Capitolo Tre

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Un bip frenetico cominciò a risuonare nelle mie orecchie.

Un vento caldo mi solleticava la pelle e delle mani dolci accarezzavano i miei capelli.

«Sta piangendo Lì»

La voce di mia madre, calda e dolce, riuscì a sovrastare tutto ciò che sentivo, ma stranamente la sentivo lontana.

«Lo vedo»

Le stesse mani che mi toccavano, scesero ad asciugare le mie lacrime calde.

Erano ruvide ma estremamente leggere.

Mio fratello non era mai stato una persona così affettuosa, lui era stato da piccolo sempre timido e introverso, ora con il tempo per me, era diventato tutt'altro.

«Non riesco a vederla così, mi distrugge.»

«Ha avuto un crollo mamma, era più che normale.» disse mio fratello.

Sentivo ogni loro respiro, ogni loro piccola attenzione.

«Non riesco ancora a capire come quel buono a nulla possa ancora essere a piede libero.» affermò mia madre tirando su col naso.

Dio mamma, no ti prego.

Un bip incessante cominciò a risuonare sempre più velocemente nella stanza.

«Cazzo, si sta agitando»

«Vado a chiamare il medico»

Sentii aprire una porta e un leggero click, segno che mia madre era uscita dalla stanza.

«Cosa hai combinato? Cerca di calmarti per favore... pensa a Emy, a mamma, alla nostra famiglia, a me... »

Lo stridio di una sedia e poi capelli che strofinarono il mio braccio mi indicarono che Lion si era seduto vicino a me, accucciandosi con la testa sulla mia mano.

Avevo capito che stava cercando di calmarmi facendomi sentire la sua presenza... ma quello che mi tranquillizzò furono i cerchietti con il dito che sentii sulla mia coscia.

Adoravo il modo in cui si prendeva cura di me, lo aveva sempre fatto.

All'età di cinque anni mi sbucciai un ginocchio e lui, per farmi smettere di piangere, iniziò questa danza di cerchietti sulla mia schiena.

All'età di otto anni, litigai con un'amichetta per dei giocattoli e lui era sempre lì a cercare di mandare via quella rabbia sempre nello stesso modo ma cambiando posto sul mio corpo.

La "danza delle dita" era sempre quella, ma cominciò a scrivere anche parole senza senso.

L'ultima volta che me lo fece era stato ai miei sedici anni.

Mi ero lasciata con Andrew, il mio primo fidanzato, ma Lion era sempre lì.

Con un dito sul mio piede scrisse sei lettere.

I W A F F Y.

Non sono mai riuscita a capire cosa volesse dire, ma ero sicura che c'entrassi io in qualche modo.

«Eccomi.»

Sentii di nuovo la porta aprire e una voce provocante entrare.

«Clark, mentre parlav-»

«Tranquillo Lion, tua madre mi ha già spiegato tutto.»

Un odore di pino fresco si insinuò nel mio naso all'istante, lo sentivo vicino, mi girava intorno, lo annusavo più forte e a volte più debole.

Ma c'era.

«I parametri sono buoni. Il consiglio che posso darvi è di non parlare ancora della sua situazione mentre è ancora incosciente. Lei può sentirvi, anche se non è sveglia.»

«Io non riesco a capire! Come è potuto succedere!»

«Lion... te l'ho già detto. Non potevi prevederlo. Ha avuto un'esperienza di depersonalizzazione. Con lo spavento, è raro, ma può far svenire le persone.»

«Depe che cosa? Clark per l'amor di Dio.»

«Ha avuto un'esperienza di estraneità dalla propria identità. Non era padrona di nulla, né dei propri pensieri né delle proprie emozioni e nemmeno del suo corpo. È come se per lei, la vera Honey non esistesse. Per questo l'hai vista persa, rigida come un tronco. Magari si è spaventata e avrà perso i sensi. Purtroppo può capitare, sicuramente ha avuto un grande stress. C'è da dire che non possiamo saperlo fino a quando non si sveglia. Alcuni psichiatri dicono che questo disturbo non esiste, ma io ci credo e sostengo che lei lo abbia avuto.»

Ecco perché mi sentivo lontana da tutti, tutto lo stress accumulato in questi mesi, il lavoro e Jamie.

«Tutta colpa di quel grandissimo figlio di p-»

«Lion, non qui.» disse Clark a mio fratello.

