Capitolo 2: L'ospite

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Sleepwalking - Lindsey Stirling


«Suoni davvero bene.»

Mi voltai a guardare il ragazzo alle mie spalle, la cui voce si era già insinuata nella mia mente, come sinonimo d'inquietudine. Accennai un sorriso tirato, di cortesia, conscia dell'irrazionalità del comportamento di tutti.

«Me lo dicono in tanti!» Risposi frettolosamente, iniziando a cercare i miei amici con lo sguardo, ma erano trattenuti dai nostri ammiratori.

Ero a disagio e non riuscivo a nasconderlo, soprattutto dopo aver incrociato quegli occhi cinerei, così seri e freddi e al tempo stesso così profondi e magnetici.

«Me lo immagino.» mi disse pigramente, continuando a fissarmi. «Ma dubito che si intendano veramente di musica, è più probabile vogliano provarci con te.» Spostò lo sguardo sul mio violino. «Permettimi di usare una descrizione poco tecnica, ma la musica che suoni è celestiale, deve esserti costata anni di pratica.»

Non riuscivo a capire cosa volesse, se fosse interessato a me, alla mia musica, al mio strumento o se fosse solo uno squilibrato.

«Fa nulla, mi interessa che la mia musica faccia piacere a chi l'ascolta. Il resto non conta!» Spiegai brevemente, tenendomi sulla difensiva. Infatti, portai il mio violino di fronte al petto, quasi potesse farmi da scudo. Mi sentivo meglio al pensiero che qualcosa si frapponesse tra me e lui. «Ora scusami ma devo parlare con i ragazzi del gruppo!» Cercai di liquidarlo, dandogli le spalle e tentando di allontanarmi.

Lui mi stette dietro. A quanto sembrava non era intenzionato a vedere la nostra conversazione già conclusa.

«Sei sempre così schiva con chi assiste alle tue esibizioni?» Il suo volto era assolutamente indecifrabile.

Mi fermai, voltandomi a guardarlo. «Che cosa vuoi?» Domandai brusca e diretta.

«Sapere se farete altri concerti. Mi piacerebbe riascoltarti, la tua musica è molto particolare.» 

Non capivo se dicesse sul serio o fosse una scusa. Non ci stava provando eppure non sembrava neanche davvero interessato.

«Abbiamo il profilo su Instagram, Facebook e Twitter! Puoi trovare lì le date! Ciao!» Risposi sbrigativa, tornando a cercare con lo sguardo gli altri, distogliendolo da lui.

In quello stesso momento, i ragazzi riuscirono a liberarsi e mi corsero incontro. «Hope! Stai bene?» mi chiese Joan, abbracciandomi.

«Abbiamo visto quel tizio vicino a te, prima. Che cosa voleva?» Matt si guardava intorno, come a cercare di individuarlo, ma invano. Il ragazzo dagli occhi grigi sembrava svanito nel nulla e non mi ero neppure resa conto che si fosse allontanato.

Anche Luke e Mark ci raggiunsero. «Ma cosa è preso a quelle ragazze? Sembravano indemoniate!»

«Quel tipo si è avvicinato a me, mi ha fatto i complimenti e mi ha chiesto dove suoniamo ancora.» Spiegai io. «Sto bene, non ti preoccupare, sono solo perplessa per quel tizio. Era strano!»

I ragazzi si scambiarono un'occhiata; non avrei però saputo dire se fosse preoccupazione o semplice stupore per il comportamento bizzarro di quel ragazzo. 

«Magari per oggi è meglio se torniamo a casa.» Mark si tolse il cappellino e si passò una mano tra i capelli biondi tagliati corti, per ravvivarli.

«Ho un'idea!» propose Joan, con rinnovato entusiasmo. «Perché non venite da me e festeggiamo il concerto ordinando giapponese?»

«Per me va bene! Ho proprio voglia di una scorpacciata di sushi!» Matt andava su di giri ogni volta che si parlava di etnico, anche se in generale bastava parlare di un qualsivoglia genere di cibo per convincerlo a fare qualcosa. 

Luke, invece, diresse la sua attenzione su di me, aspettando che mi esprimessi, prima di dire la sua.

«Sì, per me va bene!» Adoravo l'orientale, figurarsi se mi tiravo indietro a mangiare giapponese. «Inoltre, adesso ho decisamente fame!»

«Però prima ci fermiamo a prendere anche qualche birra.» Patteggiò il nostro chitarrista, che aveva una vera e propria passione per gli alcolici.

