30. Segreto

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CORRETTO

Mi sento mancare l'aria per qualche minuto buono, scommetto persino che sia sbiancata in faccia. Respiro affannosamente mentre cerco di metabolizzare ciò che ha detto.

<<Sta scherzando, vero?>> dico con voce tremante e il cuore che batte come un tamburo.

<<Forse sarebbe meglio raccontare davanti ad una bella tazza di tè, che ne dici?>> la curiosità mi divora lo stomaco, il cuore e la mente mi gridano che sarebbe da stupidi andarsene così e rifiutare una proposta del genere. Voglio solo sapere la verità anche se mi potrebbe far male.

Forse è questo il segreto che si porta dentro di sé?

Mi fa accomodare sul divano del salotto, mentre la cameriera prepara del tè.

<<Cosa significa quello che mi ha detto? Dylan non lo farebbe mai>> dico scioccata ma a denti stretti.

<<Dylan è sempre stato un bravo bugiardo, riusciva ad ingannare tutti con molta facilità... Non mi stupirei se ci è riuscito anche questa volta>>

<<Vada dritto al punto>> dico secca. Lui mi guarda divertito, come se non percepisse il peso delle parole che sta dicendo.

Mi guarda attentamente, come se per un secondo se ne fosse pentito di ciò che mi ha detto, ma alla fine decide che è troppo tardi e deve condividere per forza quel segreto che accomunerà me, lui e sicuramente Dylan.

Si alza per sparire nell'altra stanza e torna dopo pochi minuti, con delle foto in mano e un telefono che non credo sia suo.

Si siede sul divano e mi fissa negli occhi.

<<Sei sicura di volerlo sapere?>>

<<Ormai ha parlato, credo che il suo intento era proprio quello>>

Getta le fotografie sul tavolino in vetro, senza un minimo di rispetto e quello che vedo mi lascia sconvolta e, se prima dubitavo di una colpa così grande venire attribuita ad un ragazzo di 17 anni, adesso qualche dubbio che sia vero vaga per la mia mente.

Le prendo in mano, tremante, e lentamente le porto vicino ai miei occhi ancora increduli.

C'è Dylan, palesemente più piccolo di qualche anno, inginocchiato di fronte a qualcosa di cui non ne riconosco la forma, si guarda le mani piene di sangue e lì vicino un coltello, sporco anche quello.

Scuoto la testa e i miei occhi si riempiono di lacrime.

<<Non è vero, Dylan non potrebbe mai fare una cosa del genere>> scuoto freneticamente la testa, parlando con la voce spezzata e qualche lacrima che riesce a rotolare giù.

Getto le foto sul tavolino, venendomi il voltastomaco a vedere quella scena macabra. Porto una mano alla bocca come per gettar giù ciò che tentava di risalire e uscire.

<<Questa ne è la prova, non credi? Ma non è finita>> prende quel telefono e fa partire una registrazione. La voce è elettronica, è di un bambino con la voce ancora macchiata dalla fanciullezza ma piena di paura, sensi di colpa e tremante come una foglia.

<<Io... Io non volevo, mi dispiace, è stato un errore>> un pianto soffocato, sussurrato, disperato, che ti porta al cuore la pesantezza di una colpa enorme.

Un'altra voce, maschile, adulta lo incoraggia a ripetere come fatto apposta per essere documentato.

<<Cosa hai fatto Dylan? Dillo, che hai fatto?>> il silenzio segue nella registrazione, poi un singhiozzo, poi la voce che dovrebbe essere di Dylan.

<<I-io l-l'ho ucci-ucciso>> una volta che lo dice, scoppia di nuovo in lacrime, un pianto liberatorio e disperato.

<<Non volevo, non volevo, mi dispiace>>

<<E' troppo tardi Dylan, non c'è nulla da scusarsi>> dice l'altra voce e la registrazione finisce così.

<<Non ho mai capito da chi arrivi questa registrazione, ma c'è la sua confessione>>

<<Ma poteva essere qualsiasi cosa, anche un animale, per sbaglio>> cerco qualsiasi spiegazione razionale a quella registrazione ma ogni teoria cade pezzo dopo pezzo.

<<Non so, so solo che sono state scattate e registrato lo stesso giorno>>

<<Lei come fa a sapere tutte queste cose? Chi è lei?>>

<<Sono il suo patrigno, il nuovo compagno di sua madre e lo stesso a cui la sua famiglia mi deve un sacco di soldi, ma non posso dirti il perché signorina>> si appoggia contro lo schienale del divano, in una posizione del tutto spavalda e menefreghista.

