Capitolo 7 Paure e minacce

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– Perché mi odi tanto? – chiese Dominic a Draco. Difficilmente la Sala Comune era occupata, tutti preferivano gironzolare per i cortili esterni o uscire dalle mura per godersi l'autunno. – Ti ho rubato la ragazza? –

Draco era seduto sul divano in pelle nera, a testa bassa, con le dita sul mento, assorto dai suoi pensieri. Come accordato, non aveva perso di vista neanche un minuto Sherwood, seguendolo in tutte le ale del castello, mentre lui curiosava qua e là. – Non ho la ragazza. –

L'altro invece era in piedi, davanti alla finestra verde decorata di nero a sorseggiare del succo dalla sua borraccia. – Però una delle due ti piace o non mi troveresti così minaccioso. – azzardò.

Si davano le spalle, ma Malfoy percepiva il suo sguardo accusatorio puntato in faccia, quell'espressione da saputello e da maestro di veggenza. – Sei una minaccia per chiunque. – deviò l'argomento ragazze. – Sono stufo di farti da babysitter. – e si alzò, andandogli vicino.

Dom si girò, erano faccia a faccia seppur distanti di due metri. – Bene, allora vattene. – disse in tono pacato. – Tradisci la fiducia di chi ti sta a cuore. -

- Così è questo che pensi di me. – il suo respiro si fece più corto. – Mi credi un debole che fa tutto quello che gli si dice. – diminuì le distanze. – Ti sbagli, perché io sono un leader, un Precetto, sono io a dare gli ordini. –

- Non con le persone giuste. – anche Dominic avanzò di poco. – Ammettilo. – serrò i pugni.

- Smettila! – li serrò anche lui, preparando un gancio destro.

- Adesso basta! – ci mettemmo in mezzo ai due, prima che scoppiasse un'altra lite. Io gli occhi puntati su Sherwood, Lilith su quelli di Draco, i quali erano stanchi e irritati. – Cosa gli hai detto, Dom? – iniziai, dopo una lunga pausa. Vidi la sua mascella irrigidirsi e rilassarsi più volte.

- Io me ne vado. – annunciò Draco. – Il mio lavoro è finito. – e uscì di scena.

– Niente, non ti preoccupare. – Dominic fece per passarmi la mano sui capelli, ma scattai all'indietro come un felino. – Non mi toccare. –

- Come vuoi. – non si oppose e ritirò lentamente la mano.

- Vedo che il tuo amichetto adora prendersi gioco di noi. – Lilith si fece avanti, fulminandolo con il suo sguardo grigio sfumato di verde al centro. – Non è il mio amichetto. – lui sembrava infastidito. – Potrebbe diventare il tuo, se lo lasciassi fare. – e in quel momento mi sentii tirata in causa.

- Lascias... cosa?! – continuò lei, alzando di più la voce.

- Calma, non resterà per molto. Ha una punizione meno grave della mia. - dopo quelle parole restammo in silenzio con un punto interrogativo sulla faccia. – Con meno grave intendo che non dovrà seguire le vostre lezioni, non indosserà la vostra divisa e sarà seguito da Igor. – spiegò poi.

- Quanto tempo si fermerà? – chiese Lilith.

- Pochi mesi. – si pettinò il ciuffo all'indietro. – Quanto a me, probabilmente tutto l'anno. –

- Fantastico. – dissi senza nessun'intonazione.

- Le ragazze me lo dicono spesso, compreso "figo", "da urlo" e soprattutto "modesto". –

- Nessuna mai ti ha tirato un pugno in faccia? – domandai.

- No, ci tenevano alle loro ossa. – rispose in tono malizioso.

- Tu al contrario non tieni alle tue. - guardai le sue mani. Aveva ancora i segni rossi sulle nocche e soprattutto la scritta incisa. – Perché fai così? –

Per un istante, un breve, piccolo istante, mi era sembrato di vederlo abbassare lo sguardo, chiudendo gli occhi. Invece puntavano dritti nei miei e mi sentii a disagio. – E voi perché fate scherzi? –

- Potere. – cantilenò Lilith.

- Potere. – ripeté Dom.

Mentre raggiungemmo la classe di Lupin, le stridule urla di quella mattina si fecero di nuovo sentire. Era Pansy in infermeria, era stata curata con la Pozione Scacciabrufoli, ma essendo la sua una pelle particolarmente sensibile aveva causato rossore e prurito.

- Cosa insegna Remus, per la cronaca? – Dom lo aveva già incontrato, promettendo falsamente che avrebbe partecipato alla sua lezione.

- Difese. – io e Lilith camminavamo davanti a lui, eravamo stanche di guardarlo in faccia, così mantenemmo le distanze.

