Capitolo Quattro

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Non so quanto tempo fosse passato, ma riuscii ad aprire gli occhi con fatica solo dopo un'eternità.

Non sentivo più il calore del sole che filtrava dalla finestra e scaldava le lenzuola.

Il bip era sparito, segno che i macchinari erano spenti.

Aprii gli occhi lentamente e riuscii a mettere a fuoco la stanza dipinta completamente di bianco.

Un corpo rannicchiato su una sedia, stanco e affaticato, attirò la mia attenzione.

Mia madre era sempre stata bella e giovane, ma guardarla ora, mi sembrava avesse acquisito venti anni tutti insieme.

La sua maglia rosa era sporca di caffè e i suoi jeans abnormi erano sgualciti, segni della sua assidua permanenza in ospedale.

Non ero stupida, sapevo benissimo dove mi trovavo, ma speravo vivamente di non esserci mai finita.

Chiusi gli occhi e provai a riaprirli subito.

Risultato?

Ero sempre lì, avvolta da un lenzuolo bianco con mia madre che dormiva appoggiata alla parete alla mia destra.

Cercai di parlare, volevo chiamarla, ma solo un rantolo uscì dalla mia bocca.

Lasciai perdere, forse farla riposare ancora un pochino era la decisione giusta.

Cercai di ambientarmi in un posto dove non mi trovavo a mio agio, di alzarmi per mettermi seduta, ma sentivo il mio corpo stanco e spossato.

Non avevo più macchinari intorno a me, ma sembrava che ci fossero.
Nella mia testa, il bip risuonava ancora e mi sentivo così stordita da voler dormire ancora un po'.

«Sei sveglia»

Mio fratello era dall'altro lato, appoggiato alla finestra che guardava l'orizzonte.
Era stato così silenzioso che non l'avevo minimamente notato.

Ma nel momento in cui posai gli occhi sul suo viso, il suo turbamento interiore divenne evidente.

Dolore, rabbia, compassione e odio puro.

Non risposi.

«Honey»

«Ehi»

«Come stai?»

Bella domanda, fratellone.

Come avrei potuto rispondergli?
Era giusto dire la verità?

Mi sentivo vuota, uno schifo, stordita, confusa.
Avevo voglia di uccidere, di far male, di rovinare la vita a Jamie.
Volevo strappargli tutto quello che aveva, volevo vendetta.

«Mi riprenderò, ma sto bene»

Mio fratello si avvicinò alla mamma e con dolcezza le accarezzò una guancia.

«Mamma, svegliati.»

«Cosa Lion? Tua sorella? Sta bene? Cosa è successo?»

Cazzo.

Mia madre si era svegliata di soprassalto nonostante la dolcezza e premura di mio fratello.

«Ehi queen»

«Princess, Dio, amore mio!»

Di colpo la vidi arrivare come un razzo e piombare sul mio corpo.
Il suo profumo di lavanda riempì le mie narici e mi ricordai come un lampo a ciel sereno dell'uomo che cercava Lion.

«Vado a chiamare il medico ok? Resta con la mamma»

«Spiritoso, molto molto spiritoso»

Mio fratello uscì dalla stanza con un sorriso stampato in faccia e l'ironia negli occhi, lasciando la porta aperta.
Aveva capito prima di me che, con la mamma presente, dovevamo stemperare i sentimenti negativi che viaggiavano dentro di noi.

«Come ti senti?»

«Bene, un pochino stordita.»

«Quello è colpa dei sedativi.»

«Clark, è bello rivederti. Scusa l'abito ovviamente, non l'ho confezionato io ma il tessuto non è male.»

«Lion, vedo che tua sorella è in ottima forma visto le battute.»

Clark era amico di mio fratello dai tempi del Stowe High School.
A quel tempo vivevano in simbiosi ed erano veramente uniti.

Poi un giorno si sono divisi e non hanno parlato per anni.
Quando Emy ha avuto bisogno dell'ospedale dopo una brutta caduta, si sono rincontrati e ora sono inseparabili come ai vecchi tempi.

«Eh già.»

«Ricordi cosa è successo?» disse Clark mentre mi controllava le pupille.

«Sì, ogni cosa e... sensazione.»

«Ok. Allora quello che hai avut-»

«Ricordo e ho sentito. Ricordo anche quello, tutto ciò che è stato detto qui dentro», dissi guardandomi le mani.