«Ovvio! Non vorrai mangiare i gyoza con l'acqua gasata!» Ironizzai, mentre sistemavo il violino. Mi resi conto di non riuscire a fare a meno di guardarmi intorno, alla ricerca di quegli occhi di ghiaccio, del ragazzo dai capelli di fuoco e di quello dagli occhi color smeraldo.

«Una birra non dispiacerebbe neanche a me.» Ammise Matt, con un'alzata di spalle, riportandomi alla realtà.

«Allora smontiamo in fretta e andiamocene.» Mark si stava già avviando verso gli impianti.

Riponemmo tutto e recuperammo le birre e una maglietta per Luke, prima di dirigerci all'appartamento di Joan, all'ultimo piano di un altissimo palazzo.

Da là sopra si vedeva tutta Los Angeles.

Il suo attico era in una zona residenziale, di quelle piuttosto costose, e, anche dividendolo con Mark, non riuscivo a capire come potessero permetterselo. Vantava numerose camere, al punto che spesso ci fermavamo a dormire tutti da loro. Era come il nostro quartier generale. Le stanze erano verniciate con colori chiari e tenui e anche la mobilia, moderna e minimalista, sembrava essere quasi evanescente tanto era il chiarore e la luminosità peculiare di quel posto. Bianco, beige e ghiaccio erano i colori fondamentali, persino le luci che illuminavano l'appartamento erano bianche e intense.

Ci accomodammo in salotto, sebbene avesse un'enorme sala da pranzo e una cucina entrambe di notevoli dimensioni. Io, essendo abituata al mio minuscolo appartamento, non amavo molto i luoghi grandi; preferivo ambienti più piccoli, semplici, e i ragazzi cercavano sempre di accontentarmi, quando possibile.

Cenammo tranquilli sul gigantesco divano in pelle ad angolo a sei posti, con la solita ilarità che contraddistingueva il nostro gruppo. L'episodio della piazza sembrava allontanarsi ad ogni birra che vuotavamo e ad ogni battuta, fin quasi a scomparire del tutto.

A fine serata uscii in terrazza e, raggiunta la ringhiera, mi stiracchiai con l'ennesima bottiglia in mano, gustandomi l'aria fresca della sera. Con la pancia piena di cibo e di birra iniziavo a sentire la stanchezza della serata.

Luke mi raggiunse non appena mi vide uscire, anche lui con una bottiglia ben stretta tra le dita. In realtà, non sapevo più quante ne avesse bevute e a un certo punto ne avevo perso il conto, eppure eccolo lì, lucidissimo e silenzioso come al solito. Si limitò ad affacciarsi vicino a me e a guardare la città, buttando giù di tanto in tanto una sorsata, senza dire una parola.

All'interno dell'appartamento, Matt era collassato a pancia sotto sul divano e adesso dormiva della grossa, mentre Mark dava una mano a Joan a sistemare gli avanzi in cucina.

La vicinanza di Luke mi rendeva da sempre difficile comportarmi in modo naturale e spontaneo, visti i nostri trascorsi poco felici. Provavo al tempo stesso gioia e disagio nel restare da sola in sua compagnia.

Anni prima, all'epoca in cui stavamo terminando la scuola, gli avevo dichiarato i miei sentimenti e lui mi aveva respinta. Era naturale che adesso la sua vicinanza mi creasse problemi, nonostante continuassi a desiderarla con la stessa intensità di allora.

Da quel momento, avevo cercato di sopprimere le mie speranze e di vederlo come l'amico che mi era sempre stato vicino. Per quanto difficile fosse.

«Abbiamo suonato bene questa sera!» Esordii, lanciandogli un'occhiata e sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Ma Joan... è diventata strana non appena ha visto quel tizio. Lo conoscete?» Domandai vaga.

Mi osservò con la coda dell'occhio, per poi tornare a volgere la sua attenzione alla città e alle sue mille luci.

«Inutile che cerchi di darmela a bere, hai suonato uno schifo da quando è apparso quel tipo.» Era il suo modo di fare, distaccato e scontroso. «Ad ogni modo, no. Non ho mai visto quel ragazzo.» Buttò giù un'altra sorsata, mentre da dentro si sentiva Matt accoccolarsi meglio sul divano, cercando una posizione comoda. «Joan e Mark si considerano tuoi fratelli maggiori, vogliono proteggerti da tutto e tutti.»