<<Per questo Dylan deve spaccarsi la schiena? Per ridarle i suoi soldi? Ma è solo un ragazzo>>

<<Devono coprire un grosso debito del padre, forse Dylan pensava proprio questo quando ha ucciso suo padre, pensava che uccidendolo sarebbe finito tutto questo inferno... Povero sciocco>> abbozza un sorriso che deride il Dylan di qualche anno fa.

La donna arriva con un vassoio dove ci sono due tazze di tè, lui ne prende una ringraziando la signora mentre io non riesco a muovermi dallo shock.

Mi alzo velocemente, non riuscendo a sopportare tutta quell'aria satura di informazioni, dolore e ricordi brutti.

<<Scusi ma io devo andare, mi dispiace averle dato disturbo>> corro fuori da quella casa non dando nemmeno retta alla signora a cui le è stato chiesto di accompagnarmi alla porta.

Corro il più velocemente possibile, asciugando le lacrime dalla guance, lasciandole un po' bagnate che a contatto con l'aria sento il tratto diventare gelido.

Arrivata a casa, corro in direzione della mia stanza, senza vedere nessuno tanto che Alex blocca la mia corsa prendendomi per un braccio.

<<Stai bene? Sei pallida in viso>> dice preoccupato.

<<Si, sto bene>> annuisco dopo alcuni secondi in cui decidevo come rispondergli.

Fisso la sua mano attorno al mio braccio, poi lo guardo negli occhi.

<<Sicura?>>

<<Si, sicura>> sussurro senza nemmeno rendermene conto. Con qualche dubbio mi lascia andare e ne approfitto per recarmi nella mia stanza e far finta che nulla sia successo.

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La notte mi sveglio di soprassalto per un brutto sogno, non ricordo bene cosa fosse ma è difficile scordarsi quegli occhi azzurri.

Bevo un sorsa a canna dalla bottiglia che si trova sempre sopra il mio comodino, poi mi alzo per andare in bagno a sciacquarmi il viso.

Mi guardo allo specchio e non ho affatto un bell'aspetto: le occhiaie sono evidenti e il viso è ancora intriso da quel pallore e velato da uno strato di sudore grondante dalla fronte. Simile a quello che avevo nei primi periodi in cui mio padre se ne era andato di casa.

All'improvviso penso a tutte le persone a cui voglio bene, a Sofy soprattutto che è la ragazza di Dylan ma che non sa nulla di quel ragazzo, né dello spaccio né del ragazzino responsabile della... morte di suo padre.

Per quanto mi sforzi di pensare che non sia stato lui, non riesco a rimuovere quelle immagini dalla mia mente. Un conato di vomito mi coglie alla sprovvista e corro a riversare tutto anche se non metto nulla nello stomaco da questa mattina.

Mi sciacquo la bocca e torno a guardarmi, ho l'espressione di una malata, con un'intossicazione alimentare possibilmente.

Alzo gli occhi al cielo, mi metto le mani tra i capelli e mi lascio scivolare lungo la superficie lignea della porta.

Rimango così per non so quanto, pensando a come farò a sopportare un peso così enorme sulla coscienza, soprattutto senza dirlo a qualcuno. Ho paura che il segreto mi logorerà dentro, ho paura possa cambiarmi e ho paura di restare da sola.

Non volevo saperlo, se potessi tornare indietro non accetterei di entrare dentro quella casa, o meglio, non avrei dovuto accettare di partecipare a quello scherzo, così Dylan sarebbe rimasto a scuola, io non avrei dovuto fare un patto col preside, non mi sarebbe arrivata la notizia che è stato riammesso ed io non sarei stata così felice da andarglielo a dire addirittura a casa e di presenza.

Così mi rendo conto di star piangendo, le lacrime colano lungo le guance senza far rumore rispetto a ciò che sento dentro adesso.

<<Bianca, ma che hai?>> dalla porta sbuca Alex che si stropiccia gli occhi per essersi svegliato adesso e, non so il perché, ma vedere la sua figura innocente, preoccupata, e uguale a casa, mi fa venire voglia di lasciarmi andare come fosse venuto in mio aiuto per difendermi dal nuovo male che è dentro di me.

Inizio a singhiozzare, senza riuscire a fermarmi. Lui mi raggiunge e, inginocchiandosi davanti a me, mi stringe forte tra le sue braccia protettive e quasi mi sento in dovere di dar libero sfogo a ciò che sento.

