CAPITOLO 2

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"L'attrazione mentale non toglie i vestiti,

ma è capace di bagnare la carne

senza nemmeno toccarla."

Anonimo.


Questa notte ho avuto un terribile incubo e per sua sfortuna, la mia nuova coinquilina, si è svegliata terrorizzata dalle mie urla.

Al mattino verso le cinque, non avendo ripreso sonno, decido di farmi una lunga doccia, sperando di riuscire a sciogliere i muscoli tesi.

Prendo il mio beauty ed il resto e scendo di un piano, fino ad arrivare alle docce e ai bagni femminili.

Sotto il getto dell'acqua calda ripenso al mio obiettivo: sono sicura di passare il concorso a pieni voti: sono diventata una eccellente studentessa, studiare è l'unica cosa che mi distrae dopo anni di angoscia.

Ho scelto la facoltà di legge per difendere i deboli, le persone che, come me, o anche per ragioni diverse o uguali finiscono tra le grinfie di pazzi, maniaci, serial killer e che non riescono ad avere voce in capitolo.

Mentre mi vesto e asciugo i capelli, scaccio dalla mente il pensiero dei miei genitori in uno dei diversi episodi in cui mio padre la maltrattava, ma quando guardo la mia figura riflessa nello specchio, mi rendo conto di essere pallida come un cadavere.

Sono preoccupata che gli altri possano notare quanto sia fuori forma, o che vedano che qualcosa mi sta turbando, così, per nascondere il pallore, mi trucco.

Applico il correttore per mascherare le occhiaie, il fondotinta con una tonalità che permette alla mia carnagione di tornare tra i vivi, e termino con un velo di cipria per dare una parvenza di essere umano piuttosto che a un vampiro.

Non sono nel pieno delle forze, ma devo comunque affrontare l'esame, perciò varco la porta dell'aula, saluto frettolosamente il rettore e Mr Wilson e prendo posto negli ultimi banchi cercando di non dare nell'occhio.

Appena inizio il test però accade l'impensabile, un incubo si materializza: vedo mio padre che incombe su mia madre e le inveisce contro.

«Josh, smettila ti prego!» Si agitò impaurita. L'uomo che avrebbe dovuto proteggerla e amarla la schiaffeggiò il viso per evitare che si ribellasse. Strappò ciò che restava dei vestiti e disgustato sentenziò: «Sei solo una puttana!»

Le mani iniziano a tremarmi, gli occhi si velano di lacrime e d'un tratto un conato mi sale dall'esofago. Bianca in volto balzo in piedi e mi fiondo fuori dall'aula alla ricerca del bagno più vicino.

Riesco ad arrivare in tempo per liberarmi della poca colazione che sono riuscita a ingerire e, come un fiume in piena, i brividi tornarono ad aggredirmi. Goccioline di sudore freddo corrono pian piano dalle tempie e lungo la schiena mentre inizio a singhiozzare.

La mente si pervade di immagini terrificanti: mamma che giace a terra, le sue urla disperate e dopo una inutile lotta, la resa, senza forze, sola.

Sbatto gli occhi più volte e per terra non vedo lei ma me stessa!

«Papà, smettila ti prego!» Mi agitai impaurita. L'uomo che avrebbe dovuto proteggermi mi schiaffeggiò il viso per evitare che mi ribellassi. Strappò i vestiti rimanenti e disgustato pronunciò: «Sei solo la figlia di una puttana!»

«Miss Lewis, sta bene?»

Quella voce, la voce di Mr Wilson, mi risveglia dallo stato di trance mentre mi parla attraverso la porta chiusa.

Com'è possibile che siano ritornati gli incubi? Riesco a spiccicare due parole in croce, perché pur nell'inquietudine che mi attanaglia, torna violenta l'eccitazione e subito dopo la consapevolezza di dovermi comportare da adulta.

Tra l'altro non credo di avere speranze! Santo Cielo, sento di sciogliermi come una ragazzina.

«Sì.»

Attendo qualche attimo prima di uscire augurandomi che sia andato, ma non è così.

Infatti, quando apro la porta me lo ritrovo lì, appoggiato di schiena a uno dei lavandini con le mani in tasca, ad aspettarmi per capire come mi sento.

Lavo le mani e sciacquo il viso, ma non ho il tempo di asciugarle che devo immediatamente tornare indietro. Un altro conato.

E poi, un tocco divino, due mani gentili e premurose mi sollevano i capelli rimasti attaccati al viso.

