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Β«Non farmelo dire Rose, lo sai che non possoΒ» borbottΓ² Erika abbassando lo sguardo. Appariva sinceramente turbata.

Le concessi un beneficio che a me non era stato donato, quello di permanere nel silenzio. Voltai la testa dal lato opposto, rassegnata a quelle veritΓ  che sarebbero rimaste inascoltate.

La quiete struggente permeava quella stanza dalle pareti gialle.
Per la prima volta capii cosa intendeva mia madre quando diceva che quel colore ci avrebbe aiutato a guardare il sole durante ogni temporale.

Pensavo ancora che rendere la cucina una comfort zone fosse un poco eccessivo.
Anche se forse era proprio quella la ragione per cui avevo passato tutto il giorno a cucinare.

Mia madre ne sapeva una piΓΉ del diavolo e io ancora non l'avevo del tutto capito. PiΓΉ avanti, forse.

Fummo pacatamente interrotte da un lieve ronzio disturbatore.
Proveniva dal cellulare di Erika.
La fissai curiosamente.

Lei tirΓ² fuori dalla tasca uno strumento che doveva essere tra gli ultimi usciti e costare piΓΉ di tutto il mio armadio.

Sulla cover svettava il disegno di un lupo che assomigliava pericolosamente alla versione animale di Nate.

Un po' di tempo prima mi aveva spiegato di essere stata lei a disegnarlo.
Aveva poi pagato un servizio speciale in un negozio del centro commerciale affinchΓ© riproducessero il suo disegno.

«È Valerie». Mi informò incerta.
Dopo aver risparmiato una breve occhiata allo schermo luminoso, sufficiente a individuare la notifica.
Β«Mi sta aspettando, qui fuori. Vuoi salutarla?Β».

La guardai sorpresa.
Ma mi ripresi rapidamente da quel repentino cambio di contesto e lasciai che un roseo sorriso di commiato andasse a prendere possesso dei miei delicati lineamenti.

Β«No, non Γ¨ necessarioΒ» affermai.
Avvolsi le braccia attorno al suo corpicino minuto, simile al mio, in una confortante stretta che lei non esitΓ² a ricambiare. Β«Mi dispiace che tu non voglia restareΒ».

ScrollΓ² le esili spalle con un lieve sospiro. Β«Sarei di troppo, Rose. Poi rimane Sebastian, no? Lui ti sarΓ  sufficiente come distrazione, sottoponilo a tutte le pressioni che avresti voluto fargli nel corso degli anniΒ».

Così dicendo serrò la mano pallida in un pugno con cui colpì il palmo dell'altra. Il gesto violento fu accompagnato da un sadico ghigno, che andava a tendere un angolo delle sue labbra lucide.

Β«Ci proverΓ²Β» la rassicurai, mentre la accompagnavo verso la porta.
Mi rivolse un ultimo sguardo deciso e verdeggiante, posandomi una mano candida sulla spalla.

Β«Promettimi-Β» cominciΓ², sventolandomi un dito ben curato davanti al viso, prodigata nel convincermi. Β«Che non farai come tuo solitoΒ» terminΓ² allora, una certa intensitΓ  a colorare le sue parole.

Β«PerchΓ©?Β» Chiesi perplessa, nonchΓ© lievemente divertita, arcuando un ramato sopracciglio.
Β«Di solito che faccio di male?Β» Domandai tranquilla.

Lei si allontanΓ², esitando per un attimo. Come alla ricerca del giusto termine da utilizzare.
Poi scosse la testa, rassegnata.
Β«Per dirlo in parole semplici...Β» tentennΓ², giocando con un fine braccialetto legato al polso.
TornΓ², successivamente, a rivolgersi a me Β«Sei un po' succubeΒ».

Sbuffai, tirandomi indietro un caparbio ricciolo vermiglio, caduto sul mio viso. Β«Non Γ¨ veroΒ» negai, con poca veemenza.

Β«Certo, certo...Β» borbottΓ² lei.
Si portΓ² i corti capelli color miele dietro la spalla, in una dolce cascata burrascosa.

Β«Ci vediamo, RosieΒ» riprese poi.
Ripercorse all'indietro il vialetto del giardino verso il grigio cancello in freddo ferro. Sventolava il braccio a simulare un saluto.

Quando non potei piΓΉ individuare la sua figura sospirai.
Mi passai una mano tra le ciocche, tentando di dissipare i residui nodi rossicci. Tornai in cucina.