«Sì, ok! Ma non è successo niente! Non ha senso spaventarsi a quel modo, scusa!» Sbuffai seccata. «Ho davvero suonato così male?» Il suo giudizio contava talmente tanto per me da mandarmi in crisi.

«Iniziamo ad essere popolari e la popolarità ha sempre conseguenze.» E le stava sperimentando in prima persona, visto che oggi lo avevano letteralmente aggredito. «Stavolta era un tipo che ti fissava, la prossima potrebbe essere un pazzo armato, forse non è una buona idea fare concerti. Forse è il caso di smettere.» Vuotò la bottiglia per poi rigirarsela tra le mani.

«Eh? Ma no! Io voglio continuare a suonare! Cosa stai dicendo?» Risposi, scuotendo il capo, rifiutandomi di credere alle sue parole. «Non possiamo smettere solo per un tizio che mi fissava!»

«Puoi continuare a suonare anche senza metterti al centro di una folla in una piazza.» Indicò con il capo verso l'interno. «Quei due ne stanno discutendo in cucina, mentre fingono di rassettare, solo che non hanno il coraggio di dirti quello che pensano.»

«Che cosa?» Scossi la testa senza capire. «Non ha senso!» dissi poggiando la bottiglia e facendo per tornare all'interno. «Voglio continuare a suonare per la gente! Non ho intenzione di smettere perché un tizio mi guarda in maniera insolita!»

Ma non mi diede il tempo di fare nulla che mi afferrò per il braccio, ritirandomi indietro in modo da avermi davanti a sé e la sua mano sulla mia pelle quasi bruciò. Nonostante gli anni passassero, certe cose non riuscivano proprio a cambiare.

Lui era sempre stato quello più diretto, non gli piaceva girare intorno alle cose. «Hope, non hai più cinque anni, cerca di ragionare. Il mondo è pericoloso e quel tizio era strano. Non ti sto dicendo di rinunciare alla musica, ma ti sto suggerendo di valutare l'idea di cancellare la prossima serata.»

«Dovrei cancellare la serata?» Domandai, cercando di liberarmi da lui, sia per il fastidio generato dalle sue parole che da quel contatto diretto. «E poi lo hai detto tu, scusa! Eravamo tutti lì, cosa poteva accadermi? Pensi davvero che qualcuno voglia ammazzarmi perché suono un violino? Ma sei serio?» Non capivo, era assurdo! Non aveva senso quello che stava dicendo.

Mi lasciò andare. «Sono solo preoccupato che ti accada qualcosa.» Recuperò la bottiglia per andare a posarla e probabilmente per prenderne un'altra. «Se si presenta al club, che cosa farai?» Si riferiva alla serata nella quale mi sarei dovuta esibire, tra qualche giorno, in un rinomato club della zona.

«Lo terrei a distanza o andrei a chiedergli che cosa vuole.» Borbottai arrabbiata. «Luke, sai che non posso smettere di suonare. È la mia vita! Più suono meglio sto! Se non lo faccio mi sento male!»

Annuì comprensivo. Lo sapeva bene, dopotutto, nel bene o nel male mi era rimasto accanto per tutta la vita. «Permettici almeno di starti vicino, così da stare tutti più tranquilli.»

«Ovvio! Non potrei mai farlo senza di voi!» dissi, accennando un sorriso e calmandomi lievemente. «Hai voglia di accompagnarmi a casa?»

«Ti sei già stancata di sentirlo russare?» Indicò, con un gesto distratto e un sorrisetto impertinente, Matt, spiaggiato sul divano. «Sta facendo un concerto migliore di quanto abbia fatto tu oggi.» Tirò su un angolo della bocca. Era sarcastico e mi stava prendendo in giro.

«Parla quello che invece ha suonato in maniera impeccabile!» Ribattei ridacchiando. «No, sono solo molto stanca e vorrei riposare.»

«Allora ti accompagno, ho la moto giù.» Posò la bottiglia su un tavolino, senza lasciarmi il tempo di replicare. «Vado a dire a quei due che ti riporto a casa.» Si diresse verso la cucina, lasciandomi con Matt che dormiva beato.

Sospirai, stiracchiandomi. Guardare il mio amico russare trasmetteva un gran senso di pace e rilassatezza, facendomi sentire la nostalgia del mio letto. Mi avvicinai, quindi, alla cucina, per aspettare Luke. Venne fuori dopo poco, con gli altri due a seguito.

