano per poi correre verso di lui che mi ha lanciato un'occhiata, ma è palese che non abbia voglia di parlare con me.

Si mette il borsone in spalla ed è pronto per andare via, ma lo blocco per un braccio.

<<Aspetta>>

<<Cosa c'è Bianca? Cosa vuoi ancora, non ti è bastato che ti stavo per spaccare la faccia? Lasciami in pace per favore>> si libera dalla mia presa e se ne va via. Lo lascio andare perché lo vedo troppo abbattuto per sostenere altre parole.

Sospiro piano, poi torno da Alex.

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Sono sdraiata sopra al mio letto quando mi arriva una chiamata da un numero sconosciuto. Diverso da quel numero che mi scrive ogni tanto dei messaggi.

Rispondo e la voce dall'altra parte è quella del preside.

<<Vuole davvero che Dylan Collins torni a scuola?>> sorrido soddisfatta, sapevo sarebbe andata così.

<<Si, le prometto che non succederà mai più una cosa del genere>> lo sento sospirare dall'altra parte del telefono, poi mi saluta, io lo saluto.

Chiusa la chiamata, stringo tra le mani il telefono e sorrido come una sciocca, ma sono davvero contenta che torni a scuola e questo grazie a me. Spero solo che non mi odi per quello che ho fatto.

Non riesco a trattenere la gioia dentro di me, perciò mi alzo dal letto e corro verso l'uscita e andare a dirglielo di persona.

Invento la scusa più banale per uscire di casa e, tempo due minuti, sono già per strada che corro come una matta, diretta a casa di Dylan.

Quando arrivo, suono al campanello ma nessuno risponde, gli mando un messaggio per sapere dove fosse ma nessuna risposta.

<<Non è a casa Dylan>> dice una voce alle mie spalle. Sobbalzo dalla paura e sorpresa, mentre mi volto per vedere chi sia.

Davanti ai miei occhi si presenta un uomo sulla quarantina, con i capelli perfettamente ordinati, degli occhi castani con una tonalità strana e un sorrisetto tra il malvagio e l'inquietante stampato sulle labbra.

<<Sa dov'è?>>

<<Dipende, chi lo vuole sapere?>> si avvicina a me di qualche passo.

<<Sono Bianca, una sua compagna di scuola>>

<<Bianca, penso dovrebbe tornare tra poco, nel frattempo puoi accomodarti dentro>> mi supera, estraendo delle chiavi dalla tasca e aprendo la porta.

<<Strano, Dylan diceva di abitare da solo>> non mi fido di quest'uomo, figuriamoci che entri in casa da sola con lui.

<<Dylan dice un sacco di stupidaggini, scommetto che ti ha persino detto che suo padre è sparito quando era piccolo>> mi aspetta sulla soglia della porta, sempre con quel sorrisetto.

<<Perché, non è così?>> incrocio le braccia al petto mentre lui scoppia a ridere.

<<Certo che no, perché suo padre non se ne andato quando era piccolo, ma l'ha ucciso proprio suo figlio, Dylan>> 

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