«Oh, Ok. I parametri sono buoni, quindi puoi stare tranquilla. È stato il primo episodio?»
Non risposi subito e continuai a stropicciare il lenzuolo che avevo sulle gambe.

«Honey, non mentire, per l'amor del Cielo», disse mia madre accarezzandomi una mano per bloccarmi.

Li guardai uno per uno, consapevole che non si poteva tornare indietro ora.
Era successo davanti a loro e non potevo fare finta di nulla.

«No, mi succede da quando... cioè è iniziato dopo pochi mesi, da quando...»

«Da quando ti sei lasciata con Jamie?»

Solo sentirlo nominare, il sangue mi si gelò.

«Sì... »

Voltai la testa per guardare fuori dalla finestra.
Ero stanca di sentire.
Ero stanca di gente che voleva capire.
Ma soprattutto ero stanca di gente che comprendeva.

Ma cosa cazzo potevano afferrare? Nulla.

I dolori, le situazioni o i drammi, soltanto vivendoli si potevano veramente conoscere.

«Vorrei tornare a casa per favore»

Non ce la facevo a rimanere ancora lì, seduta su quel letto che non era mio.

«Dovresti rimanere ancora un pochino, facciamo degli esami e poi se è tutto nella norma potresti tornare a casa» disse Clark con voce estremamente dolce, mentre lo fissavo speranzosa.

«Oh, ok... »

Tornai a guardare fuori dalla finestra dove la luce del giorno faceva spazio a un bellissimo tramonto.

Scie rosa, rosse, arancio e gialle occupavano tutto lo spazio della finestra, alberi ovunque si muovevano come se stessero ballando una danza solo loro.

Ed io riuscivo a vedere ben poco di quei magnifici colori, perché ero rinchiusa lì.

«Senti Honey...» iniziò a parlare mio fratello, ma il mio sguardo gli fece capire ben presto che non era il momento.

«No Lion, ne parliamo domani. Accompagna mamma a casa, ho bisogno di riposare».

Mia madre mi guardò con occhi velati di lacrime, ma solo una cosa riuscivo a captare dalla sua persona: impotenza.
Si sentiva impotente di fronte a me e alla mia situazione.
Ed io la capivo benissimo.

Si avvicinarono uno alla volta per stringermi ancora un pochino e poi, dopo avermi dato un bacio, se ne andarono.

Avevano capito che volevo restare sola, che avevo bisogno di assimilare e avere la mente lucida.

Decisi così di alzarmi e fare una doccia.
Mi avrebbe sicuramente aiutato a non pensare, ma anche a schiarire le poche certezze che avevo.

Scesi con la lentezza di un bradipo e mi recai in bagno.
Lo specchio mi rimandava l'immagine di me stessa, con un sorriso spento e la pelle grigia.
Esausta, mi spogliai e avviai l'acqua.
In quel momento, il rumore mi ricordò il mare e il profumo di salsedine.

Chiusi gli occhi accogliendo il momento e per la seconda volta, mi tornò in mente lo sconosciuto che aveva depositato qualcosa accanto a me, mentre ero nel letto incosciente.
Avevo completamente dimenticato di controllare la prima volta, ma con tutto quel caos: mia madre, Lion e il dottore, ero stata sommersa nel giro di dieci secondi.

Mi infilai nella doccia e dopo averne fatta una di quelle belle rigeneranti, mi sentii meglio.
Lavai i capelli, mi vestii e uscii fuori con l'intenzione di vedere cosa mi aspettava per cena.

Odiavo quel posto, l'odore di disinfettate unito a quello della candeggina, riusciva a bruciarmi l'olfatto.
Mi tappai il naso e cominciai a guardai intorno una volta varcata la soglia della porta.
Sul comodino vicino al mio letto, un colore particolare però attirò la mia attenzione.

Un verde smeraldo colorava i petali di una rosa.

Mi avvicinai e li accarezzai, così belli, così setosi.
Non avevo mai visto un colore del genere su una rosa così.
Un sorriso spontaneo mi accarezzò le labbra.
Non potevo affermare con sicurezza che lo sconosciuto e il proprietario di questo fiore fossero la stessa persona.

Ma chiunque fosse stato, mi aveva regalato un piccolo spiraglio di luce.
Una speranza.

Potevo ancora credere di potermi salvare.

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