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Alis

Venerdì

Di prima mattina era venuta la donna che aiutava nonna. Si era rivelata un grande appoggio; oltre a prepararle qualcosa da mangiare, chiacchieravano spesso. Condividevano molti interessi e avevano anche diverse passioni in comune, nonostante i dieci anni di differenza.
Si chiamava Carol.

Arrivai a scuola con l'autobus, questa volta non c'era Nathan a farmi compagnia.

Nessuno mi bloccò, così raggiunsi l'aula tranquillamente e prima del solito. Mi sedetti e appoggiai la testa sul banco aspettando che la campanella suonasse, ormai ci avevo fatto l'abitudine a trasformare il banco in un secondo letto e aspettare.

Piano piano entravano sempre più ragazzi in classe, seguiti dall'insegnante della prima ora. Tutti i posti furono occupati, tranne quello di Dan e di un altro compagno.
La lezione iniziò e riuscii a mantenere la concentrazione per tutto il tempo. L'assenza di Dan non passava inosservata, proprio perché c'era silenzio.

Durante la ricreazione decisi di rimanere in classe, non sapevo dove andare. Al contrario, qualcun'altro sapeva bene cosa fare ed era venuto in classe da me.

"Ehy Nathan", gli sorrisi vedendolo entrare, "oggi non ti ho visto."

"Già, nemmeno io. Mi ha accompagnato mio padre" disse sedendosi sul posto di Dan.

"Chi sta qui?" chiese e gli risposi spiegandogli della sua assenza.

"Bel compagno di banco" commentò ridacchiando.

"Non ci si annoia mai direi."

Spostai lo sguardo dal suo viso alla felpa che indossava, della Tommy Hilfiger. Avevo sempre amato i modelli maschili grandi con il cappuccio.

"Ti sei incantata?" mi riprese.

"Mi sono innamorata della tua felpa" ammisi sorridendo.

"Fanno più colpo le mie felpe di me" rise.

"Comunque ne ho molte così... Se vuoi un giorno vieni a casa mia e te ne regalo una" ridacchiò e lo guardai sorpresa e al contempo felice.

"Ci sto."

Continuammo a parlare e il discorso ci portò alla cena di sabato. Entrambi non sapevamo ancora cosa ci saremmo messi e se era il caso di presentarci vestiti in modo elegante. Avevamo ancora un po' di tempo per scegliere il nostro outfit.
Gli descrissi il carattere di Ashley, di Michael e di Justin spiegandogli ciò che era successo. Non espresse il suo pensiero a riguardo, si limitò ad ascoltare. Parlando nuovamente di trasporti, finì per rivelarmi la sua passione per gli skateboard. Avevo sempre voluto andarci, ma non c'era nessuno che poteva insegnarmi.

"Ti insegno io" si propose.

"Non ho nemmeno uno skate."

"Io ne ho tre," rise, "ne puoi usare uno. Non ci resta che scegliere un giorno"

"... Così mi prendo la felpa e usciamo a fare un giro sulle tavole."

"Già, basta che non ti incanti davanti alle mie felpe come prima o potremmo impiegarci le ore" esclamò e ridemmo, interrotti poi dalla campanella.

Le lezioni proseguirono fino al termine delle ore e uscimmo tutti frettolosamente dalla scuola. Stentavo a credere al fatto che un po' sentivo la mancanza di Dan ... Era la causa dei continui scompigli ai quali dovevo assistere, ma un po' di rotture di equilibrio facevano parte della vita e aiutavano a non annoiarsi mai troppo. A pensarci, a Manhattan era come non avere un'anima; vivevo senza avere amici o qualcuno con cui passare il tempo se non papà o la donna che lui chiamava per badare a me fino ai tredici anni. Non mi rendevo conto di avere bisogno degli altri e nemmeno che loro volessero essere miei amici, come aveva detto Justin.

"Dove scappi?" mi girai appena Matthew mi prese per il polso.

"Se per scappare intendi uscire, stavo andando a casa" dissi.

"Bene. Oggi vengo a prenderti, okey?" ci misi un po' per ricordarmi che mi aveva detto che saremmo andati in un posto, proprio quando gli avevo rivelato della morte di mia madre.

Annuii, mi sorrise e lasciò il mio braccio. Mi chiese se avevo bisogno di un passaggio, come faceva spesso ultimamente, ma rifiutai e ci allontanammo l'uno dall'altro.

Camminando, mi affiancai a Nathan diretto verso l'autobus. Appena mi vide, il suo umore cambiò in meglio e simultaneamente anche il mio. Iniziammo a parlare anche una volta saliti sul mezzo.
Arrivai a casa prima di lui siccome la mia via era qualche isolato più avanti della sua. Eravamo a venti minuti di distanza, tranquillamente attraversabili a piedi. Prima di scendere, decidemmo di uscire insieme il lunedì in modo tale da prendermi una sua felpa, come tanto desideravo, e da poter farmi insegnare ad andare sullo skate.