«Sembra che la serata sia finita.» Constatò Mark, scuotendo il capo e dando un'occhiata rassegnata al ragazzo sul divano, che strofinava la faccia sul cuscino.

«Allora ci pensi tu a riportarla a casa?» chiese Joan, mentre Luke recuperava i caschi.

«Sì, ci penso io, state tranquilli. Ci vediamo domani.» Neanche li guardò, come suo solito.

Joan mi abbracciò, era quanto di più vicino ad una sorella avessi mai avuto. «Buonanotte, Hope, dormi bene.»

«Ci vediamo domani, ragazza!» Il ragazzone mi diede una pacca sulla schiena, facendomi sbilanciare un po'.

«Certo! Ci vediamo domani!» dissi a Mark, abbracciando poi Joan.

«Divertitevi!» Sorrisi, mentre recuperavo la custodia del mio prezioso violino, per poi seguire Luke.

C'era feeling tra Mark e Joan, sembravano due che convivessero già da anni, piuttosto che semplici coinquilini, quando invece si sforzavano di ignorarsi e di fingere che tra di loro non ci fosse niente.

La moto di Luke, una Harley Davidson nera con un paio di ali d'angelo d'argento disegnate su un lato, di cui andava molto fiero, era parcheggiata nell'isolato, per cui non ci mettemmo molto a raggiungerla. Trovarmi da sola con lui mi metteva in difficoltà, non potevo negarlo, ma al tempo stesso mi dava un certo brivido, una sorta di piacevole panico che mi faceva battere il cuore all'impazzata.

Indossai il casco che mi stava porgendo con fin troppa rapidità, felice di poter nascondere i miei sentimenti contrastanti dietro di esso.

Salì a cavalcioni e fece forza sulle gambe per farla scendere dal cavalletto in modo che potessi montare. Mise in moto e attese che mi sedessi dietro di lui.

Salii agilmente alle sue spalle, nonostante la goffaggine che mi sentivo addosso, vista la situazione. Mi strinsi a lui, ostentando tranquillità, ben felice che non riuscisse a sentire il battito del mio cuore martellargli sulla schiena per l'emozione di stringermi a lui. Ero sicura di stare arrossendo, ma la notte e il casco mi proteggevano dall'imbarazzo, facendomi sentire libera, una volta tanto, di non dover negare quanto lui significasse per me.

L'unica cosa che mi impediva di lasciarmi andare completamente, era la consapevolezza che quel giro in moto sarebbe presto finito e che noi saremmo tornati a essere due semplici amici, visto che lui non avrebbe mai ricambiato i miei sentimenti.

Diede gas e partimmo con l'inconfondibile fracasso di quella moto. Fendeva il vento come se volasse, ma io avevo la massima fiducia sulla sua guida e, per qualche attimo, ebbi davvero la sensazione che stessero per spuntarmi le ali.

Attraversammo rapidi la città fino alla mia minuscola abitazione. Lui rallentò davanti al vialetto, fino a fermarsi per farmi scendere.

Quel viaggio era durato anche troppo poco, ma, adesso che eravamo a destinazione, dovevo tornare alla realtà e al mio ruolo di amica. Appena scesi dalla moto e mi tolsi il casco, mi voltai a guardarlo. Sorridevo, ma, nonostante fossero trascorsi ormai degli anni, continuavo a nascondere tristezza e rammarico dietro quella semplice e gioiosa smorfia.

«Grazie, Luke! Ci vediamo domani!» dissi, sistemandomi sulla spalla la custodia del violino. «Ti ringrazio per il passaggio!»

«Non ti va il bicchierino della staffa?» Ghignò, togliendosi il casco, ma senza scendere dalla moto, aspettando che mi esprimessi a riguardo.

Lo guardai perplessa e sorpresa. Non che non fosse mai venuto a casa mia da solo, ma che mi chiedesse di venire su a bere era la prima volta. La sua richiesta mi lasciò per un attimo confusa. Era ciò che volevo, da anni ormai, ma mi sembrava impossibile che stesse succedendo in quel momento, così, di punto in bianco.

Scossi la testa per schiarirmi le idee e tornare con i piedi per terra. Era Luke, non aveva nessun interesse per me, eravamo solo amici. Che razza di problemi mi stavo facendo?!

«Sì, certo! Devo avere ancora qualcosa in casa, ma... non hai bevuto abbastanza? Con tutto l'alcol che hai in corpo... devi guidare la moto poi.» farfugliai, osservando la Harley, facevo davvero fatica a trovare una spiegazione razionale al suo comportamento.