È un po' imbarazzante, ma riflettendo, ormai un'umiliazione in più o una in meno che differenza può fare?

Le sue mani mi accarezzano il collo con un sapiente massaggio, e comincio a rilassarmi.

Benché sia tesa come una corda di violino, lui continua a lenire i miei muscoli tesi.

Mi scalda, anzi no, sento che sto cuocendo lentamente. Sento un calore che non ho mai provato che mi penetra sotto la pelle.

Quel sensuale massaggio mi manda in visibilio, eccitando e sensibilizzando i tessuti più erogeni.

La tensione si ammorbidisce, tramutandosi in desiderio. Come una carezza lenta e dolce, gli umori si sciolgono bagnando il tessuto di cotone.

«Rebecca, le va di uscire da qui?» mi sussurra all'orecchio sfiorandolo con le labbra.

«Presumo di essermi bruciata l'opportunità di lavorare nella sua azienda.»

Con tutto l'impegno che ho messo per studiare, sarebbe stata una sconfitta deludente non portarlo a termine.

Ancora una volta, mio padre era morto e risorto nel mio inconscio. E aveva vinto.

«Non si preoccupi per questo. Ci penserò io.»

Aggrotto le sopracciglia non riuscendo a capire cosa intende; avrebbe fatto un'eccezione per me? Sentiva di poter scommettere sulla ragazza che aveva soccorso mentre vomitava in bagno? Io, una ragazza senza alcuna particolare attrattiva.

«Sono io che detto le regole, Miss Lewis.» Il tono gutturale ma allo stesso tempo suadente, mi fa vibrare di nuovo e i capezzoli mi inducono a emettere un gemito che fortunatamente, ingoio in tempo.

I pensieri sono tutto fuorché sani.

Mi porge la mano e mi invita a uscire da quel luogo così squallido.

Sono titubante. Le svariate volte in cui un ragazzo o un uomo ha provato a toccarmi, sono saltata come una cavalletta terrorizzata.

Aggrotto la fronte e torna il ricordo delle sensazioni scaturite dal suo massaggio sul collo.

«Andiamo?» ripete.

Mi stringo nelle spalle e alzo lo sguardo su di lui, Thomas. Uno splendido sorriso gli si stampa sul volto, sembra che mi stia invitando a fidarmi di lui.

La fisso tesa di fronte a me, e rifletto su cosa fare.

Credo che prima o poi ritragga la mano però, di nuovo, mi sorprende.

Attende finché non decido di appoggiare la mia mano sulla sua, poi la stringe e delle leggere vibrazioni mi pervadono.

Mi accompagna nell'ufficio del rettore con la scusa che lì saremmo stati soli.

«Vuole un caffè?» mi chiede con gentilezza.

«No grazie, la caffetteria qui sotto non è delle migliori.» rispondo con una smorfia ricordando il sapore di acqua sporca della prima volta che l'avevo assaggiato, bleah!

«Non mi pare di aver detto che sarebbe stato quello della caffetteria della facoltà.»

Siamo abbastanza vicini perché riesco a percepire il suo inebriante profumo di muschio mischiato con gli agrumi. Lo stesso che mi ha sconvolto ieri. Prima di rispondere sento l'esigenza di schiarirmi la voce e mi obbligo di posare gli occhi da un'altra parte: vorrei evitare di saltargli letteralmente addosso.

Quel corpo così sensuale, provocante e muscoloso sta per indurmi in una indecente fantasia... chiudere gli occhi, accostare il naso sul collo e leccare ogni angolo di quella pelle assaporando il sapore con la lingua.

Oddio! Questi pensieri non sono da me e soprattutto non dopo quel momento, non dopo aver vissuto quell'incubo!

«Mmm... okay.» annuisco abbozzando un sorriso.

Dalla tasca dei pantaloni prende il telefono e ordina un caffè amaro per sé e un cappuccio con latte di soia e panna per me.

«Ma... Come fa a...» Esterrefatta mi domando se in realtà, ieri, fosse già dietro di noi quando Selene e io abbiamo fatto la nostra ordinazione al bar.

Scarto subito la possibilità perché avrei sicuramente percepito l'aroma del suo profumo e inevitabilmente, la sua presenza.

«Sono un ottimo osservatore.» si giustifica.

Oltre che un buon osservatore, constato che la sua bellezza è assolutamente illegale.

«Le va di raccontarmi cos'è successo in aula? Sa, potrei aiutarla.» mi sembra di cogliere un velo di ironia sull'ultima frase.