Entrai a casa e trovai nonna e Carol nella stessa posizione in cui erano il giorno prima. Sorrisi a entrambe, anche loro parevano molto contente.

"Alis, qualcuno ha lasciato questo per te sulla cassetta della posta" disse la seconda, in mano aveva una cartolina. Mi avvicinai confusa, la presi e la guardai.

In primo piano una distesa d'acqua, di un lago o forse del mare, in secondo piano degli alberi e delle case, o negozietti vari, con il cielo sullo sfondo. Non avevo la minima idea di che posto potesse trattarsi ma ero sicura che il mittente fosse Matthew.

"Cos'è quella faccia contenta e pensierosa?" della quale non mi accorsi minimamente. Nonna aveva buon occhio per le espressioni altrui.

"Nessuna faccia" nascosi il volto arrossito "è solo che è un bel posto... non lo conosco."

Risero entrambe capendo sicuramente la mia situazione, trascurando totalmente la scusa. Magari era il luogo dove saremmo andati il pomeriggio; a tal proposito lo feci noto a nonna che si insospettì ma non domandò altro.

Per tutto il tempo restai immobile a fissare la cartolina seduta sulla poltrona, sul retro c'era scritto 'per Alis' con il pennarello nero. Carol e nonna Rose parlavano della vita o degli uomini con disinvoltura e io ascoltavo le loro riflessioni quando non avevo nulla a cui pensare.

Poi iniziai a prepararmi e misi la cartolina nella borsetta nera assieme al telefono e al portafoglio. I capelli erano abbastanza lisci, ma feci comunque qualche boccolo che ricadevano morbidi sulle spalle. Senza aggiungere trucco, scesi in salotto e aspettai impaziente il suono del clacson.

"Non ci racconti con chi vai?" si incuriosì nonna e non risponderle mi sembrava crudele, quindi le dissi: "Matthew".

"Lo stesso dei cupcakes?" continuò.

"Sì."

A quel punto lo sentii, il suono atteso. Mi alzai di scatto e salutai nonna con un bacio, Carol con una semplice mossa della mano. Il non sapere l'ora di ritorno ormai lo davo per scontato.

Fuori raggiunsi la macchina ben postata sulla strada della via. Quando entrai fui accolta dal solito sorriso dolce: "Ti è piaciuto il panorama della cartolina?"

"Molto" risposi incantata dai suoi occhi ghiacciati che congelavano i miei ai suoi.

Soddisfatto della mia risposta, mise in moto e partì: "Perché andremo proprio lì".

In quel posto?
Non era lontano?
Non sapevo né il nome né la distanza dal Bronx.

Per evitare la noia, accesi la radio sperando non lo infastidisse e fermai su una canzone spagnola del momento. Poi restai impalata ad ascoltarla e canticchiarla nella mente, mi vergognavo a cantarla a voce. Feci lo stesso con le canzoni successive, intanto Matt si girava per guardarmi.

"Vorresti cantarle eh?" ridacchiò notando la mia tentazione.

"No" mentii, ma il suo sguardo insistente mi costrinse a dire la verità.

"Come immaginavo" rise. "Siccome vedo che non canterai, allora parliamo un po'."

"Basta che non vai a sbattere contro qualcosa."

"Pensi non sia capace a guidare?"

Alzai le braccia facendo intendere che non lo stavo mettendo in dubbio.

"Tu quando prenderai la patente?" chiese mantenendo lo sguardo attento sulla strada.

"Voglio prima compiere i diciotto anni" dissi "anche se penso aspetterò ancora... l'idea non mi entusiasma."

"Perché?"

"Ho sempre paura che qualcosa vada storto."

"Se non provi, come fai a dirlo?" e feci spallucce non sapendo come rispondere. Iniziò a girare il volante da un verso all'altro facendo muovere l'auto a zig zag per la strada.

"Che fai?" cercai di fermarlo ma temevo di peggiorare la situazione.

"Non sto guidando come devo, eppure nulla sta andando storto" si voltò verso di me e tornò a tenere fermo il volante.

"Ma potrebbe..." borbottai.

Avrei voluto continuare a difendere la mia idea, ma mi bastava sapere che non era cambiata. Probabilmente avrei iniziato a studiare a venti anni e fare poi la prova pratica, a quell'età sarei stata più vigile. Nessuno avrebbe potuto farmi volere il contrario, non mi sentivo pronta e basta.

"Ora passeremo sopra a un ponte" affermò e mi protesi in avanti per dare un'occhiata all'esterno. Pochi metri più avanti c'era effettivamente un ponte e al di sotto una distesa di acqua. Stavamo andando al mare? Speravo di no, non avevo il costume con me e, anche se fosse, mi sarei sentita a disagio.

Abbassò di poco il finestrino e sentii l'aria fresca entrare e arruffarmi i capelli. Intanto godevo del panorama fuori diverso dal solito.

"Ma come si chiama il posto dove andiamo?" domandai sempre più curiosa, quando vidi un cartello con su scritto: City Island.

