La missione di De Rubeille

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Mentre si aprivano le trattative tra i ribelli di Francine Santaroche e re Gregoire, De Rubeille, sbarcato in fretta e furia in Inghilterra, aveva se possibile una missione diplomatica più delicata.

I Rosacroce, per bocca di Darwin, avevano accettato il piano di Valerius e così lui era stato incaricato di portare oltre la manica la promessa di pace del ragazzo, un documento che il giovane genio aveva scritto di suo pugno e aveva affidato a De Rubeille per ispirare fiducia negli inglesi.

Darwin aveva deciso che doveva essere De Rubeille a consegnarlo perché aveva senso che fosse una mano francese a farlo, visto che della pace con la Francia si parlava, ma aveva imposto allo scienziato di far arrivare le carte direttamente alla regina, scavalcando il primo ministro Hipster. Quest'ultimo, infatti, si stava dimostrando sempre più un personaggio pericoloso, con la sua ossessione per il controllo che lo aveva portato a stritolare Londra in un vero e proprio regime di polizia regolato dalla legge marziale.

A causa di ciò, De Rubeille si era tenuto lontano dal porto della capitale, sbarcando in un luogo più appartato e da lì, nella notte, stava avvicinandosi alla città in carrozza, nel più stretto anonimato, solo, cercando di non dare nell'occhio.

A un certo punto un rombo sovrastò lo scalpiccio dei cavalli. De Rubeille si strinse in sè. "Tuona." si disse, consapevole che stava mentendo a sé stesso.

Non il secondo rombo, non il terzo, ma il quarto arrestò la sua corsa. Sentì i cavalli nitrire di terrore, poi qualcosa che fracassava il legno e infine la sua carrozza si piegò su un lato, rotolando fuori strada, sballottandolo all'interno della cabina.

Lo scienziato francese, già solo a quello schianto, si credette morto e come morto rimase, immobile, nella carcassa della carrozza, per alcuni lunghi minuti. Quando però realizzò di essere sopravvissuto, timidamente cercò di uscire per capire cosa era successo.

Illuminato dalla luna e dai fuochi dei suoi motori, immobile e allo stesso tempo vivo, myrmidon Ecclesiaste lo guardò strisciare fuori dai rottami. Dal suo abitacolo spalancato un uomo, allo stesso modo, lo fissava.

"Questo non è... inglese." concluse subito De Rubeille, la mente da tecnico a prendere il sopravvento sulla paura.

"No, non lo è." disse il pilota, all'ombra della macchina.

"E come è possibile che..."

"Potrei dirlvi molte cose impossibili che ho fatto accadere, professor De Rubeille, ma immaginerete che non ho tutta la notte."

"Come sapete il mio nome? E come..."

"Cose impossibili... non fatemi ripetere. Sono qui per qualcosa che avete."

Il myrmidon, a un comando del pilota, estese un artiglio verso De Rubeille, arrivando a pochi centimetri dal suo naso.

"La lettera di Demoire. Ora."

"Non potete..."

"Non devo spiegarvi la vostra posizione di svantaggio. Voglio far fallire la vostra missione, professore, e inevitabilmente così sarà."

De Rubeille prese a tremare in modo incontrollabile. Non poteva aver paura dei myrmidon, non dopo averne forgiati con le sue stesse mani per il regno di Francia, ma la creatura che aveva davanti aveva qualcosa di agghiacciante, era come se la sua maschera di metallo lo stesse guardando. Era come se quell'artiglio fosse realmente sul punto di colpirlo. Tirò fuori dai suoi vestiti la lettera di Valerius e la gettò a terra. "Volete che l'Inghilterra assalti la Francia?" chiese.

Il pilota del myrmidon scese dall'abitacolo con un balzo. Le tenebre rendevano il suo volto comunque indistinguibile. Si avvicinò a De Rubeille e recuperò il foglio. "Io voglio qualcosa, professore? Io non voglio nulla, ma come faccio è come mi è stato ordinato."

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