«Lo sai che reggo bene.» Si stiracchiò, facendo sollevare un po' la maglietta e spense la moto.

In effetti, ero sempre rimasta sconvolta dalla sua capacità di buttar giù alcolici come fossero acqua fresca, senza minimamente risentirne.

Scese con straordinaria agilità. Nessuno avrebbe mai indovinato quanto avesse bevuto. Visto quello che si era scolato, era già un miracolo che si reggesse in piedi. Posò il casco e mi seguì, tenendosi le mani in tasca. Aveva recuperato una maglietta subito dopo il concerto, chissà dove. Odiava girare a torso nudo, anche se non capivo bene il perché, dal momento che aveva un fisico a dir poco perfetto e mozzafiato e non lo pensavo solo perché avevo da sempre una cotta per lui.

«Sì che lo so... questo non vuol dire niente, però.» gli risposi, lanciandogli un'occhiataccia cercando di nascondere le mie perplessità. «Solo un bicchiere, ok?» Lo ammonii, andando ad aprire la porta dell'ingresso.

Avevo un bilocale, piccolo, un buco che sembrava ricavato dalla suddivisione di uno stanzone di una vecchia fabbrica. Anche l'esterno dell'edificio dava l'idea di un vecchio apparato industriale riadattato a condominio. L'interno era tutt'altra storia, un open space pieno di cose particolari per cui andavo matta, ricavate da altri oggetti e recuperate ai mercatini dell'usato.

Mi erano serviti anni per mettere insieme tutto e creare quella che per me era casa mia. Nonostante le difficoltà del partire da zero e con gli scarsi mezzi a mia disposizione, ero riuscita a comprarmelo e renderlo a mio modo unico. Non volendo toccare i soldi che mi mandava quello stronzo di mio padre, mi ero tirata su le maniche e avevo racimolato da sola tutto ciò che fosse necessario per ottenere quel luogo di cui mi ero innamorata a prima vista. Non era solo per l'aspetto un po' steampunk che mi aveva fatto decidere che era il posto giusto, con i suoi tubi a vista e i mobili ricavati da vecchie macchine tessili, quanto per il potenziale che mi offriva. Ma, più di tutto, ero rimasta stregata dalla piccola scala a chiocciola in ferro battuto che portava su una parte piana del tetto. In quel piccolo angolo, avevo costruito il mio paradiso, arredandolo con ogni tipo di piantina che mi riuscisse di far crescere.

Mi rintanavo lì su ogni volta che volevo restare da sola con i miei pensieri e le mie emozioni, a suonare in libertà la mia musica.

Mi feci da parte per lasciar passare Luke, lanciandogli un'occhiata, ma lui mi ignorò, entrando senza troppi complimenti. Si stava guardando intorno come se non avesse mai visto casa mia, eppure era stato lì in tantissime occasioni. Ogni volta, mi chiedevo che cosa mai si aspettasse di vedere apparire sui muri, visto il modo insistente con cui ne scrutava ogni centimetro quando entrava nel mio appartamento.

A un certo punto sembrò soddisfatto della sua analisi. Accese le lampadine che pendevano dal soffitto, appese ai fili, e si andò a buttare sul divano, sprofondandoci dentro.

«Vivi proprio in un buco!» Sentenziò, riaccendendo il sorriso sarcastico e rovinando con una sola battuta la poesia del mio appartamento.

«Oh, ma senti!» Sbuffai, andando a prendere due bicchieri e porgendone uno sul tavolino basso in legno di fronte a lui. «Questo è il mio buco e fino a che non avrò abbastanza soldi da potermi permettere qualcosa di migliore starò qui!» Sbuffai ancora, per poi scivolare nuovamente nell'angolo cucina. «Mica sono come voi che, non so come, avete un sacco di soldi!» Borbottai, porgendogli, poi, una bottiglia di liquore e sedendomi sul divano accanto a lui.

Versò da bere, ma, invece di scolarselo tutto d'un fiato come faceva di solito, restò a guardare il liquido nel bicchiere, rigirandoselo tra le mani.

«Ti dirò, preferisco un buco come questo all'attico di Joan in cima al grattacielo. Ma sai com'è, lì su "si sente più vicina a Dio".»

Buttò giù tutto d'un fiato, facendo una smorfia, per poi posare il bicchiere sul tavolo. Apprezzai il fatto che non avesse fatto menzione a mio padre e al piccolo patrimonio che si accumulava, che non avevo nessuna intenzione di toccare.