"City Island" rispose consapevole del cartello.

Percorso il ponte, passò qualche minuto ed esclamò: "Siamo arrivati".

"Non era molto lontano" commentai pensando ci avremmo impiegato più tempo.

"No, meglio così non credi?" aveva ragione... i tragitti lunghi non facevano per me. Dopo un'ora avevo sempre bisogno di fermarmi da qualche parte e noi avevamo impiegato solo mezz'ora.

Riuscì a trovare parcheggio, al che scendemmo dall'auto. Mi guardai intorno, riempii i polmoni d'aria profumata ed espirai successivamente; anche lui fece lo stesso. Era tutto diverso dal Bronx, nonostante la lontananza non fosse molta.

"Ci incamminiamo?" si avvicinò a me e annuii.

"Non sono mai venuta qui, devi farmi da guida" affermai.

"Non ti preoccupare, ho pensato a tutto" sorrise lasciandomi titubante.

Sorrisi anche io, un sorriso scontato causato dal suo, mi succedeva sempre come uno strano effetto domino. A pensarci mi sembrava incredibile essere accanto a un ragazzo conosciuto da poco, in un'isola, a camminare per andare chissà dove e a fare chissà cosa... Mai l'avrei immaginato, anche se apparentemente gli adolescenti l'avrebbero definita una situazione normale. Per me era molto, significava che in fondo per qualcuno contavo.

"Ci siamo quasi" disse distraendomi dai pensieri e mi resi conto dei diversi pescatori che si trovavano lungo il nostro cammino che prima non avevo notato. Anche se erano molti, la loro presenza era trasparente e il posto molto tranquillo.

Arrivammo in un punto appartato dove non c'era nessuno nemmeno nelle vicinanze e mi sorpresi di questo. Si avvicinò in modo tale da avere una vista migliore dell'acqua.

"Perché siamo venuti qui?" mi azzardai a chiedere.

"Hai detto di non aver mai detto addio a tua madre" disse lasciandomi spiazzata ma ancora dubbiosa.

"Cosa significa?" la voce si faceva tremante senza volerlo.

"Che ogni momento è buono per dire addio e questo è il posto perfetto per farlo."

"E come? Che faccio?"

"Mi manchi" iniziò ad urlare a vuoto verso il cielo e la distesa di acqua che si stagliava nitidamente al di sotto, "Joan ti voglio bene, addio."

E restò lì fermo indifferente senza compiere nessun movimento, ma lasciando che le sue parole fossero assaporate da chi stava intorno e ascoltate dal destinatario. Mi lasciò perplessa per la millesima volta in un solo giorno, chi era Joan? Solo a nominare il nome nella mente mi venivano i brividi.

"Bene", si riprese, nessuna lacrima scivolava sulle guance, "ora tocca a te."

"Ma-ma come faccio? Che dico? E se mi sentono?"

"Che ti sentano, non diranno nulla."

Mi feci forza, spalancai gli occhi e guardai un punto fisso e ben definito prima di alzare lo sguardo in alto e dire: "Scusa, scusa se non mi sono accorta di nulla. Non ho potuto aiutarti..."

Speravo di riuscire a restare indifferente come Matthew ma non era così, ero crollata già alla prima parola in un pianto liberatorio.

Continuai: "Ti voglio bene mamma e ti mando un bacio".

Portai la mano sulle labbra e scoccai un bacio, poi la portai in alto indirizzata verso il cielo e aggiunsi: "Addio".

Matt si avvicinò e mi abbracciò, lo strinsi forte senza lasciare via libera ad altre lacrime. Feci dei respiri profondi e mi lasciai inebriare dal suo profumo che mi rilassò distraendomi dai pensieri. Un semplice addio si era dimostrato così forte, come se stessi sentendo la sua presenza.

"Ti senti più libera ora?"

"Sì, in effetti sì", ci sedemmo su una panchina pochi metri più in là.

"Perché mi hai portata qui?"

"Te l'ho già detto, mi hai detto di non aver mai..." lo interruppi sapendo già come avrebbe continuato.

"Sì, ma avresti potuto far finta di niente", non tutti davano peso alle parole.

"Mi piaci", rimase impassibile nonostante la sua rivelazione, "e farò qualsiasi cosa per farti innamorare di me."

Sorrisi imbarazzata: "Come fai ad essere così fiducioso del tuo piano?"

"Ho i miei metodi" ironizzò ridendo.

Ci fu un momento di silenzio dove l'unico nostro campo visivo era il mare calmo.

"Toglimi una curiosità", ruppi il silenzio un po' agitata per la domanda che avrei fatto, "chi è Joan?"

Si voltò verso di me e mi guardò negli occhi cercando un briciolo di fiducia, sembrava che mi stessero divorando senza che potessi fare alcuna mossa per salvarmi.

"Era mio fratello" e tornò a guardare l'acqua.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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Come vi sembra il capitolo?
Mi mancano i vostri commenti 🥺

Nel prossimo capitolo ci sarà il Sabato

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