<<Va tutto bene, ci sono io, non sei sola>> mi accarezza i capelli delicatamente, mentre io mi aggrappo alle sue spalle che con le ultime forze che mi rimangono.

<<Non lo voglio questo peso, non riesco a reggerlo Alex, ho paura>> quasi grido contro il suo petto, le lacrime ad inzuppare il suo pigiama.

<<Non devi avere paura, ci sono io qui con te, non me ne vado>> mi accarezza ancora, sussurrando le parole al mio orecchio rendendo così tutto più intimo, come un segreto che nessuno mai saprà e di cui avremo ricordo solo io, lui e queste mura.

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Il giorno dopo mi sveglio per via del fascio di luce che entra da uno spiraglio della finestra della stanza di Alex. Alla fine abbiamo dormito insieme, abbracciati l'uno all'altra proprio come quando eravamo più piccoli.

Mi divincolo dalle sue braccia, mettendomi seduta al bordo del letto, stropicciandomi gli occhi. Alex comincia a muoversi nel letto, si stiracchia e poi si blocca, probabilmente a guardarmi.

<<Già sveglia?>>

<<Si, devo andare a scuola>>

<<Scordati di andare a scuola in queste condizioni>> dice preoccupato, mettendosi sui gomiti e corrucciando le sopracciglia.

<<E cosa dovrei fare?>> dico affranta ma anche ironica, ridendo anche ma credo solo per nervosismo.

<<Magari rimanere qui, tranquilla e raccontarmi cosa ti ha ridotta in quello stato>> mi tira per un braccio, facendomi sdraiare sul letto e scappare una risata.

Ci rifletto un po' ma Alex non si merita di mantenere un segreto così grande, per quanto ne avrei bisogno di parlare con qualcuno.

<<Mi dispiace ma non posso dirtelo, ti farei solo male se te lo dicessi>>

<<Ti prometto che non succederà>>

<<No, Alex so che succederà... Ti prego non me ne parlare più, ho bisogno di distrarmi>> il silenzio sussegue le mie parole, so quanto vorrebbe dire il contrario ma rispetta la mia scelta. Poi sospira.

<<Va bene, allora alzati e vestiti>> si alza dal letto, dirigendosi in bagno.

<<Per andare?>>

<<Lo vedrai>>

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Ovviamente Alex dove mi avrebbe dovuto portare se non nel mio posto preferito?

Scendiamo dall'auto e chiudo subito gli occhi per godermi al meglio il profumo di salsedine.

<<Togliti le scarpe se vuoi entrare in contatto con lui>> mi avvisa, mentre già saltella da un piede all'altro per togliersi le sue scarpe. Lo faccio anch'io.

Quella frase è di tradizione, l'ha detta una volta quando eravamo piccoli e, ogni volta che penso al mare, penso ad Alex che mi prende per mano, mi accompagna vicino alla riva, chiudiamo gli occhi insieme e mi sussurra nuovamente quella frase.

Viene vicino a me e replica l'immagine che si è creata pochi secondi prima nella mia mente.

Avanziamo e avanziamo fino ad arrivare in riva al mare e lasciar accarezzare i nostri piedi nudi dalle onde che avanzano e indietreggiano.

Nasce un sorriso spontaneo sulle mie labbra, il suono melodioso delle onde mi fa sentire a casa, la mia seconda casa.

<<Come ti senti?>> dice Alex, mentre espira l'aria precedentemente inspirata. Il tono della voce è rilassato, tranquillo, pacato.

<<A casa>>

<<Si, hai ragione>> respiriamo a ritmo delle onde mentre i primi raggi del sole sfiorano ogni lembo di pelle scoperto, contrastando quell'aria gelida della stagione che è in corso.

<<Oggi è solo un giorno nostro, niente preoccupazioni, niente scuola, niente problemi... Solo io e te, come quando eravamo piccoli>> gli stringo la mano a quelle parole, come per sentirlo più vicino e acconsentire alla sua affermazione.

Le stesse, mi fanno capire la sua eterna bontà con me, la sua comprensione, il suo unico modo di aiutarmi in questo momento e gli sarò grata a vita per questo.

Delle lacrime scorrono sulle mie guance mentre annuisco freneticamente. Alex, allora, in una mossa veloce, mi tira tra le sue braccia e mi stringe forte.

Cerco di trattenermi ma non riesco e così le lacrime cadono sulla manica della spalla mentre cerco di riprendere fiato.

Apprezzo infinitamente il suo silenzio, mi fa capire che anche così riusciamo a parlare tra noi. 

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