Riuscii dopo un quarto d'ora di inferno, schiena piegata, pezza in una mano e scopa in un'altra a sistemare il disastro di uova, acqua e farina, creato dalla mia incapacitΓ . Mi tolsi il sudicio grembiule.

Stirai con mani delicate la stretta gonna color pastello.
Avevo deciso di indossarla solo dopo vari vaneggiamenti.

Mi diressi verso l'ordinato salone.
Mi ritrovai a osservare Sebastian, abbastanza occupato a restare seduto sul divano.

Β«Stai guardando la TVΒ» lo rimproverai, venendo ricambiata da uno sguardo colpevole fra le ciglia.
Misi le mani sui fianchi, avvertendo sotto le dita la morbidezza del bianco cotone Β«Sul serio?Β».

ScrollΓ² le spalle. La bocca contratta in una smorfia impertinente e riccioli ondulati sulla fronte bianca.
Β«Non ho piΓΉ niente da fareΒ» ribattΓ© sincero Β«ho apparecchiatoΒ» brontolΓ².

Mi voltai verso la tavola che avevamo deciso di porre in soggiorno.
Era ora coperta da una morbida tovaglia a quadri.
Piatti e posate erano allineati in posizioni perfette e un centrotavola azzurro sosteneva un paio di candele.

Β«Hai ragioneΒ» mi rassegnai.
Mi gettai al suo fianco sul divano azzurrino, disobbedendo alla mia coscienza.

Tirai indietro e arruffai i ricci con le mani, stirando le braccia per sgranchirmi la schiena.
Premetti le scapole contro lo schienale del divano. Ero così stanca.

Era sabato eppure mi ero svegliata alle otto e mezza del mattino.
Mia madre era giΓ  uscita e io avevo cominciato scrostando il pavimento del bagno.

Poi avevo continuato con la camera degli ospiti e la mia. Quando Sebastian era arrivato mi aveva trovata sul punto di urlare contro il camino perchΓ© era sporco di cenere.

Mi aveva dovuta rassicurare più volte che nessuno era lì per giudicare casa nostra e che sarebbe andato tutto bene.

Quando mia madre mi scrisse che stavano per arrivare, scaldai la torta, per puro miracolo senza bruciarla.

Lei giunse pochi minuti dopo.
Finalmente, mi liberΓ² da quell'ansia che mi aveva attanagliata.

EntrΓ² in casa.
Chiuse l'ombrello di Hello Kitty e lo gettΓ² nel grosso vaso all'angolo.
Si spolverΓ² i vestiti.
PassΓ² le dita nei ciuffi castani, strizzando via goccioline di pioggia.

Era insieme a colui che da quel momento in poi sarebbe dovuto essere, piΓΉ o meno, parte della nostra quotidianitΓ .

Al contrario di mia madre, rimase fermo, scrutando il soggiorno con uno sguardo perplesso.
Doveva conoscere molto bene mia madre perchΓ© i suoi occhi ambrati si soffermarono sulle pareti e sui soprammobili con scetticismo.

Come se da lei non si aspettasse affatto qualcosa di normale, ma piuttosto che vivesse in una casa a forma di fungo o qualcosa del genere.

Mia madre lo invitΓ² a togliersi il cappotto, come fece anche lei.
Li agganciΓ² all'appendiabiti e tornΓ² con un ticchettio di stivali rossi.

ScoccΓ² una pacca sulla scapola dell'uomo, che contrasse la bocca in un malcelato sorriso.

Mi tese la mano.
«Tom» si presentò con uno sguardo cordiale. Aveva lineamenti gentili di chi ha vissuto con una certa pigrizia, quasi disinteresse. Così diverso eppure così simile a mia madre.

Le pagliuzze di fieno di quegli occhi erano immerse in altri colori piΓΉ scuri e piΓΉ chiari. Mi scrutava quasi fossi ancora una bambina, ma anche come se questo non mi precludesse nulla.

PassΓ² una mano sulla rada barba, sembrando riflettere. I suoi capelli castani erano tirati indietro.
Due ciuffi gli pendevano sulla fronte.

Ricambiai il saluto, sia con la voce che con i gesti, lievemente inquieta.
Ringraziai mentalmente Sebastian della rassicurante presenza, alle mie spalle.

Le sue dita erano piene di calli particolari. La stretta era sicura, ma delicata. Β«RoseΒ» mormorai.

Β«Bel nomeΒ».
Lo disse tranquillamente, ritraendo il braccio contratto. Le maniche di una camicia di lino erano arrotolate attorno agli avambracci.