Per un'attimo non senti più nessuno, ma l'odore di pino e quello di mio fratello, un misto di spezie che non riuscivo a capire, erano ancora nella stanza.

«Mi può sentire giusto?»

Non ricevette risposta e continuò senza freni.

«Mi senti Honey? Aspetterò che ti svegli, ma poi dovrai dirmi tutto, tutto! O giuro su Dio che... »

«Lion... dai andiamo a prendere un caffè, lasciamola riposare in pace.»

Sentii i loro passi sempre più distanti e poi il click, i due profumi che sentivo così ben amalgamati nell'aria, sparirono immediatamente.

Ero rimasta sola.

Anche se in fondo sola non ero, avevo l'amore di mio fratello, dei miei genitori, di Emy.

Un amore sano, vivo e grande.

È quello per me stessa che mi mancava.
Amavo tutti, anche Jamie.
Un'amore soprattutto vero e ipocrita allo stesso tempo.

Così infimo e contraddittorio.

Pieno di sotterfugi a volte, di alti e bassi.

Ma non riuscivo a provare amore per me stessa e per questo mi sentivo così stupida.

Per una vita, creavi amicizie, legami profondi e poi arrivava, così dal nulla, una persona che diventava il centro del tuo mondo.

Non esisteva altro, solo Lui.

E allora perché amare se stessi, se all'improvviso siamo felici di dare il primo posto nel nostro cuore ad un'altra persona?

Non dovremmo tenere a noi all'infuori di tutto?

Perché ci annulliamo per gli altri? Nascondiamo i nostri hobby, la nostra voglia di vivere in libertà, la nostra voglia di aprire le ali e volare sempre più in alto alla ricerca dei nostri traguardi.

Ma ci nascondiamo sempre per chi abbiamo vicino.

Io avevo fatto tutto ciò con Jamie, ma avevo fatto una grande cavolata.

Ho tolto tutto, colleghi, amicizie.
Ho abbandonato la mia famiglia per lui, il mio nuovo appartamento comprato da poco.

Tutto per stare con lui.

Grandissima stupida.

Pensavo che quello fosse amore.
Ma mi sbagliavo.

Cos'era allora l'amore?

Non riuscivo a trovare risposta nei mille pensieri che avevo per la testa.

Mi rendevo solo conto che non l'avevo mai provato, non l'avevo mai e dico mai assaggiato e sperimentato.

Quando è sottile la linea che divide l'amore dalla morbosità?

E la linea che divide dalla possessione?

Quanto potevo reggere ancora...

Un bussare fermo mi riportò nella stanza.

Non riuscivo a parlare quindi non potei rispondere.

La stanza era vuota e la persona entrò senza chiedere permesso.

«Lion ci sei?»

Una voce baritonale mi squarciò l'anima.

Fredda e ruggente.

Aveva un'accento nuovo, ma che conoscevo benissimo.

Era balsamo per le mie orecchie in quel momento, come aria fresca.

Un'ondata di profumo mi investì e mi stordì.

Gelsomino, agrumi e note di mare.

Mi invase, mi stropicciò, mi ingoiò e poi mi ridiede al mondo.

Cominciai a sentire anche caldo, caldo ovunque, da capo a piedi.
Tutto senza una vera motivazione.

Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo.
Non sentivo e vedevo niente.

Lo sconosciuto era ancora nella stanza?
Cosa stava facendo?
Perché non si muoveva?

Mi stavo agitando, sia per la sua presenza, per il suo profumo così traumatico per me, sia perché non sentivo rumori e mi sentivo frustrata.

Mare, arancia e gelsomino mi invasero di nuovo le narici di colpo, come se lo sconosciuto si fosse avvicinato al letto.

Sentivo la sua presenza, ma non la sostanza.
Non riuscivo ad aprire gli occhi, a toccarlo, a capire chi fosse.

Poggiò qualcosa sul mio comodino, avevo l'ansia che potesse farmi del male.

Forse era Jamie?

Dio mio, Lion dove sei?

Cercai di annusare meglio, ma il suo profumo era molto più buono e delicato di quello costosissimo del mio ex ragazzo.

Sentivo il bip galoppare di nuovo come un cavallo imbizzarrito di fronte a un ostacolo.

Non sentivo più le gambe e mi fischiavano le orecchie.
Stava succedendo di nuovo, ma io ero pronta, l'ansia mi avvolse mentre ascoltavo i passi della persona con me in stanza allontanarsi, aprire la porta e chiuderla.

Poi il buio.
Di nuovo.

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