Capitolo Due

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Aveva lasciato una piccola firma come sempre.

Anonimo.

Sette lettere.

Sette insignificanti lettere.

Per chiunque potevano essere il nulla cosmico, ma per me significavano tutto.
Non ero pronta a leggerle ancora.
Non ero pronta ad affrontarlo subito.
Avevo bisogno di tempo.
Ed ero venuta qui, proprio per distaccarmi da tutto quello che girava intorno a lui e a me.

Lo avevo visto di sfuggita cinque giorni prima della mia partenza, in un bar mentre sorseggiava un caffè.
Non mi aveva avvicinato né rivolto la parola.
Mi guardava soltanto con quello sguardo squallido e il labbro inferiore fra i denti.
Come se stesse immaginando me in posizioni ambigue.
Mi sentii talmente sporca da girare su me stessa, senza nemmeno fare colazione, ripercorrere la strada fino a casa e infilarmi direttamente sotto la doccia con tutti i vestiti addosso.

Non so cosa avessi fatto di sbagliato per ricevere questo trattamento da parte sua.
Gli avevo dato tutta me stessa, credendo nell'amore che professava, ma lui aveva avuto la brillante idea di ringraziarmi facendosi la sua segretaria.
Li avevo trovati entrambi nel bagno di un bar.
Dopo aver scoperto che oltre alla segretaria, c'erano state anche altre donne, avevo troncato ogni singolo rapporto.

Da lì, l'inferno.

All'inizio era sempre stato leggero nei messaggi fino a una settimana fa, quando aveva scritto cose peggiori.
Un susseguirsi di "Ti amo", "Torna con me", "Ti guardo", "Non osare parlare con quell'uomo", "Cosa ti farei", "Non ti avvicinare a lui che lo uccido e poi uccido te".
Per non parlare di quelli a sfondo sessuale o di quelli in cui commentava i miei vestiti.
Non era mai arrivato a tanto, però.

Oggi mi aveva minacciato come non aveva mai fatto.
E il mio sesto senso di donna mi avvertiva a modo suo, di stare attenta...
Non mi avrebbe mai aiutato nessuno, forse mio fratello, ma io non volevo essere aiutata.
Non mi interessava il fatto di poter risultare testarda e menefreghista agli occhi di Lion, dovevo pensare a me e ai miei timori.

E ne avevo due.
La mia paura più grande era la prima.
Una domanda che mi frullava nella testa ogni giorno.

Se fossi andata dalla polizia e lui avesse fatto male alla mia famiglia?
Se avesse colpito la mamma?
O se avesse toccato Courtney?
Ma soprattutto, se avesse sfiorato Emy?

No, non lo avrei mai permesso.

Questo era ciò che mi ripetevo da mesi: proteggerli a costo della vita.
Jamie non doveva permettersi di avvicinarsi a loro.
Avrebbe toccato qualcosa che non gli apparteneva e se avesse solo respirato la loro stessa aria, avrebbe conosciuto la vera Honey.
Quella più oscura!
Quella capace di tutto, anche di uccidere.
Come una leonessa che proteggeva i suoi cuccioli da una minaccia, avrei protetto tutta la mia famiglia.

Il mio secondo timore era la paura stessa.
Così paralizzante da piegarti le ginocchia e così silenziosa allo stesso tempo da squarciarti l'anima.
Come un temporale in estate, improvviso e dannoso.

Nonostante questo soffocante sentimento, ero riuscita a lavorare su me stessa.
I primi tempi non era stato facile: mi ero rinchiusa in casa, la notte dormivo male e sognavo i suoi occhi verdi, il giorno ero traumatizzata nel ritrovarmelo davanti mentre andavo a lavoro. Ero talmente tanto paranoica da optare per il lavoro in smartworking.

Era una situazione assurda e il mio corpo giorno dopo giorno ne risentiva un pochino di più, tanto da arrivare a sfiorare il baratro annullandomi completamente.
Fino a che un giorno, decisi che non ne potevo più di come ero diventata a causa sua e così ricominciai ad andare a lavoro. Nel tempo libero giocavo con la mia cagnolina, pranzavo e cenavo con i miei amici.

Ma comunque lui c'era sempre.
Lo vedevo appostato dietro un albero quando uscivo di casa, seduto a un tavolo poco distante mentre mangiavo in compagnia o seduto su una panchina mentre portavo Lucky, la mia cagnolina a fare i bisogni.