Sicuramente sapeva di essere di bell'aspetto. La maniera involontaria in cui incrociava le spalle, serrava i bicipiti.
Sembrava che i suoi occhi scintillassero di una fiamma tutta loro.

Non avevo mai incontrato qualcuno di simile prima. Per me esistevano due modalitΓ : passione glaciale e pacata dolcezza. Lui era diverso.

Era come un'orso.
Una specie di fuoco caldo che ti abbracciava sotto la pelle.
Ma con ferocia letargica.

Non pareva contrarre volontariamente le labbra in sorrisetti divertiti, arroganti anche. Quasi fosse un'abitudine di gioventΓΉ poi accantonata.

Mi strizzΓ² un occhiolino complice.

Rivolsi uno sguardo esitante a mia madre. Si limitΓ², inosservata, ad alzare gli occhi al cielo e scrollare le spalle. Mi assicurΓ² silenziosamente di non essere stata lei a informarlo della mia sfrenata passione per il mio nome.

Fu Sebastian, poi, a presentarsi.
Tom lo guardΓ². In qualche modo conclusi che mia madre dovesse averlo giΓ  dovutamente istruito.

Scostai la sedia in un debole stridore.
Fui la prima a sedermi.
Tutti gli altri mi seguirono.
Osservai distrattamente il volto di Sebastian. Mi chiesi se sarebbe andato tutto bene.

Il mio cuore permaneva nella speranza.
Una parte di me era in costante allerta.
Quel sentore di ansia si rivelΓ² estremamente corretto.

La nostra conversazione proseguiva.
Notavo lo schermo del cellulare di Sebastian illuminarsi a intermittenze regolari.

Vibrava sulla tovaglia, segnalazioni di notifiche giungevano rapide.
Non ci avrei messo la mano sul fuoco ma mi parve che gli occhi di Tom vi cadessero un paio di volte.

Poi incrociava le mani sul tavolo. Oppure affondava la forchetta in un pezzo di formaggio.
Se notava che continuavo a fissarlo il suo sopracciglio aveva un guizzo e mi sorrideva.

Grazie a lui, per la prima volta uno strano dubbio si affacciΓ² alla mia mente. Incrociai le caviglie sotto il tavolo. Mandando giΓΉ un boccone con l'aiuto di un bicchiere d'acqua.

Molto spesso mi ero chiesta come mia madre potesse non accorgersi di determinate cose.
Ma se lei avesse solo finto di non accorgersene? Avrei dovuto prestare piΓΉ attenzione alle sue espressioni.

Colpii vagamente lo stinco di Sebastian con il piede. Β«Chi Γ¨?Β» sussurrai.
Provai a rimanere inascoltata.
Notai il suo cambio di atteggiamento.

Non mi degnΓ² di alcun genere di risposta, neppure minimamente accennata. Si alzΓ², attirando lo sguardo sorpreso di mia madre.

La mia bocca ebbe un guizzo di sorpresa, le sue iridi scivolarono su di me. Scorsi Tom e mia madre darmi un'occhiata obliqua.

Β«Scusa, zia KateΒ».
Assunse un'espressione contrita chinando lievemente il capo, dispiaciuto. In piedi vicino al mio posto. Β«Mia nonna, a quanto pare, ha bisogno di meΒ».

Mia madre si accigliΓ² perplessa. Eleanor, nonostante fosse piuttosto anziana, era molto orgogliosa.
Mai aveva chiesto aiuto a suo nipote per una qualunque ragione.
La sua sorpresa si tramutΓ² subito in preoccupazione.

Β«Sta bene?Β» DomandΓ² gentilmente.
Si morse il roseo labbro inferiore, ansiosa. Sebastian sorrise, non desiderando preoccuparla, e annuì pacato. Poi fuggì al mio sguardo altrettanto cupo, andandosene e lasciandosi alle spalle solo il tonfo della porta di casa.

Riuscii ad attendere a stento venti secondi, popolati dal silenzio di Tom e di mia madre, non oltre.
Mi precipitai all'esterno, dopo aver afferrato il giubbotto.
Avvertii distrattamente la voce di mia madre chiamarmi.

Mi voltai, tendendo le labbra in un esitante sorriso forzato.
Senza parlare attesi un consenso che infine giunse, quando lei annuì.

IgnorΓ² la preoccupazione, consapevole che per me seguire Sebastian era un'importante prioritΓ , posta prima di ogni cosa. Anche del mio stesso bene. Anche se era sbagliato.

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