Capitolo 5 Punizione pericolosa

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

- E' colpa sua se ha capito male. - mi lamentai di Dominic con Lilith che dopo avergli fatto un discorsetto basato sul fatto che siamo più preziose di quanto si immaginasse e che diffidiamo dai ragazzi come lui - circa sentimentalismi e patti - mi aveva seguita giù per le scale principali.

- Non preoccuparti, l'ho sistemato per bene. - la guardai e notai che i suoi ricci neri ricadevano sul volto come nelle rappresentazioni delle bambole assassine. Dovevo stare tranquilla, era tutto sotto controllo.

Ci stavamo dirigendo alla lezione del professor Lupin, insegnava ancora Difese Contro le Arti Oscure, quando d'un tratto si sentirono delle risate. Risate poco familiari, mature. Oltre a noi c'era anche una cerchia di studenti di varie Casate, intenti a capire cosa stava succedendo.

Esattamente dietro un'arcata c'erano il professor Silente e la professoressa McGranitt occupati in una conversazione amichevole e poco professionale.

Ci avvicinammo per sentire meglio.

- ... La trovo molto genuina quest'oggi, Minerva. - Albus la stava tenendo sotto il braccio, mentre passeggiavano al chiaro di filtro. Prendere per i fondelli il più grande mago del mondo, da non credere. - La ringrazio per il dono che mi ha posto questa mattina. - continuò.

- L'unico regalo che le ho fatto è stato confidarmi con lei, signor preside. - la McGranitt arrossì. - Lei è una persona molto interessante! - ridacchiò.

I ragazzi intorno a noi cominciarono a sgranarsi gli occhi, a farsi domande, c'era chi esultava o che applaudiva e altri che ci guardavano male. Il Trio Grifondoro ovviamente.

- Che cosa avete combinato questa volta? - Hermione si fece avanti con grandi falcate verso di noi, occhi chiusi a fessura e bocca serrata.

- Calmati leonessa, chi dice che siamo state noi? - ribattè Lilith.

- Finalmente hanno capito di amarsi. - aggiunsi io.

- Chissà perché non ci credo. E' solo il primo giorno di scuola e avete già disturbato abbastanza! - Ron restò dietro di lei, con la mano sulla sua spalla. Harry invece era andato a parlare con Silente, il quale prendeva i suoi "si sente bene?" con gioia, rispondendo "benissimo".

- Usa pure il tuo Giratempo per spiarci, Granger. Noterai con rammarico che eravamo entrambe in aula di Divinazione. - la sfidai.

- Forza, andiamo, è inutile. - bisbigliò Weasley prendendola per i fianchi e raggiungendo Harry. - Chiamiamo Madama Pomfrey. -

- Avanti, chi è stato? - la voce della Umbridge squillò all'interno del suo ufficio ricoperto di rosa, tappezzato da quadretti con gattini bianchi, in contrasto con la sua scrivania rosa, la sua poltrona rosa, la sua figura rosa.

- Non siamo state noi. - eravamo in piedi dinnanzi a lei, che era seduta comodamente a sorseggiare un tè verde. La lampadina accesa al suo fianco emanava strani chiaroscuro sul suo volto, pronunciando i suoi tratti morbidi, ma severi al tempo stesso. - Può chiedere alla professoressa Cooman. -

- Bene, allora avete idea di chi abbia potuto fare un gesto così meschino? - le sue parole avevano una linea melodica alta, pronunciate come se stesse cantando.

- Abbiamo il sospetto che sia stato quello nuovo. - parlai ancor prima che Lilith potesse lanciarmi uno dei nostri soliti sguardi d'intesa. - Lei è la sua Tutor, dovrebbe tenere a bada quelli come lui. - feci un sorrisetto.

La Umbridge ispirò forte portando le spalle indietro. - Trovatelo. -

Annuimmo, ma improvvisamente la porta si spalancò ed entrò Argus Gazza, tenendo per una spalla Dominic.

Appena notò dov'era finito si spaventò leggermente, chiedendosi se quello fosse un rifugio per gatti. Dolores schiarì la voce e lui subito si accorse della sua presenza. E della nostra.

- Hai fatto in fretta. - costatò Lilith. Vedendo che la professoressa ci fece segno di uscire, rotammo su noi stesse facendo oscillare la divisa e costeggiammo Dom da entrambi i lati. Quando fummo paralleli ci disse: - La faccio nera. - poi il signor Gazza ci accompagnò fuori.

- Buongiorno, signor Sherwood. - la melodia si fece più bassa. - Sieda. - indicò un tavolino con pergamena e piuma. Dom ubbidì.

- Lei dev'essere la polpet... la mia Tutor. - si corresse, fissandola bene.

- Signor Sherwood, - continuò come se lui non avesse parlato, - è stato lei a obbligare due insegnanti ad amoreggiare inconsapevolmente? - quel suo tono melodrammatico lo fece ridere. - Forse. Magari no. - sorrise.

- Deve comprendere che questa scuola non è un gioco. - scandì bene le parole. - Sa perché è qui? -

- Per aver quasi ucciso dei miei compagni, si, me lo hanno detto. -

- Bene e la sua posizione non le permette di causare altri danni. - lui si sostenne la testa con una mano, sperando che tutto quello fosse un incubo e quella stanza la camera del Diavolo. - Scriva su quel foglio "non devo fare scherzi". -

- Che cosa? - era allibito ancor più che divertito a causa di tutto quello che aveva visto ad Hogwarts fino ad allora. Si, sto sognando.