Si voltò verso di me, indicandomi il bicchiere vuoto con un cenno della testa.

«Penso di aver esaurito il bicchierino che avevamo pattuito. Devo andarmene?» Mi chiese, sollevando l'angolo della bocca e rivolgendomi un'occhiata interrogativa piuttosto sfacciata e retorica.

«Oh... beh... vuoi stare qui?» Domandai perplessa, sorseggiando il mio bicchierino e iniziando a sentirmi a disagio. «Guarda che il divano è comodo, se ci volessi dormire!» Osai, ridacchiando e cominciando a sentirmi le guance accaldate. «A parte gli scherzi. Mi fa piacere se vuoi restare!»

«Cos'è, ti preoccupi che dopo quello che ho bevuto possa ribaltarmi con la moto?» Scherzò. Ero l'unica persona con cui riuscisse a scherzare così.

«Metti caso che succede?» Domandai sbuffando. «Non si sa mai! Lo sai che non credo nel destino o quelle cose lì... però non si può mai sapere. Ad ogni modo, se vuoi puoi restare, se non vuoi puoi tornare a casa!» Alzai le spalle e distolsi lo sguardo da lui, terminando di bere il mio shottino.

Ci rifletté per un attimo, per poi riempirsi un altro bicchiere. «Credo che accetterò il tuo divano.»

«Ottimo!» non potevo negare che mi facesse piacere averlo lì. Mi ripetei che l'interesse che un tempo avevo provato per lui e che forse provavo ancora non c'entrava niente, che fosse il semplice avere compagnia a rendermi felice e, tutto sommato, quella sera di restare da sola non ne avevo proprio voglia.

Luke era particolare di suo, ma era tra il gruppo quello con cui stavo meglio in compagnia. Ovviamente adoravo sia Matt che Joan che Mark, ma lui aveva questo aspetto di sottile distacco che mi portava quasi a cercarlo ancora di più, e che, in passato, mi aveva fatta innamorare.

Gli porsi anche il mio bicchiere per farmelo riempire. Volevo allontanare i pensieri che mi riportavano a quel maledetto ballo di fine anno e ai miei sogni infranti, godendomi la serata, lo shottino e la sua semplice compagnia. Quella di un amico sincero e leale come pochi.

«Io però non reggo quanto te!»

«Fortunatamente sei già a casa.» Riempì il mio bicchiere nuovamente. «Se finirai gambe all'aria, almeno sarà facile metterti a letto.» Scherzò, mantenendo sempre quella certa nota di distacco che non lo faceva sbilanciare mai più di tanto.

«A letto ci posso andare anche da sola, sai? Non è che sto messa poi così male!» Sbuffai, ridacchiando per nascondere il nervosismo, poi bevvi un altro sorso. «Siete strani oggi, comunque. Dall'inizio del concerto mi sembra di non riconoscervi più. Tranne Matt... lui è strano sempre!»

«È quel tipo, il ragazzo dagli occhi grigi. Non te lo so spiegare, ma ci ha messi in allarme, non sembrava avere buone intenzioni.» Si sprofondò contro lo schienale. «Ma quello che ci ha turbati di più è il non essere stati capaci di intervenire per allontanarlo, è riuscito ad avvicinarti con fin troppa facilità, senza che noi potessimo fare niente. Non mi piace questa cosa.»

Non mi guardava, ma serrava il pugno sul pantalone, era frustrato e nervoso per quanto successo, sebbene celasse tutto dentro, per non farmi preoccupare.

E io, di fronte a un tale comportamento, non potevo nascondere la mia perplessità, che non faceva altro che aumentare.

Posai il bicchiere sul tavolino, poggiando poi la mano sul suo braccio. «Hei... calma. Non è successo niente e probabilmente neppure lo rivedremo più!» Quante possibilità c'erano che si ripresentasse, dopotutto. «Inoltre, non è che potete proteggermi da ogni cosa che incrocio sulla mia strada! Domani potrei uscire da qui ed essere messa sotto da una macchina, per quanto ne sapete!» Inarcai un sopracciglio. «Mica l'ho incontrato da sola, in una via buia, quel tizio! C'erano un sacco di persone e mi ha solo parlato. Che pericolo potevo correre?»

Si voltò a guardarmi, incrociando i suoi occhi verdi con i miei. Un colore molto particolare, profondo, come quelli di Mark, Joan e Matt, ma a differenza loro, brillante e allo stesso tempo penetrante.

