La battaglia dal basso

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Il tunguska si fermò a guardarsi intorno  e il muro del palazzo accanto gli crollò letteralmente addosso.

Francine era sempre stata convinta di poter vincere quella battaglia da sola, ma Pasternak non voleva essere escluso dalla battaglia. Se la città non avesse dimostrato di poter partecipare ai combattimenti il resto della Russia non si sarebbe sollevato contro il tiranno. Esistevano tecniche per contrastare i myrmidon, bastava solo applicarle. Solo, quando si combatteva contro i giganti di ferro bisognava accettare che si abbracciava la distruzione.

I myrmidon si erano sparpagliati per la città, non era stato possibile mantenerele squadre unite. Questo annullava la superiorità numerica dei russi, ma non rendeva la situazione semplice. La squadra di Francine non poteva sbagliare mai. A un certo punto Pasternak in persona ebbe l'onore di vedere Daikatana distruggere un nemico e ne fu scosso. Sapeva che i giganti di ferro erano soltanto macchine, ma quella guidata dalla Spada Immacolata di Francia faceva di tutto per sembrare un mostro. Per la prima volta gli vennero dei dubbi sull'alleanza che aveva stretto.

Intanto, i rivoluzionari si muovevano casa per casa, si sinceravano che le persone se ne fossero andate e piazzavano bombe. Non si poteva affrontare un myrmidon, si poteva solo far esplodere tutto quello che c'era intorno a lui. Il più delle volte la macchina si rialzava da sotto le macerie, ma ogni tanto rimanere irrimediabilmente danneggiata. C'erano dei pazzi che, con il mezzo nemico ancora esitante se rialzarsi o no, lo assalivano cercando di aprirlo come un'ostrica e tirarne fuori il pilota. Un myrmidon senza pilota è solo un pezzo di ferro e un pilota senza myrmidon era solo un uomo.

A un certo punto, doveva inevitabilmente accadere, Pasternak fu ferito. Poco più di un sasso, il che è ironico in uno scontro tra forze così titaniche, ma lo colpì al ginocchio, mandandolo in frantumi. Due volontari allora lo presero e lo portarono lontano dalla battaglia. Si trovò quindi dove si stava ammassando la popolazione, ma, nel tentativo di tenerlo diviso dalla folla, finì nelle stesse stanze dove era detenuta la contessa Roksana Dimitrova Obragina. Minuta com'era, era considerata da tutti innocua, quindi si aggirava quasi liberamente. Rimase a guardare mentre lo medicavano, poi gli si avvicinò. "La vostra liberazione, Pasternak?"

"La guerra." si limitò a rispondere lui, a disagio.

"I salvatori della Russia hanno già deciso che si può distruggere una città per i loro scopi. Una decisione degna di uno zar."

Ogni tanto i rombi che si sentivano erano passi di myrmidon, altre volte esplosioni, non si poteva distinguere. Era come stare al centro di un incessante temporale.

"Sono le macchine dello zar che ci hanno costretto a questo."

"Sempre costretto, Pasternak, c'è mai qualcosa che hai voluto?"

Quanto poteva andare avanti quella battaglia? Nei suoi incubi, Pasternak non ne vedeva la fine, vedeva semplicemente quelle macchine giocare infinitamente in quel luogo, distruggendolo un pezzo alla volta, ma continuando a camminare e a calpestare vita. Quello, dicevano, era divenuta l'Europa nella Seconda Guerra del Vapore. Possibile che i principi rivoluzionari avessero spalancato le porte a quell'inferno anche in Russia?

Un altro palazzo, non molto lontano, crollò. La contessina trasalì al rumore e si prese le mani. "Quello che voi avete messo in moto sarà per sempre sulle vostre spalle."

Pasternak ripensò al volto di Francine. Si raccontava che aveva guidato il primo myrmidon mai esistito ed  era stata l'araldo della rivoluzione che aveva cambiato la Francia. Era quello che aveva visto sul suo volto? Quella la cosa terribile che la funestava?

La consapevolezza che non avrebbe mai smesso di essere colpevole?

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