«Come potrebbe essermi d'aiuto se è già accaduto?»

Thomas si accomoda dietro la scrivania invitandomi a fare lo stesso sulla sedia di fronte alla sua.

Mi auguro che l'ordinazione arrivi nel più breve tempo possibile, perché stare con le mani in mano davanti a lui che esamina ogni mia espressione o gesto, mi rende nervosa e mi sembra di essere sotto esame.

«Non lo sa che ho studiato anche psicologia?»

Non capisco se è una battuta o se è serio, perciò sto al gioco.

«Non penso che sia adatto a fare lo psicologo, e poi, non mi conosce.»

Accavalla le gambe mantenendo lo sguardo su di me.

«Se vuole posso esporre ciò che ho notato in lei.» preferirei di no, ma presumo che me lo dirà in ogni caso. Cerco di essere gentile e addirittura di dosare le parole.

Incrocia le dita sulla scrivania e mi fissa in silenzio. Ho l'impressione che voglia trapassarmi con gli occhi.

Annuisco, preoccupata dal suo giudizio, e impaurita perché con molte probabilità sarebbe in grado di leggermi dentro, e non è ciò che voglio.

«Può iniziare col raccontarmi chi è quell'uomo e com'è riuscito a traumatizzarla a tal punto da farla sussultare in quel modo. Credo che, se altri uomini l'avessero toccata, come sono riuscito a fare io, si sarebbe spostata malamente, cominciando di nuovo a sudare freddo.»

Come ha fatto a intuirlo? Presumo non sia così difficile, forse basta avere un po' di arguzia e attenzione, ma mi colpisce che sia stato in grado di percepirlo così velocemente.

Chissà, forse è al corrente del mio passato. D'altronde, è un avvocato, documentarsi rientra nelle attività per conoscere a fondo sia la vittima che l'indagato. E io non sono da meno. Considerato il fatto che sono una studentessa modello tanto che Scott gli ha anche parlato di me. Ne sono ugualmente stupita però non commento.

«Non provi a giustificarsi negando la mia supposizione: ho avuto il tempo per osservarla, ancora prima del nostro incontro.»

Nel momento in cui fa questa constatazione, qualcuno bussa «Avanti.»

Il cameriere ci interrompe, con mio immenso piacere al contrario dell'irritazione che percepisco da Mr Wilson.

Dopo aver pagato e congedato il ragazzo, si avvicina porgendomi il cappuccino.

Mi alzo e mentre lo sorseggio, osservo dalla grande vetrata dal terzo piano i ragazzi che studiano, ridono, scherzano, e chiacchierano, alcuni sono distesi sull'erba con gli amici.

«Perché desidera saperlo? Mi darà una delle pillole di saggezza da psicologo?» ironizzo cinicamente.

Gli psicologi, loro, pronunciano sempre le stesse frasi: "come si sente?", "cosa prova?", "come vorrebbe reagire riguardo a...?", appuntando nel loro taccuino chi lo sa cosa! Paghi le sedute – molto costose - nella speranza di essere ascoltata o di avere un consiglio. Ma, una volta terminata l'ora, rimani col dubbio se quell'appuntamento sia davvero servito oppure no.

Per la sottoscritta recarsi da uno psicologo significa buttare dei soldi per niente.

Sorseggia il suo caffè mentre mi studia. Questo mi irrita.

«Vorrei darle ben più di un consiglio da psicologo, ma so che, nelle migliori delle ipotesi, non mi parlerebbe più.»

Notando la mia espressione stupita, sorride con un atteggiamento provocatorio.

Scuoto la testa tentando di non ridere, in compenso arrossisco e non poco.

«Apprezzo che mi faccia pensare ad altro, ma non ha bisogno di beffarsi di me.»

Per lui probabilmente è solo un gioco per il quale vuole a tutti i costi vincere. Chissà, magari ha voglia di portarmi a letto...

«Rebecca, non la sto prendendo in giro. Di una cosa può star certa: lei apprezzerà e acconsentirà intenzionalmente a tutto quello che ho pensato di farle.» ammicca e chiude dicendo «Non è pronta, ma lo sarà presto. Prima di quanto crede.»

Mi ha studiata a lungo? Quella frase suppone che deve avermi adocchiato già da tempo. Perché?

Apro la bocca per parlare, poi però, desisto. La sua affermazione da borioso e spocchioso mi sorprende. E se fosse vero?

"Per carità!"

«Lo sa che non è né professionale né appropriato irretire una studentessa?»