«Tra qualche giorno ti esibirai e vedremo se è stato solo un caso o se lo incontreremo di nuovo.» Per un attimo vidi una scintilla nei suoi occhi ed ebbi l'impressione che, in realtà, fosse quello che voleva. Durò solo un attimo però, poi distolse lo sguardo. «Per stasera, per lo meno, possiamo stare tranquilli, non ti farà del male nessuno, almeno finché ci sarò io qui.»

«Sì, certo! Sia mai che qualcuno entri dalla finestra!» Ridacchiai. «Ti vado a prendere un cuscino e una coperta!» dissi, alzandomi dal divano e scuotendo il capo.

«Allora, mentre torni, farò la guardia alla finestra.» Scherzò, o almeno speravo che fosse così.

Gli tirai una manata sulla spalla. «Stupido!» Lo presi in giro, entrando in camera mia e aprendo l'armadio, dal quale tirai fuori un cuscino e una coperta, prima di tornare sui miei passi e rientrare in salotto. «Ecco... tieni!»

Prese le cose che gli stavo porgendo e trattenne appena la mia mano, fissandomi. «Buonanotte.»

Il suo sguardo era così intenso che neanche mi accorsi mi avesse lasciato la mano.

«Buonanotte!» mormorai, sentendomi il volto scaldarsi rapidamente.

C'era qualcosa di dannatamente sbagliato e assurdo in quello che stava succedendo. Mi voltai, cercando di restare lucida. Era Luke, era solo Luke, eravamo amici, solo e soltanto amici, ed era preoccupato, come tutti gli altri. Ero stanca, e avevo decisamente bevuto troppo.

Chiusi la porta della mia camera e mi buttai sul letto, a pancia in su.

«Che serata assurda!» mormorai pensierosa.

Lui se ne restò buono sul divano. Figurarsi se c'era da temere che potesse entrare di soppiatto in camera mia nel cuore della notte.

In realtà, la sua presenza mi faceva sentire molto più tranquilla e rilassata, al punto che mi addormentai senza fatica.

La mattina dopo mi alzai, cercando di non fare rumore, nel caso stesse dormendo. Uscii dalla mia stanza e lanciai un'occhiata verso il divano.

Era lì, steso, parzialmente coperto, stava dormendo. Mi presi qualche attimo per osservarlo, approfittando di quel momento tutto mio per poterlo guardare senza nascondere le mie emozioni. Neanche mi resi conto del sorriso stupido che avevo in viso. Era assurdo che avesse passato la notte dormendo sul mio divano.

La bottiglia era dove l'avevo lasciata, incredibilmente piena. Appena ero andata via, aveva smesso di bere, ma non mi sorprendevo stesse dormendo ancora, aveva ingollato davvero tanto alcool durante il giorno.

Scivolai in cucina e iniziai a mettere su la colazione. Latte, caffè, biscotti, marmellata e tutto quello che avevo a disposizione. Mi faceva strano avere qualcuno in casa; da tanto tempo ormai vivevo sola e non ero abituata ad avere ospiti o qualcuno che dormisse da me.

Non appena l'odore della colazione iniziò a diffondersi nell'appartamento, il ragazzo dai capelli neri sul divano si tirò su, stiracchiandosi, prima di voltarsi verso di me.

«Buongiorno.» Si alzò e iniziò ad avvicinarsi, portandosi dietro la bottiglia, che rimise a posto. Mi sfiorò appena nel farlo.

«Buongiorno! Dormito bene?» domandai, mentre mi spostavo appena da lui, imbarazzata e impacciata nell'averlo lì.

Poggiai le due tazze sul tavolo e cercai di concentrarmi su quello che stessi facendo, per non fargli notare la mia alterazione.

«Come un angelo.» Scherzò, senza nessuna inflessione particolare della voce. «Mi hai preparato la colazione?» Chiese, osservando le tazze e sollevando un sopracciglio.

«Certo!» Risposi, voltandomi a guardarlo. «Perché ti sorprende? Suvvia! Con tutte le donne che hai in giro, non dirmi che nessuna di loro la mattina ti ha fatto trovare la colazione pronta!» Ridacchiai, sedendomi al tavolo.

Mi sentivo in imbarazzo ad averglielo detto, sembrava quasi volessi curiosare, ma lui non sembrò farci caso.

«Di solito non passo la notte in compagnia.» Mi rispose tranquillamente, sedendosi vicino a me. «Ma se è così al risveglio, devo iniziare a pensare di passare più notti con te.»

