CAPITOLO 4

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"Non era fredda, non era stronza era solo triste..

era stanca di far a botte con la vita."

Anonimo.


Come immaginavo, c'erano una decina di donne dall'età tra i venticinque e la quarant'anni che avevano abbandonato il loro posto di lavoro, ma solo due erano state trasferite in un'altra sede.

«Ottimo lavoro! Adesso indaga sugli uomini che lavorano lì in tempo compreso tra i cinque e i dieci anni.»

«Perché ne hai bisogno?» Chiede Jonathan curioso e confuso. Sembra non comprendere il collegamenti che possono esserci.

«Forse erano o sono a conoscenza della situazione e, per non perdere il posto, hanno taciuto. Mi auguro che questa ricerca ci possa aiutare. Tentiamo, non si sa mai.»

Leggo i fascicoli di ognuna delle donne in lista e noto un particolare: le donne sono tutte bionde o brune. Seppur insignificante, mi fisso che possa essere il contrario.

Dato che Violet è bionda, mi pare ovvio che possa rientrare nei canoni di Erik. Probabilmente George preferisce quelle con i capelli castani.

Benché assurdo, mi appare alquanto inquietante quel semplice ingegno.

Sembra quindi che assumere donne in quell'ambito lavorativo, non abbia nulla a che vedere con le loro capacità o esperienze professionali. È possibile che questa possa essere una subdola copertura per nascondere scopi non del tutto legali.

C'è una domanda alla quale non riesco a dare una risposta: "Perché nessuna di loro ha avuto il coraggio di confessare l'accaduto?"

Ciò che avevano subito era oltraggioso, ma come donna avrei aiutato l'avvocato difensore di Violet, sia per far condannare il colpevole sia per evitare che l'accaduto si ripetesse.

«Jo, indaga anche sulle nuove assunte...»

E se ci fosse stato dell'altro, oltre le minacce per non permettere a nessuno di scoprire cosa stavano subendo?

«La signora è qui fuori.» annuncia Celeste interrompendo il fiume di pensieri in cui la mia mente è sommersa.

Devo vederci chiaro o almeno avere un supporto e prove tangibili, prima di trarre conclusioni affrettate. Le mie - al momento – sono soltanto ipotesi.

Mi alzo e le andiamo incontro.

«Salve Violet, sono Rebecca.» La accolgo con un sorriso cordiale e una stretta di mano che lei ricambia con conforto.

«Dammi del tu. Ho saputo che sarai tu che seguirai la mia causa.»

«Sì, esatto. Niente formalità, vuoi qualcosa da bere?» Le domando.

«Dell'acqua andrà bene.» si accomoda mentre le porgo la bottiglietta e il bicchiere.

Lo studio non è grande, ma abbastanza ampio per accogliere i clienti come lei in un ambiente confortevole.

Una stanza lineare, ordinata con una lunga scrivania che permette al mio gruppo di lavoro di lavorare insieme senza sgomitare.

«Violet, ora ti espongo la mia idea su come vorrei impostare la nostra strategia al processo.

Erik, e di conseguenza anche il tuo ex, potrebbero appellarsi a una cosa importante: l'avanzamento di carriera, vorrebbero far passare l'idea che tu possa essere stata consenziente pur di poter accedere a una promozione nel gruppo.»

Lei accavalla le gambe mentre io la guardo dritta negli occhi. «... e sul fatto che probabilmente non ti bastava più tuo marito, così sei andata a letto col suo migliore amico.» Basita mi fissa come se avessi tre teste al posto di una.

«Mio marito non farebbe mai una cosa simile!» Sì, come no. Cinicamente credo invece che tutti gli uomini, desiderano - nei loro sogni perversi - di farsi la donna di qualcun altro. Nessuno escluso.

«Violet...» Rossa in volto comincia ad agitarsi e scuotere la testa. Comprendo il suo disagio, perché anch'io l'avevo provato sulla mia stessa pelle.

«Lei non capisce niente!»

Mi protendo verso di lei, le prendo la mano per farle capire che in verità conosco eccome la situazione.

«Capisco come ti senti. Di solito non ne parlo, ma la mia vita non è stata tutta rosa e fiori. Per un errore commesso da mia madre ho vissuto una brutta infanzia. Ecco perché sono qui. Per difendere chi non può farlo da solo. Tu »

È possibile che un giorno, non troppo lontano, racconterò a Thomas e Selene del mio segreto.

"Sempre che lui non sappia già la mia situazione e non ne sarei neanche sorpresa."

Chissà perché comincio a credere che Thomas potrebbe essere stato il primo a saperlo.

Devo ammetterlo, a quanto pare, è evidente ormai che provo una forte attrazione fisica nei suoi confronti che ho una certa difficoltà a controllare.

I sogni erotici ne sono la prova. Anche se lì lo vedo in mille scenari diversi e perversi che, man mano, peggiorano.

Non riesco a credere di potermi eccitare in tal modo! Eppure, negarlo non giova, sia all'incarico che mi è stato assegnato che alla mia sanità mentale.

Ho i minuti contati. So già che ci ricascherò appena mi toccherà di nuovo. Ne sono certa. Obbligo il mio corpo a non cedere, ma a chi voglio prendere in giro?

Lui ha otto anni più di me ed è fin troppo esperto. Io sono ancora vergine a ventisei! Mentre lo vedo protagonista nei miei sogni proibiti lui - probabilmente - è un dongiovanni che cambia donne come le sue mutande.

Lui il lupo e io la preda. Un po' scontato, tuttavia reale.

Cosa ci avrebbe guadagnato con una come me? Una donna problematica, tra l'altro.

Un altro nome nella sua lista? Magari sulla sua personale bibbia delle donne che contrassegna con tanto di stelline? Da una a cinque. Io sicuramente sarei da una!

Chissà, forse mi avrebbe soprannominato "la vergine sfigata".

Mi impongo di non stare lì a rimuginare, non è il momento adatto per deprimersi.

«Pensi seriamente che George non sia stato a conoscenza di quello che subivi da Erik? Sono migliori amici e soci.» Provo a farla ragionare. «Dieci donne hanno lasciato il posto di lavoro e due hanno chiesto il trasferimento. Alcune erano bionde altre brune. È una coincidenza secondo te? Forse sì o forse no, però se lui ti ha stuprata è possibile che sia accaduto anche ad altre, e in contemporanea al tuo.»

Prendo fiato per non starle troppo addosso e per farle assimilare le troppe nozioni che le sto dando tutte insieme.

«Senti, l'ho notato che, nonostante sia passato più di un anno la ferita è ancora aperta. Etichettami come una stronza, ma quella lacerazione in un certo senso è positiva, perché ci servirà per vincere in tribunale.

Non sono qui per umiliarti, ma gli avvocati di Erik è probabile che lo faranno. Ti porteranno a dubitare di te stessa e, se non sarai abbastanza forte, potresti addirittura confessare che la colpa era la tua. Anche se sappiamo che non è così.

Quando sarai là, ti porranno domande che ti metteranno in difficoltà e non dovrai pensare a te stessa, ma a tutte le donne che potresti salvare. Io sarò al tuo fianco, ma ti avverto, come già saprai non sarà una passeggiata.»

Prendo un'altra piccola pausa e continuo. «Questo argomento mi sta particolarmente a cuore quindi ti avviso, sarò crudele. Farò del mio meglio per far incriminare Erik col massimo della pena, e se dovessi scoprire che George è il suo complice - cosa che credo sia - lui farà la sua stessa fine.

Violet, sei ancora in tempo per cambiare avvocato.»

Scuote la testa per rimarcare la sua idea. «No, non voglio un altro avvocato. Sei la prima persona che mi sta dicendo chiaramente in che situazione mi trovo.»

Felice e soddisfatta, allungo la mano appoggiandola sulla sua, la stringo e a quel contatto, lei, sussulta.

«Per vincere ho chiesto a Jonathan, il mio collaboratore, di scoprire qualsiasi cosa riguardi i giurati e il giudice. Ogni cosa su di loro, sulle loro famiglie e su eventuali figli. Figlie soprattutto.

Loro si baseranno sui fatti, mentre noi, oltre a quelli, avremo le prove - che sono certa troveremo presto – ma scateneremo anche quelle emozioni che riusciranno a smuovere le coscienze dei giurati.

Il tuo compito, Violet, è di raccontarmi che cosa ti è accaduto e quello che sai sulle tue colleghe.» Sospira come se fosse stanca di aver ripetuto la sua storia più e più volte.

Posiziono davanti a lei un registratore chiedendole silenziosamente se posso registrare la conversazione. Lei accetta con un cenno con la testa.

«Da un po' di tempo Erik si comportava in modo strano. Troppo gentile e disponibile nei momenti in cui George non era presente. Non intuii nulla e non ci diedi peso.

Una mattina, Erik si offrì di portarmi al lavoro, la mia macchina era rotta e George era di fretta. Mentre lui usciva di casa, Erik mi chiuse dentro.

Non me ne accorsi subito, ma quando sentii la serratura scattare, capii che qualcosa non andava. Mi allarmai nel momento in cui vidi i suoi occhi. Erano famelici e vi scorsi la soddisfazione di potermi saltare addosso. Volevo chiamare il 911, ma ormai era troppo tardi.»

Noto che far riemergere episodi traumatici, che tenti ogni giorno di reprimere non è semplice, così aspetto. «È venuto verso di me bloccandomi contro il muro e mi ha detto: "Ho sempre voluto scoparti a casa tua. Sei così bella. Ho una voglia pazzesca di assaggiarti tutta. Leccarti e succhiarti lentamente. George mi ha confessato che sei deliziosa."»

Che cosa orribile!

«Nonostante avessi cercato di levarmelo di dosso non ci riuscii. Era più grosso di me. Mi avvisò che se ne avessi parlato con George, avrebbe fatto ricadere la colpa su di me. Mi rivelò che non era la prima volta che gli confessava quanto il mio ex desiderasse vedermi con un altro uomo. Vederlo con i suoi occhi.» mi guarda con aria assente.

«Subito non gli credetti, ma poi compresi che forse non stava mentendo.» Sbatte gli occhi e sospira mentre ritorna indietro a rivivere i suoi incubi.

Flashback

«Violet.» Sento la porta chiudersi e Erik venirmi incontro con un sorriso subdolo e un'ombra nei suoi occhi neri come la pece. D'istinto, impallidisco e sento il sangue raggelarsi tanto da non riuscire a muovermi, a scappare e chiudermi in una stanza per tentare di proteggermi dal mio aggressore.

L'oscurità delle sue iridi sono come una notte in tempesta, non scorgi le stelle o la luna. Non un brandello di speranza.

Lui avanza ma le gambe sembrano non rispondere ai miei comandi. Ho le pupille dilatate, non colgo più la sua vicinanza perché le lacrime offuscano la vista. Sudo freddo.

«Ti prego. No.» Inizio a singhiozzare. È il destino, qualcuno l'ha scritto per me. Il karma mi sta mettendo alla prova. Indietreggio di qualche passo, sbatto le palpebre e lui è lì, di fronte a me, mi può sfiorare e brandire per i capelli.

È soddisfatto di potermi avere. «Non è nulla che tu non possa sopportare.» Mi sfiora la guancia e trattengo il respiro. Sta per commettere la cosa più atroce e io resto lì senza avere la capacità di urlare né provare a scappare!

Maledizione Violet, fa qualcosa!

«Erik...» un suo ghigno fa capolino sul suo viso.

«Adoro la tua voce quando mi chiami per nome.» grugnisce. Improvvisamente afferra il mio braccio, mi dà uno scossone, mi scaraventa sul divano e capisco che sta per accadere davvero. Cerco di scappare, di scalciare ma le sue mani forti stringono le caviglie, attirandomi verso di lui.

«No! No, ti prego lasciami!» rovescia il mio corpo come se fossi piuma, mi sovrasta sedendosi sulle cosce, e con una mano sul collo mi preme sul divano. Il respiro mi si blocca. Con uno strattone strappa la gonna - permettendogli quanto basta l'accesso tra le pieghe della mia intimità, e infine si libera anche dell'ultimo ostacolo, l'intimo. Sento che sta sganciando la cintura dei pantaloni, in pochi attimi divarica le cosce, mi solleva il sedere e con un colpo secco mi viola. Mi stringe il fianco sinistro con tanta forza per avere una maggiore presa, incurante delle mie urla. Anzi, sembra quasi che lo eccitino e invoglino a spingere più a fondo.

Il dimenarmi per cercare di farlo uscire da me, lo irrita e all'istante percepisco sulla pelle il gesto che mi immobilizza e svilisce.

«Sta ferma!» le grida di Erik si odono tra le tante manate che rifila sui glutei per rendermi sottomessa e succube. Il fuoco si irradia su tutto il corpo, il dolore si percuote in esso e i gemiti riecheggiano nella stanza. Le lacrime scendono a fiumi offuscando la vista. Maggiori sono i grugniti, gli apprezzamenti per avermi tenuto in pugno, più vengo trascinata negli abissi come una caviglia agganciata a una catena e un peso che non mi dà la possibilità di vedere un bagliore di luce.

Viene riversando il suo seme dentro di me. Il suo peso mi schiaccia sul divano togliendomi il respiro, «Tu sei mia, Violet! Non rivelare cos'è successo a George tanto non credo gli importerebbe. Anzi, sono sicuro che non gli dispiacerebbe assistere. Gli è sempre piaciuto fare da spettatore.» Sussurra sul mio orecchio con voce calma e soddisfatta. Succhia il lobo e lo tira affondando i denti in esso. Un singhiozzo scappa dalle mie labbra.

«Non piangere, risparmiali per quando castigherò il tuo culo perché non hai voluto obbedire.» Lui è calmo e sereno mentre esce da me, e io mi sento sporca. Desidero togliermi di dosso il suo odore che è penetrato fin sotto la pelle come il suo pene, ma non me lo permette.

«Vai a cambiarti, Violet. Tra dieci minuti ti voglio in salotto. Ti porto al lavoro.» Il suo tono non ammette dinieghi, tuttavia con l'ultimo brandello di coraggio gli rispondo di no.

Si precipita verso il divano, mi afferra per la gola e: «Vuoi che ti castighi già la nostra prima volta, Violet?» scuoto la testa negando terrorizzata, e altre gocce salate scendono a rigarmi le tempie, che lui prontamente raccoglie con i pollici. Come può essere così manesco e allo stesso tempo attento e "delicato" nell'asciugarle?

«Bene.» prima di lasciarmi andare lecca e morde le labbra. «Ho grandi progetti per te.» nel frattempo che succhia il labbro inferiore la mano libera torna a strattonarmi la camicetta, aprendola e facendo saltare i bottoni. Si infila contaminando i seni. Tortura i capezzoli e un brivido risale lungo la spina dorsale. «Presto leccherò ogni parte del tuo corpo, e ti piacerà. È una promessa, tesoro.» non potrei mai gradire le sue avances, dunque perché tremavo quando mi ha scoperto i capezzoli?

Li lecca e li tira e io sono immobile come congelata. Ho un tale terrore che la punizione di prima si ripeta che resto buona e remissiva.

«Spesso, mi ricordava che il mio ex marito mi tradiva. Era riuscito a cambiarmi, ma non per le violenze, piuttosto perché lo faceva sembrare una cosa giusta.

Più spesso mi toccava, più ho iniziato a pensare che quei suoi gesti, quel suo modo di prendermi, fosse normale.

Stava per convincermi che lui era l'uomo perfetto per me e che quello che stavo subendo tra le mura di casa mia, era sesso sano ma perverso.

Poi un giorno, Erik crollò. Mi aggredì pensando che avessi parlato con qualcuno, mi picchiò, e finii in ospedale. George volle credere alla scusa della caduta dalle scale.»

Le mani di Violet iniziano a tremare, segno che le sta venendo un attacco di panico.

Celeste le versa un altro po' d'acqua e «Violet, ascoltami.» Fissa i miei occhi come se fosse ancora intrappolata in quei ricordi.

«Sei al sicuro, Violet. Guardati intorno. Ci siamo solo tu, io e Celeste. Sei al sicuro.» Ripeto lentamente con voce calma, finché non sbatte gli occhi come a riaversi da un incubo e la paura si placa.

Ammiro la sua forza. È molto coraggiosa. Dopo tutto quello che ha passato, non voglio deluderla.

«Queste sono le donne che possono aver subito i tuoi stessi abusi.» Celeste le porge il foglio con i dodici nomi chiedendole se ricordasse dei nomi.

«Le conosco tutte. Oddio...» la conferma di quello che già sapevo!

Si copre la bocca con la mano, incredula e scioccata. Alza lo sguardo fissando prima me, poi Celeste e di nuovo me, con le lacrime agli occhi.

«Parlami delle tue colleghe... se te la senti...»

Scuote la testa e un singulto le scappa dalle labbra.

«C'è stato qualcosa di sospetto quando lavoravi là di cui non ti sei accorta?»

Mi verso dell'acqua e la sorseggio mentre aspetto la sua risposta, ma non parla.

«Desidero far visita ad ognuna di loro e mi piacerebbe che venissi con me. Tu le conosci quindi sarà più semplice, ed è fondamentale per il processo. Sono certa che ti farà bene confidarti con chi ci è passata.» Le sorrido comprensiva.

Fissa per qualche istante la lista. «Amelia, Sharon, e Michelle furono assunte poco dopo di me. Amelia era una ragazza dolce, bionda, una bambolina. Sharon era bruna e portava sempre tacchi a spillo con gonne o vestiti eleganti. Era sensuale e sicura. Mentre Michelle anche lei bionda con l'aria dolce, molto ingenua, goffa a cui davano sempre l'incombenza di fare le fotocopie. Era l'unica che per la sua timidezza non parlava con noi. Ora che ci penso ci evitava...»

Amelia Clark, Sharon Nelson, e Michelle Baker quando furono licenziate erano giovanissime, ancora nella fascia dei venti.

Probabilmente Michelle fu tra le prime che Erik si portò a letto, e per lo stesso motivo si nascondeva nella sua timidezza.

«A quel tempo eri sposata o fidanzata con George?»

Violet annuisce «Eravamo insieme da tre mesi.»

Il mio cervello elabora diverse teorie, e una - la più plausibile, secondo i miei pensieri - è che tutte avevano estrema necessità di lavorare. Studentesse universitarie che dovevano pagare le rette, mamme divorziate, mamme con bambini piccoli e con gravi problemi di soldi.

I due maiali erano stati furbi.

Adocchiavano donne vulnerabili, facili da influenzare e da portare a letto.

E nel caso avessero parlato, il ricatto era la carta vincente, perché avevano tutto da perdere.

«Ana Smith, Sandra Mires sai perché solo loro sono state trasferite?» Le domando curiosa.

La prima: bionda, sulla trentina, alta un metro e settanta, formosa, occhi di un celeste intenso.

La seconda: bruna, alta quanto la prima, con tratti ispanici, occhi color cioccolato e a mandorla, labbra spesse, un fisico asciutto ma con forme nei punti giusti.

Avevano buon gusto e i canoni di bellezza erano simili per tutte le ex assunte.

«Sono le uniche di buona famiglia. Ana è figlia di un importante imprenditore e filantropo, invece Sandra ha molte conoscenze.»

Ipotizzai che il ricatto con loro avesse funzionato, tuttavia per non destare sospetti, avevano deciso di trasferirle.

«Invece, cosa sai dirmi di Abigail Brown, Scarlett Anderson, Beverly Robinson e Chanel Rivera? Oltre al fatto che sono state sposate ed hanno figli.»

Le tessere del puzzle si incastrano alla perfezione e forse anche con troppa velocità.

«Abigail stava passando un brutto momento con il marito. Era in mezzo ad un divorzio e dovevano darle la custodia dei bambini...»

Se avesse parlato li avrebbe persi.

«Scarlett era divorziata da due o tre anni, ma come per Beverly e Chanel, suo marito non gli passava gli alimenti.» Come ci si poteva comportare in quel modo?

«Clarissa Wright, Isabel Torres, Emily Flores si sono licenziate tutte a distanza di pochi mesi l'una dall'altra.»

Per delle avance non gradite? Dire che erano animali sarebbe stato un insulto agli animali stessi.

«Grazie Violet, per oggi abbiamo concluso. Domani proverò a contattarle e vedrò se sono disponibili ad aiutarci.» La saluto con un abbraccio. «Non avere paura. Riusciremo a venirne a capo.»

Dopo una lunga giornata e prima di andare al dormitorio, decido di comprare un bel cappuccio nella caffetteria alla quale sono affezionata. Mi serve un po' di pace, e anche un po' della loro gentilezza e accoglienza.

Entro e noto che non c'è tanta gente. Di fronte alla porta d'ingresso troneggia il bancone con la cassa, i tavolini grigi ai lati. Anche se a un primo impatto sembra apparire un luogo cupo, le vetrate dove appoggiano i divanetti di pelle nera e le pareti chiare, danno invece un tocco raffinato ed elegante.

«Ciao Rebecca, il solito?» sono diventata abitudinaria. «Sì, grazie»

Il cassiere, un ragazzo di colore, giovanissimo, batte lo scontrino. Mentre cerco il portafoglio nella borsa che assomiglia a quella di Mary Poppins, qualcuno con il suo petto sfiora la mia schiena. Lui.

«Pago per la signorina.» Oddio! La sua voce, il profumo di muschio e agrumi mi inebria le narici e destabilizza la mia mente. Ho il timore di girarmi, e appena lo faccio, intercetto quelle splendidi iridi ammaliatrici che per un attimo mi impediscono di respirare. Mi accorgo di trattenere il fiato solo quando i polmoni implorano di permettere di far uscire un respiro troppo a lungo trattenuto.

Thomas allunga venti dollari al ragazzo.

È molto vicino. Troppo a dire il vero.

Sento il tempo scorrere prima di riuscire a pensare una frase sensata per poter controbattere a quel gesto, purtroppo la voce non esce. E, se anche riuscissi ad aprire bocca sono sicura che comincerei a farneticare frasi e parole di cui sicuramente mi pentirei.

Quando finalmente ritrovo la parola, Thomas si avvicina quel tanto da farmi desiderare di leccargli le labbra. È a pochi centimetri dalle mie, e qualcosa mi dice che il fatto che sia immobile, sottintenda che sta aspettando che colga la vicinanza tra noi, come invito nel baciarlo. Dopo un tempo che mi pare infinito, si sposta. La mia mente si illude, assuefatta dalla sua presenza, e crede che stia per posare le labbra sulle mie, tuttavia devia sfiorandomi l'orecchio e sussurrando. «So che questa mattina eri eccitata.»

Sbatto più volte gli occhi, incredula. Come posso permettergli di trattarmi in quel modo!?

Quella frase però mi ridesta dal trance, lo spingo via scottata dalla sua insolenza. Pagare un cappuccino non gli dà il diritto di prendersi gioco di me in quel modo quasi fosse consapevole di ciò che mi smuove dentro!

La mia rabbia sfuma perché ancora frastornata perdo goffamente l'equilibrio e cado inesorabilmente all'indietro.

Quando penso ormai di atterrare ingloriosamente sul pavimento sento il suo braccio che mi afferra saldamente stringendomi a se piegando le gambe per attutire il colpo. Torniamo in piedi, e mi ritrovo appiccicata al suo petto senza che lui mi permetta di staccarmi.

«Se aveva il desiderio di avermi attaccato al suo corpo, bastava dirlo.»

Il tossire del cassiere mi dà una valida scusa per uscire dall'imbarazzo della risposta. Mi libero dalla presa in modo tutt'altro che gentile, e con gli ormoni in subbuglio, il respiro affannato e i capezzoli pulsanti, afferro il bicchiere e scappo. Letteralmente.

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