Come si permette! Sono talmente sconvolta che interviene prima che possa iniziare a insultarlo, e con tutto il diritto!

«Irretire? Lei è già attratta da me, Rebecca. Allora, vuole parlarne o tornare in aula? In ogni caso, anche se sceglierà la seconda opzione, non le renderò le cose semplici. Lotterò per conoscerla.»

Perché ho l'impressione di essere proprio io il suo "pasto"?

Flashback Caroline

La prima volta che vidi e conobbi Peter, mi parve come uno di quegli uomini risoluti, pragmatici, complicati che non desiderano legami di alcun tipo; ma solo scopate occasionali.

Il capo non permetteva che nel suo locale, sia noi che i clienti ci appartassimo. Fuori orario e fuori da lì non gli riguardava. Per non rischiare, non solo ci monitorava con telecamere ma ci impediva di parlare tra di noi delle nostre "esperienze", pena licenziamento.

Non avevo mai accettato compensi per sesso, tuttavia, quando posai lo sguardo su Peter, capii che pur incerta e disorientata dai suoi occhi, sentivo dell'attrazione verso di lui.

Anche Peter provava qualcosa per me anche se non me l'aveva detto ma io non ero sciocca.

Sentivo i suoi occhi addosso ogni volta che arrivava al locale. Facevo lo stesso anch'io perciò fu inevitabile che cominciassi a desiderare di incontrarlo.

Nonostante lavorassi lì già da diversi mesi, iniziai a provare qualcosa per lui ed ero sbalordita di quanto riuscisse a farmi arrossire pur senza parlarmi o toccarmi. Sapevo che lo faceva apposta.

Il suo sguardo su di me mi squadrava spudoratamente, aumentando così il mio imbarazzo fino a quando, soddisfatto per le mie reazioni, ghignava consapevole dell'effetto che aveva su di me.

Una sera, arrabbiata con me stessa per essere preda di una situazione così avventatamente spudorata nei confronti di un uomo arrogante nel suo fascino e nella sua ricchezza, mi imposi di smettere con quel gioco col quale rischiavo di scottarmi. Non l'avrei più guardato. Nemmeno per sbaglio.

Ultime parole famose.

Nelle due serate seguenti non accadde nulla, ma alla terza, quando il mio turno era terminato, uscendo dal locale, lo vidi appoggiato alla sua auto, vicino alla mia, con le braccia conserte che mi attendeva. Immaginai si fosse fermato lì perché sapeva benissimo quale fosse la mia auto.

Fu così che l'obiettivo del "nemmeno per sbaglio" non funzionò a lungo.

«Salve, Caroline.» mi chiesi come conoscesse il mio nome, non avevo mai usato quello vero, ma evitai di chiederglielo.

«Peter.» rimarcando in risposta che anch'io conoscevo il suo nome.

«Vedo che sa come mi chiamo.» Sogghignò e non mi fece affatto piacere.

«Senta, qualsiasi cosa voglia da me, la risposta è no. E si tolga di mezzo, domani ho lezione.»

«So che frequenta la facoltà di economia.» I miei nervi si tesero, tuttavia tentai di non darlo a vedere.

"Cazzo! e adesso? cosa faccio?"

Nega! È la cosa migliore!

«Non so di cosa stia parlando.» Aprii l'auto, ma non mi permise di entrare, lo sentii alle spalle, le sue labbra toccarono il mio orecchio destro.

«Oh, Caroline, credo proprio che tu sappia di che cosa sto parlando...»

Brividi percorsero come un'onda di elettricità lungo la schiena fino ad arrivare lì, nel punto più intimo.

Sussultai, e benché sentissi già la necessità di avere le sue mani dappertutto, un campanello d'allarme prese a trillare dentro la testa. - Zona rossa! Pericolo! -

«Co-co-sa vuoi?» mi rispose con un gesto in cui mi rivendicava come se fossi di sua proprietà prendendo tra le labbra dell'orecchio per poi leccarlo e succhiarlo fino a conficcarne i denti... sapevo già che sarebbero rimasti i segni violacei di questo sensuale assalto e... un succhiotto!

Per l'amor del cielo! Svegliati! gridò la mia coscienza, invano.

Non seppi in che modo, ma ero completamente ammaliata!

Strinsi gli occhi ma un gemito sfuggì dalle mie labbra. Mi maledissi perché vidi che a lui piacque particolarmente.

«Vorrai dire chi voglio.» Mi prese le spalle e mi voltò al suo sguardo.