C'era sempre e ovunque.

Quando lo scorgevo a spiarmi, mi chiedevo sempre come potesse fare una cosa del genere a me, la donna che aveva amato?

Mi sentivo stupida a pensare a questa domanda, ma nel mio piccolo trovare una risposta mi avrebbe aiutato ad andare avanti.
Ne avevo bisogno per comprendere.

Avevo bisogno di capire che non era stata una pazzia amarlo, di rendermi conto che non ero stata insieme a una persona con questo lato di sé, così perfetto nella vita quotidiana, ma così oscuro.

Avrei compreso che non avevo dato tutta me stessa a una persona che non meritava nulla.
Ogni emozione, sensazione e gioia provata per lui o con lui, da parte mia, era stata vera.
Ma ad oggi provavo solo rabbia e odio profondo per tutto il male che mi stava facendo a piccole dosi.

Spaesata, guardai intorno alla ricerca di un frammento di futuro in cui riversarmi.
Ma non trovavo nulla, percepivo solo il mio corpo come un pezzo di legno in una strada deserta.

Mio fratello tentava in tutti i modi di riportarmi alla realtà, ma io preferivo di gran lunga rimanere in questo universo parallelo dove nessuno poteva raggiungermi.

Non riuscivo a parlare o a muovermi.

Sentivo soltanto.

Percepivo i miei pensieri, il calore delle mani di mio fratello che toccava le mie.
Udivo che Lion chiamava Courtney ripetutamente, le imprecazioni rivolte a un Dio qualunque, e nello stesso istante percepivo, solo standogli vicina, la rabbia emanata dal suo corpo, la sua forza nell'issarmi e portarmi sul dondolo davanti casa sua.

Sentivo tutto, ma non ero lì con loro.

Forse non lo ero più da un po'.

E volevo urlare per questo, strapparmi l'anima, ricucirla e darla a Lion per rassicurarlo, sorridergli, accarezzarlo, ma il mio corpo bastardo, insieme alla mia mente, erano riusciti a bloccarmi.

Chiusi gli occhi per cercare di rilassare i miei muscoli, pensando che forse sarei riuscita a tranquillizzarmi.

Li riaprii per vedere se le cose stavano migliorando, ma fu tutto il contrario.

Sentivo le orecchie fischiare, le gambe tremare, il cuore battere come un martello, le tempie pulsare.
Poi sentii parole,
Un telefono... mio fratello.

«Pronto, sì, mi servirebbe un'ambulanza... »

Cercai in tutti i modi di prendere il suo braccio per fermarlo, optai per parlare e farmi ascoltare, ma il mio corpo non rispondeva a nulla.
Gli impulsi che mandava il mio cervello venivano rispediti indietro, con la scritta "CONSEGNA RIFIUTATA".

«Sì sì, sono ancora in linea... diamine... ho bisogno di un'ambulanza, è così difficile da capire?!»

«Honey, tesoro, calmati, torna con noi, guardami negli occhi, pensa ad Emy...» qualcuno mi chiamava, ma io ero completamente assente, percepivo una mano che mi accarezzava i capelli e le guance a ripetizione.

Courtney.

Cavolo, quanto mi era mancata.

Volevo ascoltarla, volevo sentire la sua voce ancora così rassicurante.
Uscire dal quel tunnel immenso dove mi ero nascosta, ma la paura mi stava mangiando l'anima o quello che ne rimaneva.
Sentivo il cuore battermi sempre di più, sembrava un treno in corsa, senza fermate e passeggeri, ma pronto a schiantarsi.

Dio, non riuscivo a focalizzare più nulla.

Non riuscivo più a distinguere i volti e mi faceva male pensare a quello che Lion e Courtney stavano vivendo a causa mia.

«Dannazione!» sentii mio fratello sfogarsi.

«Papà, che succede?»

Il mio cuore si bloccò e nello stesso istante si spezzò completamente.

Non dovevi vedermi così, mia dolce polpetta.

Versai lacrime di amore puro e dolore. Sentimenti così contrastanti che mi facevano sentire viva e morta allo stesso tempo.

Riconobbi la vocina delicata e piagnucolosa di Emy, già dopo aver sentito la parola "papà".

Il mio cuore non li vedeva più.
Voleva solo pace dopo mesi.

Il mio corpo cominciò a tremare.
Sentii un formicolio invadente.

Poi il buio.

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