- Tsk, so difendermi benissimo da solo. – puntualizzò.

- Con la bacchetta. – precisammo.

Per iniziare ripassammo la tecnica su come affrontare un molliccio. Come già visto negli anni passati, tutti i babbani con la bacchetta si misero in fila indiana. Per quanto fossi curiosa di vedere la paura più grande di Dom scelsi i posti infondo, così da aver più tempo per ridere. Neville Cuordileone si rifugiò tra di noi, nella speranza di essere uno degli ultimi. Scontrò accidentalmente Dominic finendogli con la schiena contro il petto.

- Ehi! – gli urlò e quello si girò spaventato.

- Sc-scusa. – bisbigliò. – Spero che il mio molliccio non si trasformi in te. –

Sherwood scoppiò in una fragorosa risata. – Babbano con la bacchetta. Se io avessi qualcosa di molliccio mi preoccuperei. –

Non posso credere che l'abbia detto. Cercai di rimanere seria, ma la mia indole non me lo permise. Mi tranquillizzai quando vidi che Lilith si era messa le mani davanti alla bocca per non farsi sentire. Neville diventò paonazzo e ritornò con le spalle girate, andando avanti di qualche posto.

In ordine eravamo Lilith, io e per ultimo Dom. Lilith si avvicinò al molliccio. Esso si avvolse attorno a se stesso e divenne una mummia, ma al posto delle bende c'era carne bruciata, antica, mangiucchiata dagli scarabei. La stava guardando con due grandi occhi gialli piazzati a caso sotto il cranio spaccato a metà e avanzava. Lei era tesa, ma afferrò la bacchetta sollevandola fino al viso. – Riddikulus! – e quegli occhi si spostarono sul coperchio di una tazza del cesso cosparsa di carta igienica.

Ci battemmo il cinque saltellando e ridendo. L'espressione sconvolta di quell'oggetto presto cambiò, rivelando al suo posto una buca nel terreno. Di lato c'era un grande orologio che rintoccava e dal pendolo scendeva una pala che continuava a scavare, buttando la terra avanti e indietro. Dentro la buca vidi delle ombre. Poi tante lunghissime braccia scheletriche, con le mani rinsecchite e le unghie nere a punta, uscirono allo scoperto, cercavano di afferrarmi e di trascinarmi giù. Sussultai. – Riddikulus! – e il tutto si trasformò in un unicorno multicolore.

Finalmente il turno di Dominic. Lo lasciai avvicinare alla mia creazione e all'improvviso ci vidi doppio. C'era un altro Dom davanti a lui, vestito uguale. Riconobbi quello vero perché aveva lanciato un urletto balzando all'indietro, mentre l'altro era immobile. Era di cera ed era inquietante. Ma poi la statua si mosse e il volto cambiò. Non riconobbi quel viso, al contrario del ragazzo, il quale si pietrificò. L'uomo aveva i capelli biondi, qualche accenno di barba ed entrambi gli occhi azzurri. Dominic sussurrò qualcosa, ma non riuscii a capire. Poi pronunciò "Riddikulus" a labbra strette, con un filo di voce più alto, facendo diventare quel personaggio fuochi d'artificio.

Tutti i compagni lo stavano guardando. Lui respirava a fatica, si vedeva che era scosso. Il professor Lupin fece per mettergli una mano sulla spalla, ma lo fermò alzando la mano, poi si girò per uscire. Come il giorno prima non badò agli sguardi altrui e serio fissò il vuoto.

- Quale stupido ha paura del suo riflesso semimobile? – cercò di dire Neville per vendicarsi per prima. Il suo tono restò insicuro, tremante. Si pentì quasi subito di averlo detto. Con il volto cupo Dominic si precipitò da lui, alzandolo da terra, stringendo le mani sul suo colletto. – Tu devi stare zitto, perché qui, l'unica persona sottoposta all'incantesimo Riddikulus sei tu. –

- Signor Sherwood, esca di qui immediatamente. – fece Lupin. Ma lui non lo ascoltò, perché se ne stava già andando. Io e Lilith lo seguimmo.

- Aspetta. – gridai, mentre correvo. – Che cosa è successo? –

Si fermò e con il suo passo lungo ci raggiunse. – Ho paura delle statue di cera, è così divertente? –

- No. – risposi subito. – Non mi riferivo a quello. –

- Ovvio che no, le persone non sono capaci di farsi i fattacci propri. –

Ci rimasi male, in fondo, per una volta, non volevo prendermi gioco di nessuno. – Okay, non dirmelo. – presi sottobraccio Lilith.

- Micheal. – disse d'un tratto Dom. – Quello era Micheal, mio padre. -

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