- Coraggio. E metta la divisa, come gli altri ragazzi. -

Sbuffò e prese in mano quella piuma, più grande e spessa delle normali. Cominciò a scrivere, piano, non aveva la minima voglia di ridicolizzarsi. Ma successe qualcosa, ogni volta che terminava una lettera una scossa di dolore infastidiva la mano sinistra. Era come se una lama lo stesse tagliando da dentro, la punta di un ago che voleva uscire. E mentre tirò un sospiro dolorante si guardò la mano. Rimase pietrificato e sbalordito, ciò che aveva scritto sul foglio si materializzò anche sulla pelle, lacerandola.

Di scatto guardò la Umbridge, che era impegnata a gironzolare per l'ufficio ammirando i suoi animali, con un'espressione furiosa. Serrò i pugni, ma prima che potesse dire o fare qualcosa si sentì un tonfo. E poi un altro e un altro ancora. Eravamo noi, avevamo acceso i fuochi d'artificio freddi, creando una confusione tale da permettere a Dom di scappare. Lui lo fece, senza esitare troppo, capendo al volo la nostra intenzione.

Corse e con lui corremmo anche noi, l'intera scuola si allarmò, uscendo dalle aule per capirne il motivo. Io e Lilith evitammo di passare per le sale dentro il castello, così prendemmo la via per il cortile esterno, di fianco al giardinetto. Come se la telepatia fosse il nostro forte, Dominic stava percorrendo la stessa strada al contrario, non sembrava sollevato di essere fuggito. - Dobbiamo parlare, adesso! - mi fulminò con lo sguardo, vedevo una scintilla di rabbia pervaderlo.

- Nella Sala Comune. - ordinai.

- Siete delle approfittatrici, egoiste e codarde. - ci rimproverò Dom, cercando di insultarci, ma a noi dava solo piacere, era per merito di quegli aggettivi che non venivamo quasi mai punite, una tattica vincente. Continuava a ghignare, non era cattivo, dava solo l'impressione di essere uno psicopatico. Benvenuto nei Serpeverde.

- Non temete fanciulle, sistemerò anche questa faccenda, ma ora ho un chiodo fisso in testa che devo togliere. Lilith - la chiamò e lei rispose con un cenno stanco. - Puoi lasciarci soli un momento? - la richiesta non sembrava così minacciosa dalla sua voce, così ci guardammo e le feci cenno di ascoltarlo, me la sarei cavata bene anche senza la mia spalla.

Ma io a volte mi sbaglio.

Era troppo tardi quando cercai di indietreggiare, nel vedere Dom che avanzava velocemente verso di me. Mi prese per le spalle e lentamente camminammo. - Tu lo avevi promesso. - mi disse con la sua solita voce bassa e calda. - Ma non hai rispettato le tue parole. Per questo ora devo punire anche te. - e poi la mia schiena toccò una parete scura della Sala. Lo fissavo respirando dalla bocca.

Sollevò la mano sinistra, mostrandomi la scritta rosso sangue incisa sulla pelle. Poi la sbatté forte contro il muro, vicino al mio viso. Sussultai.

- Hai paura? - si avvicinò di più col corpo, quasi sfiorandomi. Mi aveva già fatto quella domanda e la risposta non cambiava. Solo che in quel momento ritrovai la voce. - No. - sperando di averlo detto con convinzione.

- Che strano, - fece lui - le persone che non hanno paura non sussultano. - era affascinante il modo in cui si presentava. I suoi occhi limpidi in cui mi potevo specchiare, la sua corporatura sottile, ma scolpita, il ciuffo biondo che gli ricadeva sul viso fino al mento, gli zigomi alti. Dopodiché fece scivolare la sua mano sulla mia gola, afferrandola delicatamente. Chinò la testa leggermente di lato, avvicinandosi sempre di più. - Adesso si fa a modo mio. - Io non riuscivo a muovermi, in parte per il suo corpo, in parte per la tensione. Lo stava per fare, stava per baciarmi. L'impulso di tirargli uno schiaffo era immenso, ma le sue labbra erano così morbide. Le sentì avvolgere le mie e mi abbandonai a quel contatto, ispirando forte. Dischiuse la bocca e quel movimento leggero e delicato divenne più veloce e pesante. La sua mano si strinse più forte attorno al mio collo, per poi scendere sul mio petto e afferrarlo. Aprii gli occhi, sentivo che mi stava toccando il braccio, il polso, la mano. Me la afferrò posizionandola sopra i suoi pantaloni, in quel punto.

Li spalancai del tutto, mormorando qualcosa come "lasciami" contro le sue labbra. Ritrovai la forza di volontà e lo spinsi via, facendolo indietreggiare di due passi. Respirai più in fretta, ma percepii il mio cuore rallentare. - Non hai il diritto di farlo. - ritornai seria e composta. - Beh, volevi qualcosa in cambio? Lo hai ricevuto. - e questa volta fui io a sparire, non sentendo neanche la risposta dell'altro.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro