Decisioni inappellabili

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Sul tavolaccio di metallo era stato steso un largo foglio di carta, di quelli usati dai progettisti, ma i segni che erano stati tracciati erano ben più grezzi.

In mezzo a tutto: un quadrato a rappresentare la fabbrica. Il quadrato era poggiato sull'incrocio di due linee nere: le strade principali che passavano di lì. Una macchia informe in un punto rappresentava colline, altre piccole sagome rappresentavano la città più vicina.

A nord, apparentemente in mezzo al nulla, sei cerchi neri.

"I ricognitori sono attendibili e anche le parole dei prigionieri fanno pensare che le cose stiano così." spiegò Valerius "Siamo stati attirati qui pensando di fronteggiare un esiguo gruppo di nemici, ma in realtà re Gregoire sta facendo convergere su Marmarene-sur-lac tutte le sue truppe."

"Sant'iddio!" esclamò Arcadio grattandosi la testa "Quel pazzo ha rinunciato all'invasione del Belgio per fermare noi..."

"No, no, non avremo contro l'intero esercito francese, ovviamente. Ma un numero elevato, molti più di quanti ne abbiamo sconfitti oggi."

De Rubeille sembrava quasi timido, guardava verso la mappa di malavoglia. "Qui possiamo dare un myrmidon a ognuno dei vostri piloti."

"Ma anche così rimarranno pochi." insistette Valerius.

Francine osservava in silenzio la situazione. Righe, sbarre, segni neri, tutta roba da cui era già passata infinite volte. Pareva non finissero mai. "Possiamo ritirarci indietro e scomparire di nuovo nella macchia."

"Ma significa disperdere le truppe, tornare alla guerriglia e non vedere mai più Parigi. Non possiamo reggere a una guerra di logoramento." Valerius aveva già preso una decisione. dopotutto prendere decisioni era la sua natura e le persone intorno a lui se lo aspettavano. Ma, tutte le volte, c'era quel momento in cui sembrava indeciso, come se attendesse che qualcuno lo fermasse. Ma nessuno poteva mettere in dubbio Valerius Demoire. "Dobbiamo combattere."

Anche Francine sapeva che sarebbe finita così, ma lei temeva per tutti gli altri. Valerius trascinava le persone, ma le travolgeva anche. "Se vinciamo le porte di Parigi ci si apriranno. Se perdiamo..."

Forse qualcun'altro voleva intervenire, ma Valerius prese la carta e la buttò giù dal tavolo. "E' deciso allora!" e così detto se ne andò, scappò via, per paura delle obiezioni.

Tutte le persone nella stanza rimasero stordite, a guardarsi intorno. Francine, terrorizzata all'idea che potessero venire a chiedere consiglio a lei, provò a sua volta a defilarsi, ma De Rubeille la raggiunse. "Per quello che riguarda il suo myrmidon..."

"Non ne avrò bisogno." gli rispose. Come sempre, quando pensava a sé come pilota, finiva col tormentarsi la manica della giacca che nascondeva la cicatrice. "Non combatterò su una macchina."

"Ma voi siete..."

"Non è qualcosa di cui discutere, professore."

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