"No! No! No!"

Tentai di scostarmi, ma fu più furbo e svelto di me. Afferrò i fianchi e con violenza li bloccò tra lui e la carrozzeria. Con calma mi scostò i capelli da un lato e, come se fosse del tutto naturale, iniziò a posare le sue labbra a tratti dolci, a tratti vogliose sulla spalla, lungo il collo, la mandibola per risalire all'orecchio con una scia umida che mi lasciava rabbrividire di piacere.

D'un tratto sentii la sua mano infilarsi sotto la maglietta, salì fino all'altezza dei seni, li palpò e riuscendo a pizzicare un capezzolo.

Inarcai la schiena e involontariamente feci dondolare i miei glutei sulla patta dei suoi pantaloni. Gemetti.

Come potevo aver perso il controllo di me stessa nell'istante in cui mi aveva toccato?

Lui invece aveva in mano le redini. Per Peter ero solo un oggetto, e per di più credeva che fossi di sua proprietà!

«Smettila.» dissi in preda al panico e a un pianto. Mi sentivo umiliata!

Recuperai la forza persa appena prima, lo spinsi, mi voltai e lo colpii in pieno viso con uno schiaffo. Non so come, non ricordo alcun dettaglio, ma salii in macchina e andai via.

Il trillo di un messaggio, poco dopo, mi riportò alla realtà: «Caroline, non mi arrenderò così facilmente. Ovunque andrai ti troverò. Sei già mia.»

Decido di tornare in aula, tuttavia non vuole ascoltare ragione e la sua mano resta ferma dietro la mia schiena, scuoto la testa e lascio perdere. In questo momento le cose importanti sono altre.

Prendere una sbandata simile per il mio – forse - futuro capo non è esattamente quello che ci vuole per iniziare un nuovo lavoro! Sto decisamente impazzendo...

Arrivati, varchiamo la soglia dell'aula attirando l'attenzione di altri studenti. Li vedo parlottare così Thomas infastidito, con uno sguardo truce li zittisce.

Quanto è sexy? Non riesco a fare a meno di pensare di essere decisamente irretita da un predatore, un classico maschio alpha! Io, una ragazza normale e nella norma, senza particolari attrattive estetiche.

Forse non sono poi così pura? Gli uomini dello stampo di Thomas scelgono donne esperte, di solito. Com'è che ho l'impressione che abbia iniziato a darmi la "caccia"?

«Sta bene Rebecca?» Domanda Scott, accigliato e preoccupato.

«Ora sì.» Sono a disagio, tuttavia non ho intenzione di perdere questa seconda chance. Raggiungo il posto che avevo lasciato vuoto: «Rebecca, ha un ora.» Annuncia Thomas.

Sessanta minuti sono pochi!

«Sì, Signore.»

Ci fissiamo tanto intensamente che tutto intorno a noi scompare. Un altro brivido di eccitazione bagna il tessuto del mio intimo, dapprima inumidito.

I suoi occhi si scuriscono e dal lampo nelle sue iridi intuisco che ha notato il tumulto di emozioni che mi sta pervadendo, perciò, da sciocca quale sono, precipito nell'abisso dei suoi vogliosi desideri.

So che mi incateneranno e mi tratterranno fino a sopprimere le mie forze nel tornare a galla.

Lui annuisce e sul viso gli si disegna un sorriso che mi inquieta l'anima.

Tutto di Thomas prevede guai eppure mi pare di non aver tentato abbastanza nel evitarlo. O perché non voglio o perché in quel suo sguardo selvaggio e in quella bocca da mordere, promette in modo silenzioso di farmi apprezzare e scoprire ciò che da anni sto reprimendo, il sesso. Credo...

Il suo ghigno diabolico e seducente che mi stordisce il cervello e risucchia ogni buon senso.

Il suo aspetto fisico? esso contribuisce a lanciare messaggi prive di parole. Le sue mani? mi sembra di scorgerle su ogni centimetro della mia pelle. E la sua lingua? rimanda piaceri tutti da scoprire.

Possibile che la sessualità che emana è tale da riuscire a eccitarmi già soltanto pensando a lui o quando mi ritrovo a fissarlo o quando avverto il suo profumo?

Se arrivo a immaginare queste cose non sono poi così innocente e ingenua.

Non lo sono affatto!

D'un tratto, torno in me e focalizzo che il tempo per la prova sta scorrendo, così chino la testa e recuperata la lucidità, inizio la prova.

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