Non potei fare a meno di spalancare gli occhi per la sorpresa, rendendomi però immediatamente conto che stesse scherzando. «Quando vuoi il mio divano è libero. Non lo occupa nessuno durante la notte!» Ridacchiai. «Ma credo che sia più comodo il letto di casa tua, non credi?» farfugliai, guardandolo.

«Sì, i letti sono decisamente più comodi.» Sollevò lo sguardo su di me, mettendomi nuovamente a disagio. C'era qualcosa di diverso e non riuscivo a capire cosa diamine fosse.

Finì la colazione e si alzò per recuperare il casco. «Meglio che vada, ho lasciato la moto qui davanti, i tuoi vicini potrebbero farsi strane idee e iniziare a considerarti una ragazza immorale.» Si guardò intorno per capire se stesse dimenticando qualcosa, poi portò ancora lo sguardo su di me. «Grazie per la colazione.»

«Ma figurati! I miei vicini lo sono già di loro, figurati se potrebbero darmi dell'immorale!» Sorrisi, faticando a gestire il disagio che provavo. «Beh, ci vediamo in questi giorni, per le prove e poi per il concerto!» Lo guardai, alzandomi dal tavolo. «Fa attenzione con la moto!»

Tirò su un angolo della bocca per poi avvicinarsi a me e pararmisi davanti. «Ci vediamo, Hope. Sta attenta.» Non si capiva se fosse un consiglio o una richiesta.

«Sì... Anche tu, stai attento!» mormorai, accompagnandolo alla porta. «Luke, se... volessi passare anche stasera, a me farebbe piacere!»

Forse era stata la sua richiesta di salire a bere, o il fatto che avesse dormito da me; forse erano state le sue parole, o solo il suo atteggiamento così diverso dal solito nei miei confronti... ma uno di questi motivi mi diede il coraggio di chiederglielo. Mi morsi le labbra un attimo dopo, dandomi della stupida e aspettandomi un rifiuto e un'occhiataccia da parte sua.

Quando si voltò verso di me a guardarmi, ebbi quasi il timore di scoprire la sua reazione.

«Solo se mi offri un altro di quei bicchierini.» Si calò appena verso di me e mi lasciò un bacio sulla guancia, strizzandomi poi l'occhio e mettendosi il casco in testa, diretto alla moto. «Ci vediamo stasera, esercitati con quel violino!» Mi punzecchiò prima di partire.

Ero decisamente incredula. Mai aveva fatto una cosa simile e tanta era la sorpresa da non capire neppure le sue ultime parole. Lo guardai uscire da casa mia, per poi girarmi e avvicinarmi al tavolo, sorridendo appena, razionalizzando quanto era accaduto. Non avevo mai visto Luke approcciarsi a qualcuno, o qualcuna, né tantomeno dimostrare affetto.

Ebbi terribilmente voglia di suonare. Non ci pensai due volte, prima di aprire la custodia del violino e salire di corsa sulla terrazza, elettrizzata da quello che era appena successo, lasciandomi trasportare dalle note che mi passavano istintivamente per la mente.

Quando finii, mi stiracchiai come un gatto, osservando i tetti delle case attorno a me. Mi sentivo felice ed euforica, come se quella giornata fosse iniziata davvero bene. E non potevo negare di essere felice che Luke venisse da me anche quella sera. Eravamo amici da tempo immemore, ma mai si era avvicinato dandomi un bacio, né mai avrei pensato che potesse succedere. Mi aveva spiazzata ed ero rimasta sorpresa di quanto mi avesse fatto piacere.

Qualsiasi ragazza avrebbe fatto i salti mortali per una sua attenzione, ma io mi ero sempre costretta a considerarlo come un fratello o uno dei miei amici. Non c'era mai stato nulla con lui, né con gli altri. Erano la mia famiglia, ma Luke non era mai stato così... protettivo. Era strano, ma piacevole allo stesso tempo. Così stordente da farmi dimenticare qualsiasi altra cosa.

"Smettila di pensarci! È come un fratello! La sua è solo gentilezza! Smettila di vedere cose dove non ci sono o finirai col soffrire di nuovo!" Mi avvisò la mia coscienza, mentre scuotevo il capo, cercando di zittirla.

Avevo anche mille cose da fare e stavo perdendo tempo. Come al solito! Mi feci una doccia rapida, mi rivestii e finalmente uscii da casa diretta al conservatorio.

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