Il convoglio

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I carri a ignitium non potevano che avanzare lentamente, con l'umidità del tardo autunno che devastava le strade e quel carico così ingombrante da trascinare. Ciò che era stato fatto per essere portato dai giganti di ferro doveva essere portato dai giganti di ferro, la versatilità di quei mostri li rendeva l'unica possibilità quando si trattava di oggetti di certe dimensioni. 

Invece eccoli lì, a trascinarsi come muli nel fango, con quegli enormi cannoni sul groppone e le ottoniere che continuavano a ricordargli quanto fosse importante che il carico arrivasse in fretta. Da quando lo zar non si faceva più vedere (era morto? distrutto per la morte del figlio? solo ubriaco?) gli ordini arrivavano da Mosca sempre più secchi e perentori, sembrava quasi che non facessero parte tutti dello stesso esercito e non fossero dalla stessa parte. Nessuno si aspetta gentilezza dai tuoi superiori dello stato maggiore, ma rispetto sì, se nell'esercito si perde rispetto per la gente che rischia la pelle niente più a valore.

La strada prese leggermente a salire, i tiranti di uno dei carri andarono in tensione e uno saltò. Di nuovo. Quegli strumenti maledetti avevano così tanti spigoli che ce n'era sempre qualcuno che si metteva a rosicchiare le funi. Quando alla fine ne partiva una potevi anche pensare di ignorarla, ma sapevi già che ne sarebbe partita una seconda, prima o poi, e allora sarebbe stato un disastro. O quel maledetto cannone finiva giù dal camion (e serviva tutta la truppa per rimetterlo in posizione) o sbilanciava il camion stesso e lo ribaltava (sempre tutta la truppa per il doppio del tempo, a quel punto). Dopo la prima esperienza in quel senso avevano deciso che era meglio fermarsi e riparare la fune. Erano partiti e non avevano abbastanza funi, assurdo. Si erano dovuti fermare a un paese a requisirle tutte. C'era da impazzire a pensare che si poteva perdere una guerra perché non si avevano abbastanza funi.

Il rombo chiarì che c'era un problema più grave.

La Russia è grande, persino per i myrmidon. L'esercito dello zar era sceso in Germania per conquistare l'Europa, ma la maggior parte della gente non aveva mai visto un gigante di ferro da vicino. Anzi, c'era un sacco di militari di primo pelo, in quella missione, eccitati perché avrebbero visto dei tunguska per la prima volta. Quello era un problema, perché un myrimdon è qualcosa che ti trascina alla follia, quando lo vedi, è come un essere umano, ma gigantesco, ti fa sentire un insetto, ti fa perdere le prospettive. E questo se te lo ritrovi davanti. Immagina se viene a ucciderti.

Il rombo cresceva. poteva essere scambiato per molte cose, ma a un certo punto la nuvola di polvere all'orizzonte rese inequivocabile il fatto che la cosa stava venendo verso di loro, ad alta velocità. Non erano un esercito. Non erano una squadra. Era uno solo.

Uno solo.

L'Ecclesiaste piombò sul convoglio senza nemmeno curarsi se loro avrebbero sparato o no, sapeva che non avevano munizioni adatte a superare la sua corazza. Impattò su uno dei camion centrali con il braccio, facendolo finire a gambe all'aria, poi nel ritorno cominciò a usare anche le mitragliatrici. I suoi proiettili erano adatti. I suoi proiettili erano adatti a perforare tutto. Fermandosi e limitandosi a innaffiare di fuoco i mezzi russi ne fece esplodere tre. Poi riprese a correre e  ne ribaltò un altro. A quel punto si fermò semplicemente a osservare.

Uccidere i russi non gli interessava. Uccidere era spesso uno spreco di risorse. Aspettò che capissero che non c'era nulla da fare, li guardò scendere dai mezzi e cominciare a correre. Avrebbero fatto più danni dei soldati dispersi con una storia da raccontare che un gruppo di inutili cadaveri. In pochi minuti il convoglio era stato abbandonato da tutti, i camion erano completamente alla sua mercé.

Guglielmo Quasinotte sapeva che la sua missione sarebbe stata difficile da lì in poi, perché come tutti gli altri ora era tenuto a sopravvivere con i suoi mezzi. Decise quindi di risparmiare i proiettili e si mise meticolosamente a dilaniare tutta l'attrezzatura dei tunguska con gli artigli. Era un lavoro lungo e noioso, ma non ne era spaventato, quando ebbe finito intorno a lui era un cimitero di relitti di ferro. Qualcuno, passando di lì, avrebbe inventato delle storie su quello che era successo.

Quella stupida incursione gli fece capire quanto aveva sofferto, a bordo della maledetta aeronave, lontano dall'azione. L'adrenalina della battaglia, anche di una battaglia così semplice, lo aveva come risvegliato. Era stata considerata l'unica opzione possibile per un compito del genere, perché non potevano mandare una squadra, sarebbe stata troppo lenta, e avevano bisogno di qualcuno che potesse sopravvivere anche da solo.

Sopravvivere da solo era la sua specialità.

Controllando la rotta nelle ottiche iniziò a marciare per raggiungere il generale Santaroche.

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